Le risorse della chiocciola

E’ un inno alla lumaca quello pubblicato il 28 settembre su “La Verità”, anche se più correttamente si dovrebbe parlare di chiocciole, quelle del genere Helix, dove la specie più comune nell’area mediterranea è la aspersa mentre negli allevamenti prevale la Pomatia.
In questa stagione di riscoperta di alcune colture dimenticate, come il luppolo del quale si è lungamente parlato nelle settimane passate, anche l’allevamento della chiocciola vive un momento di rilancio e impegna oltre 12mila aziende.
Il consumo è in aumento, ma l’Italia è largamente superata dalla Francia che ne consuma quasi dieci volte di più. Il successo delle chiocciole è almeno in parte legato alle caratteristiche della loro carne, ricca in aminoacidi essenziali, grassi polinsaturi e vitamina B12.
Oltre che sul piano alimentare la chiocciola offre opportunità nel campo della cosmesi, con l’utilizzo delle sue secrezioni gelatinose, le cui proprietà benefiche erano già conosciute da Ippocrate, che le usava come rimedio alle infiammazioni della pelle.


Troppa acqua

Ancora maltempo, ancora aziende coperte dal fango e coltivazioni affogate dall’acqua. E’ la cronaca degli esiti delle recenti abbondanti precipitazioni nell’agro nocerino sarnese, in Campania.
E già accaduto e accadrà ancora per la pessima gestione del territorio, non solo in Campania ma in tutta Italia. Lo denuncia il “Quotidiano del Sud” del 29 settembre, puntando il dito contro la cementificazione selvaggia che negli ultimi 25 anni si è portata via quasi il 30% del terreno coltivabile.
Il prezzo da pagare è alto, doppio nel caso degli agricoltori, colpiti come cittadini e come imprenditori. In dieci anni la bolletta presentata alle imprese agricole come conseguenza delle avversità meteorologiche, continua l’articolo, ammonta a 14 miliardi di euro.
Colpa dei cambiamenti climatici, ma anche dell’uomo e dei suoi interventi sulla natura. E mentre dal “Palazzo” continuano ad arrivare messaggi rassicuranti sull’impiego delle risorse messe a disposizione da Bruxelles, il futuro resta molto incerto e i progetti del Green new Deal, si legge ancora nell’articolo, “rischiano di rimanere dotte esercitazioni accademiche”.
 

I successi del pomodoro

E’ un’annata buona per il pomodoro da industria. Mentre la raccolta è ancora in corso, arrivano già i primi bilanci, che vedono una crescita dei consumi interni del 14% in volume e del 21% in valore.
Sono i dati riferiti da “Il Sole 24 Ore” del 30 settembre, dove spicca l’incremento delle esportazioni, cresciute del 5% in volume e del 12% in valore. Lo confermano le rilevazioni dell’Anicav, l’Associazione nazionale dell’industria delle conserve vegetali.
Di questa stagione fortunata hanno tratto beneficio i prezzi all’origine, cresciuti del 30% rispetto ai listini del 2019. Il dato positivo del primo semestre del 2020 è però il frutto di un evento eccezionale, come quello innescato dall’emergenza sanitaria.
Lo mette in evidenza Giovanni De Angelis, direttore di Anicav, il cui augurio è che dopo il superamento della fase emergenziale sia riconosciuto a questo prodotto il giusto valore, altrimenti considerato una semplice commodity a basso costo.
 

Agricoltura? Non pervenuta

E’ una pesante denuncia quella lanciata il primo ottobre dalle pagine del “Quotidiano del Sud” sull’assenza dell’agroalimentare dai progetti finanziati con le risorse del Recovery Fund.
Finora tutto è fermo alle “solite” dichiarazioni di intenti che si rincorrono da anni. Competitività, incentivi ai contratti di filiera, promozione dell’export e via di questo passo.
Ma mentre l’Italia si ferma a generiche indicazioni, in Francia sono già stati definiti progetti per 100 miliardi, dove l’agroalimentare ha uno spazio significativo.
Fra gli obiettivi indicati dalla Francia si trova l’ammodernamento degli allevamenti e una strategia per la produzione di proteine vegetali, sino a cose di minor conto, come gli orti condivisi o l’agricoltura urbana.
Non è da meno la Spagna, che già vanta di aver sorpassato l’Italia in alcuni settori, come l’allevamento di suini.
Per l’Italia, si legge nell’articolo “occorrono misure specifiche, ben declinate, con un’attenzione particolare al Sud, che può ripartire proprio dall’attività primaria e dal turismo”.


Bio, che passione

Il 2020, un anno da ricordare in positivo per l’agricoltura biologica, afferma “Il Sole 24 Ore” del 2 ottobre, commentando le cifre del rapporto presentato da Ismea sull’andamento di questo settore.
Le vendite di prodotti biologici, si legge, sono aumentate in particolare nel canale dei supermercati, dove si è registrata una crescita del’11%.
Significativo in particolare il consumo delle uova biologiche, aumentato di quasi il 10%.
L’Italia, continua l’articolo, è il primo paese europeo per numero di aziende agricole impegnate in questo settore, dove sono occupate oltre 80mila persone, che lavorano sugli oltre due milioni di ettari coltivati a biologico.
Ma siamo anche fra i principali importatori di alimenti biologici (210mila tonnellate) dei quali un terzo provenienti dall’Asia.
L’articolo si conclude ricordando che anche l’Europa sta puntando sulle coltivazioni biologiche attraverso le politiche del Green new Deal e le strategie del Farm to Fork, nei cui programmi è previsto che un quarto dei terreni, di qui al 2030, dovranno essere investiti a coltivazioni biologiche.


Un dazio tira l’altro

Gli Stati Uniti impongono dazi alle merci provenienti dall’Europa? E allora la Ue può imporre dazi tariffari sulle merci statunitensi in arrivo in Europa.
Lo stabilisce una recente decisione dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), della quale riferisce “Italia Oggi” del 3 ottobre.
Le nuove tariffe dovranno avere un massimo di 4 miliardi di dollari, ma resta alto il divario con i dazi applicati dagli Usa, pure autorizzati dal Wto, che ammontano a 7,5 miliardi.
Ma va ricordato che già in precedenza l’Unione europea aveva avuto il via ibera ad applicare sanzioni per oltre 4 miliardi nei confronti delle merci provenienti dagli Usa.
La decisione ufficiale non è ancora ratificata, ma segna un passaggio difficile. Due gli scenari che si aprono. Il primo è un possibile acuirsi della contesa commerciale, nella quale sono coinvolti alcuni importanti prodotti dell’agroalimentare italiano.
Oppure potrebbe essere la chiave per aprire un dialogo costruttivo per superare questa contrapposizione fra Usa e Ue.
Intanto, conclude l’articolo, “l’export agroalimentare degli stati membri verso gli Usa è diminuito di oltre 400 milioni di euro nei primi 5 mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2019”.


Nove miliardi a tavola

E’ il titolo del libro di Mauro Mandrioli, professore associato in genetica presso il dipartimento di Scienze della vita all’Università di Modena e Reggio Emilia. E i miliardi di riferiscono non ai soldi, ma alle persone da sfamare di qui a qualche anno.
Presentato in occasione del Food&Science Festival di Mantova, il libro spiega il netto cambio di passo che l’agricoltura sta compiendo per produrre di più con sistemi meno impattanti sull’ambiente.
Il quotidiano di Cremona “La Provincia”, in edicola il 4 ottobre, ha colto questa occasione per raccogliere un’interessante intervista con Mandrioli, che si dice convinto che “l’agricoltura smart ci mette nelle condizioni di mettere il meglio dell’innovazione al servizio della tradizione. Possiamo continuare a produrre ciò che produciamo - afferma Mandrioli - facendolo però in modo più sostenibile e tale da fronteggiare al meglio i cambiamenti climatici.”
Ma occorre superare una certa diffidenza culturale verso le innovazioni. Ciò che è avviene con il mais ne è uno degli esempi più evidenti. Non producendone a sufficienza siamo costretti a importarlo perché i nostri agricoltori non possono usare le varietà geneticamente migliorate, utilizzate ad esempio dagli agricoltori brasiliani.
In altre parole, non c’è innovazione se questa non è consentita dalla legge. Così si sta ancora aspettando che la Ue ci dica cosa si può effettivamente fare ricorrendo alla genomica.
Se ci sarà un veto, accadrà che varietà vegetali che avremmo potuto produrre saranno invece acquistate altrove, aumentando la dipendenza dall’estero.
Se davvero siamo tutti convinti - conclude l’articolo - che l’agricoltura sia il settore primario, è importante che si faccia tutto il possibile per sostenerla.
"Di cosa parlano i giornali quando scrivono di agricoltura?"
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