Olio e olivi. Dalla stampa ho notizie contradittorie su prezzi, Xylella, ricerca. Qual è la situazione di quello che dovrebbe essere uno dei comparti di punta della nostra agricoltura e del nostro sistema agroalimentare?
Per chiarirmi le idee mi rivolgo a uno dei massimi esperti italiani, il vecchio amico Luigi Caricato, direttore di OlioOfficina, sempre entusiasta ed infaticabile organizzatore di millanta iniziative per la cultura e la valorizzazione del patrimonio oleario.
Il quadro è, in sintesi, fosco. Molto fosco.

Primo: il mercato. Le giacenze sono alte (+47,5% rispetto allo scorso anno), nessuno vuole l’olio italiano per il semplice fatto che costa troppo. E i supermercati continuano imperterriti a proporre offerte a 1,75 euro a bottiglia (vista ieri dal sottoscritto): è tutto un dire.
Secondo: l'assenza di una strategia nazionale per il settore, Questo si concretizza, per esempio, nell’avvilimento della ricerca nazionale - istituti chiusi, frantoi sperimentali chiusi, ricerca genetica assente. Un disastro.
La cosa ci porta al terzo punto: Xylella. Qui Luigi mi fa ghiacciare il sangue nelle vene. Nessuno sulla stampa generalista ce lo racconta, ma la Xylella si sta ancora dirigendo verso Nord. E punta l’area di Barletta, Andria e Trani - il cuore olivicolo d’Italia, dove si concentra il 40-60% della produzione nazionale.
Qui si può consumare un vero e proprio dramma e, come mi dice mestamente Caricato, "qui può morire l’olivicoltura italiana".

La storia della Xylella in Puglia - dalle azioni della magistratura ai contradittori interventi della politica, dalle teorie del "gomblotto" alla gogna per tecnici e ricercatori – è paradigmatica, con aspetti che vanno oltre la più fervida immaginazione di un narratore.
Detto questo serve, direi, un piano di rilancio del settore - e serio, molto serio. Si sappia che la storia, poi, assegna le responsabilità.