Lo scorso giugno Syngenta ha annunciato la nascita di Syngenta Group, una nuova entità nata dall'unione di Syngenta e Adama, entrambe acquisite dal gigante cinese della chimica ChemChina, e dalla divisione agro di SinoChem. Abbiamo incontrato Riccardo Vanelli, amministratore delegato di Syngenta Italia, per farci raccontare che cosa cambierà per gli agricoltori italiani dopo questo percorso di consolidamento.

"Syngenta Group ha quattro anime: quella legata agli agrofarmaci e alle sementi, con sede rispettivamente a Basilea e a Chicago. C'è poi il business di Adama, a Tel Aviv, e infine le attività del Gruppo, a Shanghai. Questo nuovo assetto permetterà di ottenere delle sinergie a livello globale e liberare risorse da investire nella ricerca di prodotti sempre migliori".

Perché un'azienda di Stato come ChemChina ha deciso di acquisire una multinazionale come Syngenta?
"La Cina è un paese popoloso che tuttavia ha un'agricoltura che non riesce a coprire i fabbisogni nazionali. Erano dunque alla ricerca di un'azienda leader nel settore, che fosse in grado di modernizzare con il proprio know-how l'agricoltura nazionale, rendendola più produttiva e sostenibile. L'impegno di Syngenta nei confronti dell'Europa e dell'Italia tuttavia non cambia".

Syngenta è un'azienda molto dinamica anche sotto il profilo delle acquisizioni di startup digitali. Negli Stati Uniti avete rilevato FarmShots, in Sudamerica Strider, nell'Est Europa Cropio mentre in Cina opera Modern agriculture platform. Perché avete deciso di acquisire queste aziende?
"Perché il futuro dell'agricoltura passa dalla gestione digitale e di precisione delle colture. Queste acquisizioni ci hanno messo nelle condizioni di fornire agli agricoltori soluzioni per l'agricoltura digitale declinate sulle caratteristiche territoriali in cui gli agricoltori operano. Inoltre su impulso di Greg Meyers, ex Motorola e ora a capo del settore digitale del Gruppo, abbiamo deciso di creare una piattaforma digitale comune, denominata CropWise, che racchiudesse in sé le varie tecnologie a cui abbiamo accesso".

In Italia qual è l'offerta digitale di Syngenta?
"In Italia la piattaforma FarmShots è stata testata su circa 50mila ettari di mais e su 1.500 ettari di frumento. Ma stiamo lanciando dei progetti pilota anche su pomodoro da industria e su riso".

Il business di Syngenta sta virando dagli agrofarmaci ai software?
"Il nostro core business rimane legato agli agrofarmaci e alle sementi, ma il digitale ricoprirà un ruolo sempre maggiore per offrire soluzioni a 360° agli agricoltori".

Perché le aziende agricole dovrebbero essere interessate a soluzioni digitali?
"Perché l'agricoltura digitale e di precisione permettono di razionalizzare l'uso di input produttivi, garantendo produzioni abbondanti e sostenibili dal punto di vista economico, ambientale e sociale. Noi vediamo nel digitale uno strumento abilitante e per questo abbiamo deciso di fornirlo gratuitamente a tutte quelle aziende che scelgono Syngenta come partner nel proprio lavoro. È il caso ad esempio di eMat".

Di che cosa si tratta?
"È un sistema digitale di supporto alle decisioni che permette al viticoltore di impostare la propria linea di difesa vite, anche con prodotti non Syngenta, e di sapere in maniera veloce e precisa quali saranno i livelli di residui sulle uve e quindi quali saranno gli Stati in cui potrà esportare il proprio vino oppure le sigle della grande distribuzione a cui potrà accedere".

A proposito di residui, c'è una tendenza generalizzata di tutte le aziende dell'agrochimica a sviluppare prodotti di origine biologica che di residui normati, appunto, non ne lasciano. Come mai un'azienda come Syngenta, che ha nella chimica di sintesi il proprio core business, investe in questo settore?
"Perché oggi il consumatore chiede agli agricoltori prodotti a residuo zero. Al di là delle valutazioni di carattere scientifico sull'opportunità e il senso stesso di avere prodotti a residuo zero, gli agricoltori oggi hanno bisogno di prodotti privi di residui e noi come azienda ci sentiamo in dovere di andare incontro a queste richieste".

Quale sarà il peso dei prodotti di origine biologica nel portafoglio di Syngenta in futuro?
"Sicuramente maggiore rispetto ad oggi, ma continuiamo a credere fermamente nell'efficacia e nella sicurezza dei prodotti di chimica di sintesi. A nostro avviso in futuro l'approccio alla difesa vedrà l'utilizzo sinergico di prodotti tradizionali e di origine biologica".

Taegro, l'ultimo agrofarmaco di origine biologica che avete lanciato, è stato sviluppato in collaborazione con Novozymes. È questo il modello di R&D che applicherete anche agli altri prodotti?
"Abbiamo un approccio misto allo sviluppo di nuovi agrofarmaci. Da un lato collaboriamo con società esterne, come l'olandese DSM, ma abbiamo anche investito in startup e abbiamo una robusta funzione di Ricerca e Sviluppo interna che ci permette di avere in pipeline molti prodotti interessanti. Anche ad esempio nel campo dei biostimolanti, prodotti verso i quali ci sono grandi aspettative".

Per Syngenta il secondo business per importanza è quello delle sementi, settore in cui il miglioramento genetico gioca un ruolo fondamentale. Qual è la vostra posizione nei confronti delle cosiddette New breeding techniques?
"Siamo fermamente convinti che queste tecnologie di miglioramento vegetale possano giocare un ruolo fondamentale nel rendere l'agricoltura più sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Per questo speriamo che a livello normativo si lasci la libertà di fare ricerca e testare nuove sementi".

C'è tuttavia un tema di accettazione sociale intorno alle biotecnologie…
"È compito anche nostro spiegare ai consumatori che le New breeding techniques non hanno nulla a che fare con i vecchi Ogm transgenici. Si tratta di tecnologie sostenibili che non fanno altro che riprodurre in maniera più veloce e controllata ciò che avviene in natura. Sono dunque uno strumento per rendere l'agricoltura più sostenibile e il made in Italy più competitivo".

Ma come fare a spiegare al consumatore i meccanismi complessi che stanno dietro alle Nbt?
"Quello che dobbiamo fare è spiegare i benefici che queste apportano. Dire ad esempio che piante migliori avranno bisogno di meno agrofarmaci e saranno in grado di resistere meglio ai cambiamenti climatici. Tutto questo lavoro di divulgazione noi lo facciamo ogni giorno, ad esempio attraverso Cibo per la mente oppure sostenendo iniziative come il Mantova Food&Science Festival".

Proprio durante il festival che si terrà a Mantova il 2-4 ottobre prossimi svelerete la declinazione italiana del nuovo Good growth plan. Ci può anticipare qualcosa?
"Il Ggp è il grande impegno di Syngenta per una agricoltura più sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Abbiamo lanciato il progetto nel 2013 con obiettivi ambiziosi che sono stati tutti raggiunti, se non addirittura superati. Abbiamo definito quest'anno nuovi e ancora più sfidanti traguardi e deciso di investire risorse importanti per raggiungerli. Due numeri su tutti: nei prossimi anni investiremo 2 miliardi di dollari per promuovere l'innovazione e ci siamo impegnati a ridurre del 50% la carbon footprint dei nostri processi operativi entro il 2030".

Che cosa vi ha spinto ad impegnarvi sul fronte ambientale?
"Il tema della sostenibilità è oggi centrale nella vita delle persone e in tutte le politiche pubbliche, come dimostra il Green deal e la strategia From farm to fork dell'Unione europea. Crediamo che anche Syngenta, come azienda leader nello sviluppo di prodotti innovativi, abbia il dovere di affiancare gli agricoltori al fine di promuovere un'agricoltura più sostenibile e rispettosa dell'ambiente e delle persone. Un'agricoltura che in definitiva tutela se stessa".


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