Il primo dicembre scorso si è insediata la nuova Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen. Sul tavolo del successore di Phil Hogan, il polacco Janusz Wojciechowski, c'è la riforma della Politica agricola comune. Una riforma che ha già iniziato il suo iter legislativo europeo e che deve fare i conti con un budget tagliato del 5%, almeno secondo la proposta del Consiglio Ue (leggi gli Stati membri).

Un taglio causato principalmente dall'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea, ormai resa certa dalla vittoria di Boris Johnson nelle ultime elezioni in Gran Bretagna. "Non dobbiamo rassegnarci ad un taglio del budget destinato alla Pac", spiega ad AgroNotizie Herbert Dorfmann, eurodeputato eletto tra le file del Südtiroler Volkspartei e membro della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo.

Herbert Dorfmann, quali sono i margini di manovra?
"La proposta di bilancio, come formulata dal vecchio commissario nther Oettinger, non sembra avere una maggioranza in Consiglio. Mi aspetto dunque che venga avanzata una nuova proposta e credo che anche in considerazione del lancio del Green new deal i fondi destinati alla Pac non dovrebbero essere tagliati".

Il Green new deal vuole traghettare l'economia europea verso un sistema produttivo a basse emissioni, in che modo l'agricoltura viene coinvolta?
"Si tratta di una politica ambiziosa in cui anche il settore primario gioca un ruolo importante. Ma è impensabile che agli agricoltori si continui a chiedere un impegno nel mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e poi non si stanziano risorse adeguate. Se si aumentano gli impegni ambientali si deve aumentare anche la dotazione finanziaria".

Corrono voci che l'entrata in vigore della nuova Pac slitterà di almeno un paio di anni. Condivide questa previsione?
"Assolutamente no. Come Parlamento Ue voteremo la proposta della Commissione prima dell'estate prossima, a maggio o giugno. La palla passerà poi al Consiglio che dovrebbe votare in autunno. Questo darebbe agli Stati membri il tempo di definire i Piani strategici nazionali durante il 2021 in modo da partire nel 2022 con la nuova Pac. Si tratta insomma di un solo anno di rinvio come accaduto anche con la scorsa programmazione".

Quali sono i punti che la convincono di meno di questa nuova proposta di Politica agricola comune?
"Rimango scettico riguardo al tentativo di rinazionalizzare la Pac dando agli Stati membri ampissimi margini decisionali. Sono scettico per due ragioni. Primo, perché si rischia di spezzettare il mercato unico europeo. La seconda ragione riguarda la poca responsabilità nella gestione dei fondi Pac che alcuni Stati europei hanno dimostrato negli anni passati".

Crede che il metodo di distribuzione delle sovvenzioni agli agricoltori sia ancora attuale?
"È anacronistica la distribuzione dei fondi diretti sulla base dei valori storici dei titoli. È un approccio che va abbandonato al più presto. Inoltre bisogna ritornare sul concetto di agricoltore attivo. In Europa ci sono ancora troppi soggetti che non c'entrano nulla con l'agricoltura ma che percepiscono fondi comunitari. La Pac deve sostenere primariamente le famiglie di agricoltori che vivono il territorio e producono cibo per la comunità".


Herbert Dorfmann, membro della Commissione Agricoltura al Parlamento europeo
(Fonte foto: Parlamento europeo)

Ci sono degli elementi di novità che secondo lei sono migliorativi?
"L'eliminazione del greening è forse la cosa più interessante. Era sotto gli occhi di tutti che questa misura ambientale così come era stata pensata era totalmente inutile, una presa in giro per gli agricoltori. Era un approccio semplicistico ad un problema serio. Con la nuova programmazione si è cercato di correre ai ripari. In termini ambientali la maggiore sussidiarietà introdotta con la nuova Pac è interessante perché permette di calare nei territori dei principi generali utili alla salvaguardia ambientale".

Ci sono altri elementi di novità interessanti?
"La proposta di destinare il 3% del Primo pilastro alle politiche di filiera mi sembra utile, anche se la percentuale poteva essere più coraggiosa. Dobbiamo uscire dalle logiche degli aiuti disaccoppiarti e tornare a guardare alle specificità delle filiere. Per questo scopo i programmi operativi sono uno strumento utile".

Per quanto riguarda il ricambio generazionale c'è qualcosa di nuovo?
"Non molto. Oggi di fatto la Pac è strutturata in modo da permettere il ricambio generazionale solamente all'interno della famiglia, di padre in figlio, mentre rende molto difficile l'ingresso di nuovi soggetti. Le barriere all'ingresso sono varie e sicuramente una è determinata dal calcolo su valori storici dei contributi del Primo pilastro. Con questo approccio i nuovi agricoltori non possono essere competitivi nei confronti di quelli che hanno maturato dei titoli nel passato. Dobbiamo poi dare maggiore valore al ruolo dell'agricoltore".

In che senso?
"Gli agricoltori giocano un ruolo fondamentale nell'assicurare cibo alla società e dunque anche il loro ruolo deve essere valorizzato. Soprattutto se chi si affaccia a questa attività ha intrapreso un percorso di studi specifico e utilizza metodi innovativi. Inoltre dobbiamo fornire servizi agli agricoltori, soprattutto se abitano in aree isolate. Dobbiamo rendere attrattiva questa professione non solo dal punto di vista del reddito, che comunque deve essere garantito, ma anche dello standard di vita. Oggi un giovane che pensa di mettere su famiglia in una zona rurale viene scoraggiato dall'isolamento e dalla mancanza di servizi".