L'Italia è il secondo produttore di nocciole al mondo dopo la Turchia (e il secondo importatore dopo la Germania). La produzione tricolore oscilla tra le 100mila e le 130mila tonnellate con oltre 70mila ettari coltivati che rappresentano l'11% della superficie mondiale. Numeri in crescita visto che sempre più agricoltori, allettati da quotazioni di mercato soddisfacenti, stanno convertendo i propri terreni in corileti.

L'espansione delle coltivazioni di nocciolo è favorita anche da due grandi multinazionali italiane, Loacker e Ferrero, che sono interessate a strutturare e ingrandire una filiera italiana della nocciola che sia in grado di soddisfare il crescente fabbisogno di materia prima impiegata nelle produzioni industriali.

Il sistema Italia si trova davanti tuttavia ad una serie di sfide: mantenere alta la qualità del prodotto abbassando i costi di produzione e vincere la concorrenza estera. E ai progetti di espansione del settore non mancano le critiche di alcune associazioni, che vedono nei moderni corileti un'attività di sfruttamento del territorio a danno delle comunità locali e anche degli agricoltori.


Migliorare la produttività

Ma andiamo con ordine. Tra il 2013 e il 2017 si è registrato un aumento del 12% delle superfici coltivate a nocciolo, ma la resa media ad ettaro è tutt'altro che ottimale. Bisogna dunque migliorare i processi produttivi a partire dalla genetica, dall'impiego di piante certificate e di macchinari moderni per la gestione degli impianti. Occorre poi mettere in campo nuovi strumenti di difesa, ad esempio per quanto riguarda la cimice asiatica.
 
Un primo passo potrebbe arrivare dalla decisione, annunciata in marzo dal sottosegretario Giuseppe L'Abbate, di avviare un Gruppo di lavoro sulla nocciola italiana, propedeutico all'istituzione del Tavolo della filiera corilicola italiana. Un segno che anche la politica si sta muovendo per sostenere il comparto.

La ricerca d'altronde non si è mai fermata. Come abbiamo scritto in questo articolo dal Piemonte al Lazio, dalla Campania alla Sicilia, centri di ricerca e aziende stanno lavorando per modernizzare e rendere più efficiente la corilicoltura. È dello scorso giugno ad esempio l'annuncio che la fondazione piemontese Agrion ha allestito un nuovo campo sperimentale a Carpeneto (Alessandria) proprio per testare nuovi sesti di impianto al fine di progettare nuovi impianti in aree non tradizionalmente vocate.


Contratti di filiera, opportunità o minaccia?

Interlocutori importanti per agricoltori e istituzioni pubbliche sono due aziende italiane: Ferrero e Loacker. Entrambe stanno sviluppando una propria filiera per assicurarsi materia prima locale a prezzi e qualità certi. Lo strumento è quello dei contratti di filiera impiegati anche in altri settori, come la cerealicoltura.

Le aziende si impegnano ad acquistare le nocciole dai produttori ad un prezzo premiale purché queste rispondano a certe caratteristiche qualitative. Inoltre agli agricoltori viene fornita assistenza tecnica e accesso al credito tramite accordi con istituti bancari. Una situazione win-win che ha spinto molti agricoltori ad aderire, ma che non ha mancato di sollevare anche aspre critiche.

Ad esempio il Consorzio di valorizzazione e tutela della Nocciola di Calabria di Torre di Ruggiero ha rispedito al mittente la richiesta di collaborazione avanzata da Ferrero, sottolineando l'incompatibilità di una produzione di nicchia con le esigenze di una grande industria. Mentre il progetto di espansione della corilicoltura di Loacker nelle Marche ha suscitato le critiche di un'associazione locale, SemInterrati, che denuncia il rischio di sfruttamento e inquinamento del territorio, con un danno per i cittadini e gli agricoltori.
 
Il tema della sostenibilità ambientale è sicuramente sul tavolo, ma non riguarda la sola corilicoltura, quanto l'agricoltura nel suo complesso. A guidare la transizione verso una agricoltura più 'green' è la stessa Unione europea che con la strategia From farm to fork ha previsto una riduzione dell'uso di input produttivi e ha però stanziato ingenti risorse per innovare il settore e formare gli agricoltori. E anche gli investimenti in innovazione delle grandi multinazionali possono giocare un ruolo in questa partita.