Fino a non troppi decenni fa non era inconsueto vedere campi coltivati a seminativi punteggiati di alberi, soprattutto ai bordi dei terreni. I sistemi agroforestali sono passati di moda e, se ancora ci si può imbattere in pioppi o alberi da frutto in terreni coltivati a grano od orzo è più un'eredità del passato che una scelta consapevole. All'ultima edizione di Fieragricola, a Verona, si è parlato proprio di agroforestazione, nell'ambito di un evento intitolato 'Strategie per riportare il carbonio nei terreni agricoli' e organizzato da Veneto agricoltura.

I sistemi agroforestali prevedono appunto di integrare coltivazioni legnose con altre colture agrarie in modo da massimizzare i benefici e le interazioni fra le due coltivazioni. La convinzione radicata però nella mente degli imprenditori agricoli è che gli alberi abbassino la resa delle altre colture, che richiedano competenze particolari nella gestione, non ne percepiscono poi il ritorno economico possibile.

Durante l'evento che si è svolto a Verona sono stati invece presentati dati, che andranno ulteriormente approfonditi nelle prossime annate agrarie, che cercano di restituire una fotografia a tutto tondo dei sistemi agroforestali perché, se è vero che, in alcuni casi, la resa del seminativo coltivato fra filari di alberi diminuisce, è necessario considerare altri vantaggi e mettere a punto strategie per minimizzare l'impatto sulle rese. Gli alberi poi vanno considerati come coltura loro stessi e finiranno per produrre un reddito.

Il sistema di coltivazione misto ha moltissimi vantaggi: massimizza il sequestro di carbonio (ricerche dimostrano che i sistemi agroforestali ne accumulano quattro volte di più di sistemi monocolturali); crea un microclima favorevole, soprattutto in stagioni particolarmente calde e siccitose (riduce l'evapotraspirazione, ripara dal vento, conserva meglio l'umidità del suolo e riduce lo stress termico); massimizza l'uso delle risorse.

Nonostante tutto è innegabile che la coltura erbacea, in climi temperati, subisca un calo di resa, in media la riduzione è intorno al 30% ma tutto dipende dall'età degli alberi, dalla gestione della chioma, dalla larghezza dell'interfila e dalle due specie in questione. Eppure il concetto stesso di resa dovrebbe essere aggiornato per abbracciare una visione più larga. Come si diceva, gli alberi stessi vanno considerati e trattati come coltura, ciò che conta quindi è il risultato delle due colture assieme. Entra in gioco un rapporto, il Ler (Land equivalent ratio). In sostanza ci si chiede: quanti ettari delle due colture sommate sono in grado di produrre quanto un ettaro di agroforestazione? Se la risposta è un numero superiore a uno significa che accoppiare le due colture conviene, anche dal punto di vista economico. In bibliografia esistono casi di rapporto 1,4 fra colture erbacee e pioppo.

Per ottenere il massimo risultato è necessario pianificare con attenzione, fin dall'inizio, il disegno del sistema agroforestale, densità dei filari (in funzione dell'altezza dell'albero scelto), orientamento, immaginare la meccanizzazione che sarà necessario utilizzare fra i filari, decidere la distanza fra gli alberi lungo i filari, identificare la miglior combinazione fra specie e magari, in futuro, selezionare varietà di colture erbacee che meno soffrono per la minore disponibilità di radiazione solare dovuta all'ombra prodotta dagli alberi. Servono ancora molte risposte, ma in Veneto si sono messi al lavoro e ci sono già alcuni risultati su un anno di sperimentazione. Si tratta di dati raccolti purtroppo nel 2019, un'annata che, tutti sanno, essere stata veramente particolare dal punto di vista meteo.

Un sistema silvoarabile con filari di pioppo ibrido e farnia piantati lungo le scoline aziendali
Un sistema silvoarabile con filari di pioppo ibrido e farnia piantati lungo le scoline aziendali
(Fonte foto: Veneto agricoltura)

Una prova sperimentale è stata condotta dall'Università di Padova, con isolatori con reti ombreggianti a diversi livelli di riduzione della radiazione (-30% o -50%), più un controllo in pieno sole. Sono state messe alla prova tre varietà di frumento, due vecchie (Terminillo e Piave) e una moderna (Bologna). L'idea era di capire come si comportava il frumento nella nuova situazione.

Quali sono stati i risultati? In tutte le varietà si è ottenuto un allungamento del ciclo di sviluppo e un ritardo fenologico di circa una settimana dalla fioritura in avanti. Ciò potrebbe portare a una fase più lunga di riempimento delle cariossidi, un effetto interessante in anni particolarmente caldi e siccitosi. E la resa? Le varietà vecchie hanno reagito male perdendo dal 20 al 60% ma la varietà moderna, Bologna, in caso di moderata riduzione di radiazione (-30%) ha guadagnato il 10% in resa. Da notare poi che tutte le varietà hanno mostrato un incremento del contenuto proteico. In particolare la varietà moderna ha mostrato non solo un aumento del contenuto ma anche della qualità delle proteine in termini di glutine umido e attitudine alla panificazione.