La cronaca di questi giorni mi impone di parlare di nocciole. E non solo perché un noto leader politico nazionale si è espresso contro l'importazione di nocciole turche - che sarebbero presenti in un notissimo prodotto bandiera dell'agroalimentare italiano.

Ma anche perché ho avuto l'onore di presentare al pubblico l'ultima fatica degli amici Gigi e Clara Padovani che, assieme a Irma Brizi, hanno scritto l'"Enciclopedia della Nocciola" (ed. Mondadori) - oltre che di coordinare assieme a Rosario D'Acunto, presidente della Associazione Città della nocciola, un bel convegno alla Fondazione Fico di Bologna dedicato appunto alla corilicultura. Un piccolo appunto tanto per capirci: la filiera della nocciola vale in Italia circa 3 miliardi di euro e all'associazione Città della nocciola aderiscono oltre 200 comuni italiani, dal Piemonte alla Sicilia.

La coltura del nocciolo sta vivendo un vero e proprio boom, un boom provocato in primo luogo dalla forte richiesta dell'industria delle creme spalmabili (insomma avete capito…) e di tanti prodotti dolciari (avete presente i wafer? poi le cioccolate…) ma anche dall'aumento del consumo di frutta secca. La coltura del nocciolo si sta estendendo non solo in Italia ma anche in diversi paesi esteri - dalla Turchia (che è di gran lunga il maggiore produttore mondiale, con il 73% dell'offerta totale) alla Georgia, all'Australia, fino alla Serbia. L'Italia deve quindi preservare, valorizzare e sviluppare l'ennesimo "giacimento" agroalimentare. Impostando un precisa strategia nazionale. Ci fa quindi ben sperare che il tavolo corilicolo, fermo dal 2010, sia riaperto a breve - come ha dichiarato proprio al convegno di Bologna Pietro Gasparri del Mipaaf.

Il nocciolo può essere una straordinaria risorsa per il territorio e il paesaggio, al pari della vigna. E una risorsa per i produttori, a patto che i prezzi siano remunerativi e che il prodotto non venga relegato fra le mille commodities, in concorrenza selvaggia fra di loro nello spietato mercato internazionale delle merci indifferenziate. Una strategia che valorizzi quindi i territori e le aree vocate anche attraverso specifiche iniziative di marketing territoriale, che prenda in considerazione un dialogo costruttivo con l'industria (sono ben tre le multinazionali che operano nel settore in Italia e pare che almeno due stiano investendo su accordi di filiera), che punti anche sulle piccole produzioni - quelle di alta qualità, quindi sostenendo quegli agricoltori che decidono di puntare con coraggio ed intraprendenza sulle proprie capacità.

Una scoperta che devo a quell'infaticabile talent scout gastronomico di Gigi Padovani sono per esempio i "pasticceri a km 0": quei produttori agricoli che in azienda aprono laboratori dove si fanno prodotti (vi assicuro) strabilianti.

E qui mi viene un consiglio da dare a tutti (leader politici o meno). Un consiglio per mantenere la linea e per mangiare cose ghiotte che fanno bene. Comprate una crema al 50% di nocciola, fatta con nocciole di un'area vocata, magari a km 0. Mangiatene poca, anche perché la pagherete (ovviamente) molto di più. Comprare meno e comprare meglio - buy less, but buy better. Spieghiamolo a tutti.