Piano piano si sta tornando alla normalità, o almeno ci si prova. E l'agricoltura, che di fatto non si è mai fermata, prova a dare il suo contributo a questa ripartenza tanto attesa. Il tutto grazie anche alla riapertura da ieri, 3 giugno 2020, delle frontiere italiane ai cittadini europei senza obbligo di quarantena e dell'area Schengen. Mentre per gli extracomunitari occorrerà aspettare fino al prossimo 15 giugno.

Una buona notizia che secondo la Coldiretti sarà un vero e proprio aiuto per salvare i raccolti made in Italy nelle campagne, con il ritorno dei circa 150mila lavoratori stagionali comunitari provenienti da Romania, Polonia e Bulgaria e altri paesi europei rimasti fino ad ora bloccati per la pandemia da Covid-19. Anche perché a partire dal mese di giugno il lavoro nelle campagne entra nel vivo. Sta partendo la raccolta della frutta (ciliegie, albicocche, prugne e pesche) e in Sicilia è già iniziata la raccolta dell'uva da tavola. Ad agosto sarà la volta delle prime mele, fino ad arrivare alla vendemmia, alla raccolta delle olive a ottobre e dei kiwi nel mese di novembre.

Nel complesso quello della manodopera nei campi è stato uno dei principali nodi da sciogliere, che a sua volta ha messo in luce un ulteriore aspetto: l'agricoltura italiana dipende dalla manodopera straniera. Secondo le stime dell'organizzazione più di un quarto del made in Italy a tavola viene raccolto nelle campagne da mani straniere con 370mila lavoratori regolari che arrivano ogni anno dall'estero, fornendo il 27% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore.

A giocare il ruolo principale sono i romeni con 107.591 occupati, ma tra gli europei ci sono tra gli altri anche polacchi (13.134) e bulgari (11.261). Ma in generale ogni nazionalità ha zone d'Italia d'elezione: i cittadini bulgari lavorano particolarmente al Sud, come gli slovacchi sono quasi esclusivamente nel Nord Est, i cinesi al Nord, mentre i romeni sono distribuiti equamente su tutto il territorio. (Dati da 'Il contributo dei lavoratori stranieri all'agricoltura italiana' - rapporto del Crea e 'Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia' - rapporto del ministero del Lavoro).

Proprio per far fronte a questo problema l'attenzione è andata ai disoccupati, ai cassintegrati e a tutti quelli che il lavoro lo hanno perso a causa del coronavirus o non lo avevano anche prima. Da parte loro studenti e cassaintegrati si sono offerti con entusiasmo per re-impiegarsi nei campi e portare il cibo sulle tavole di tutti, come testimoniano il successo di app e portali per far incontrare domanda e offerta di lavoro.

E le polemiche non sono mancate: ha fatto molto parlare la notizia, proveniente dal Trentino, di far perdere il diritto a ricevere l'assegno di disoccupazione staccato dalla provincia a chi, disoccupato, rifiutava il lavoro in agricoltura che gli veniva offerto.

Soluzioni dunque per cercare di mettere una pezza alla situazione di emergenza. Anche se però, secondo la maggior parte degli agricoltori, chi non è abituato a questo tipo di lavoro ha scarsa produttività e trovandosi maggiormente in difficoltà tende a mollare presto.

Il lavoro agricolo richiede competenze, know how e preparazione che non si imparano dall'oggi al domani, ma sono necessari anni ed anni di esperienza e di pratica. Non si tratta solo di raccogliere frutta e verdura, anche se anche in questi due casi è necessario seguire regole e tecniche ben precise, ma dietro c'è tutto un lavoro che riguarda la cura delle piante e degli alberi: potatura, diradamento, innesti, trattamenti per la difesa, ecc…

Ma non solo. Nel corso degli anni si è creato anche un rapporto di fiducia reciproca: i lavoratori stranieri sono persone che conoscono bene l'azienda e il lavoro, sono autonomi in ogni fase della giornata e ormai sono diventati parte della famiglia dell'agricoltore.


Come affrontare la crisi da Covid-19

La decisione della riapertura delle frontiere italiane a partire da ieri è arrivata anche a seguito delle numerose richieste da parte delle varie organizzazioni agricole. Ma comunque nei mesi scorsi non sono mancati gli interventi e le decisioni del Governo per far fronte e per tamponare la situazione di emergenza.

Primo fra tutti il cosiddetto decreto Rilancio, ovvero 'Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali, connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19'. Una vera e propria manovra di bilancio dal valore di 55 miliardi, con la capacità di liberare risorse per oltre 155 miliardi.
Una manovra contenente anche misure apposite per il settore agricolo. Dalla regolarizzazione dei migranti con una cosiddetta 'sanatoria' del lavoro nero, alla possibilità di lavorare nei campi anche per chi percepisce il reddito di cittadinanza, fino agli sconti fiscali e al sostegno economico con un'iniezione di liquidità.

Particolare attenzione inoltre è stata posta ai cosiddetti corridoi verdi e ad una vecchia conoscenza: i voucher. Mentre lo scopo dei primi è quello di far arrivare da altri paesi Ue, quasi esclusivamente dall'Est, quei lavoratori che ogni anno, da anni, vengono nella nostra penisola per lavorare nelle nostre aziende, i secondi servirebbero ad agevolare l'assunzione di manodopera italiana. Le Organizzazioni professionali chiedono la realizzazione dei corridoi verdi e il ripristino dei voucher. Ma per i sindacati questi ultimi sono uno strumento sbagliato, in quanto già oggi il Contratto nazionale dell'agricoltura prevede forme di assunzione semplificate.

Ad oggi il dibattito continua e in attesa dei tanto attesi corridoi verdi alcuni agricoltori si sono attrezzati da soli. E' il caso per esempio della Tenuta Hofstätter, in Alto Adige, che ha mandato un jet privato per prelevare delle lavoratrici romene bloccate al confine con l'Ungheria. L'imprenditore altoatesino, che produce vini di fascia alta, non voleva infatti rinunciare alle sue braccianti: persone fidate e che conoscono il lavoro.
O il caso di quaranta aziende agricole del Fucino, più una di Vicenza, che hanno pagato un volo charter per fare arrivare dal Marocco più di duecento braccianti.

Ma se nella maggior parte della penisola quello della mancanza di manodopera ha rappresentato il problema principale e molti hanno tirato un sospiro di sollievo a partire da ieri, in alcune zone d'Italia il problema attuale sembra essere un altro: le gelate primaverili. Queste ultime hanno infatti arrecato danni alle coltivazioni ed ora il problema è come impiegare la manodopera fidelizzata e già specializzata, anche perché poi il rischio è che l'anno prossimo non tornino e quindi non si abbiano a disposizione.
 

E il turismo?

Se da un lato si sta cercando di lasciarsi alle spalle la situazione d'emergenza, dall'altro l'arrivo dei turisti resta ancora un'incognita.

A farne le spese naturalmente è tutto il comparto del turismo, agriturismi compresi. Un duro colpo per questi ultimi: per il 2020 l'Ismea prevede infatti una perdita complessiva di circa 970 milioni di euro, pari al 65% del fatturato. Complice sia il tracollo della domanda internazionale, prima voce di fatturato per gli agriturismi con un 59% dei pernottamenti complessivi, ma anche la caduta della domanda interna a seguito delle restrizioni dei mesi scorsi, con una perdita di circa 200 milioni, pari al 40-50% della quota annua derivante da ospiti italiani, e altri 70milioni di euro di mancati incassi.

Dallo scorso 18 maggio in alcune regioni e dal 25 maggio in altre, però, le strutture hanno iniziato a riaprire le porte. Il tutto nel rispetto delle indicazioni e delle linee guida da adottare per prevenire ed evitare il rischio di contagio da coronavirus. E un ulteriore passo avanti si è avuto dal 3 giugno con la riapertura dei confini tra le varie regioni e delle frontiere.

Dunque anche questo settore prova a rialzare la testa, anche se la vera ripartenza ci sarà nei mesi estivi.