La tentazione è grande: scrivere del coronavirus.
Ma l'argomento, si direbbe, poco ha a che fare con l'agricoltura. Ma non è vero.
Potete infatti scommettere due cose: 1) la prossima paura collettiva riguarderà il cibo; 2) ve la dico alla fine.

Mi fermerei alla prima scommessa per giustificare l'articolo agricolo. Se fate mente a luogo, otto casi su dieci di paure collettive riguardano i prodotti alimentari: intossicazioni, avvelenamenti, pesticidi, etc.

Qualcuno ha memoria, per esempio, del caso mucca pazza? Una ventina di anni fa riempì tutte le prime pagine e i telegiornali mondiali causando una vera e propria psicosi collettiva. Per poi, più o meno, scomparire. Lasciando però alcune eredità storiche  - alcune dovute a corrette interpretazioni altre a veri e propri travisamenti.
La crescita vertiginosa del mercato dei prodotti biologici parte per l'appunto in quel periodo che invece, tanto per ricordarlo, ha rappresentato praticamente la morte del settore agricolo e zootecnico inglese (per i più giovani: i primi casi si svilupparono in Uk).

Mi dice l'adorata Treccani che la diffusa reazione di paura, ansia se non addirittura panico, in segmenti significativi della popolazione (pensate ai supermercati presi d'assalto) si chiama "infodemia" ovvero: "la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili". 

E adesso vi dico della seconda scommessa: la prossima settimana non si troverà più nessuno che ammetterà di aver avuto paura. E magari questo è anche un augurio.