I contratti di filiera sul grano duro sono ormai una realtà consolidata. Come noto in Italia ne sono censiti 12mila su 200mila ettari, qualcosa come il 15% della superfice italiana vocata a questo cereale. L'interesse è crescente e la proposta di aderire ad uno di questi è ormai dietro l'angolo per qualsiasi agricoltore operi nel settore cerealicolo. Per cui è bene fare alcune riflessioni prima di decidere se utilizzare o meno questo strumento per tentare di spuntare qualcosa in più sul prezzo di cessione di grano duro. Perché come ogni strumento presenta i suoi pro e i suoi contro.
 

Contratti di filiera grano duro, che cosa sono

Un contratto di filiera sul grano duro è definito dal Decreto ministeriale n. 4529 del 14 novembre 2017 come un accordo “tra i soggetti della filiera cerealicola, finalizzato a favorire la collaborazione e l’integrazione tra i produttori e le imprese di trasformazione del grano duro, il miglioramento della qualità del prodotto e la programmazione degli approvvigionamenti, sottoscritto dai produttori di grano duro, singoli o associati, e altri soggetti delle fasi di trasformazione e commercializzazione”.

In un contratto di filiera si interseca un preminente interesse pubblico – che è la certezza degli approvvigionamenti agroalimentari – con una serie di interessi privati diffusi: la programmazione della produzione da parte dell’industria, unita alla qualità della materia prima, la sicurezza di un prezzo base per i cerealicoltori, non disgiunta da una quota di maggiore assistenza tecnica. I soggetti che interagiscono sono molteplici: industrie molitorie e della pasta, stoccatori, sementieri e cerealicolotori.

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Incentivi supplementari in regime di de minimis

Per incentivare l’agricoltore a sottoscrivere i contratti di filiera sul grano duro, è previsto un aiuto supplementare ad ettaro massimo di 200 euro ad ettaro, su non oltre 50 ettari per azienda ed in regime di de minimis, come disposto dal Dm n. 4529 del 14 novembre 2017, a patto e condizione che si rispettino determinati minimali di semina: 150 kg/ha per tutte le varietà, eccetto la Senatore Cappelli, che ha un minimale di 130 kg/ha. Anche visti i ritardi nel pagamento di questo aiuto da parte di Agea, non è certo in questo aspetto la convenienza dei contratti di filiera. Alcune regioni pagano premi suppletivi per i grani antichi, per il biologico e altro ancora. E' sempre previsto l'utilizzo di sementi certificate, non sempre di una sola varietà, in molti casi il bouquet varietale è studiato per andare incontro alla varie tipologie di terreni e microclimi.
 

Obiettivo qualità

Possono esserci motivazioni diverse per coltivare in azienda dei terreni a grano duro. Dall’utilizzo zootecnico interno alla mera volontà di mantenere in piedi il titolo Pac corrispondente, ad un accordo con il vicino. Ovviamente, in questi casi, non si bada molto alla qualità del prodotto finale, e si tende volutamente a minimizzare le spese vive di coltivazione, volte a rispettare il minimo indispensabile le buon prassi agronomiche, per ottenere un prodotto buono per la zootecnia o per un uso tradizionale, come, ad esempio, la produzione di semola finalizzata alla panificazione. In questo caso, sementi non certificate e concimazioni al minimo sono la regola. Ci si accontenta di una buona lavorazione del terreno. E ovviamente i contratti di filiera non entrano neppure nel novero delle opzioni.
I contratti di filiera entrano in gioco quando si punta ad immettere sul mercato un prodotto che possa entrare nella filiera grano-pasta. Cambiano intanto i prezzi che si conta di spuntare e per un grano di grande qualità, soprattutto per il tenore in proteine.
 

I prezzi base e il tenore in proteine

Dando uno sguardo alle quotazioni delle Borse merci è facile vedere che si intende per grano duro fino il cereale che ha almeno il 12% di proteine, quindi adatto alla pastificazione industriale, con una deroga di uno 0,50% solo per il biologico. Sulla base di questa richiesta minima in proteine si fissano i prezzi, minimi e massimi, nelle Borse merci. Ma nei contratti di filiera, in genere , l’accesso al prezzo base è garantito da proteine almeno al 14,5%. E oltre questa soglia scattano premialità sul prezzo al raggiungimento di tenori di proteine ancora più elevati. Questo significa un maggior impegno del cerealicoltore in tutte le fasi colturali, dalla semina all’accestimento fino alla trebbiatura, con operazioni ripetute di diserbo e concimazione, che fanno lievitare i costi: concime, diserbante e carburante agricolo.
 

La valutazione di un contratto di filiera

La domanda che molti si pongono è: con quale strategia si deve affrontare un contratto di filiera? Intanto vale la pena farsi aiutare a leggere bene i contratti di coltivazione che gli stoccatori o le aziende di trasformazione per loro tramite propongono: contengono disciplinari di produzione veri e propri, che vanno valutati con molta attenzione. Questi devono essere coerenti con il regime dei premi. Il tutto deve essere credibile: le maggiorazioni di prezzo in favore del cerealicoltore devono scattare quando sia stata compiuta una spesa aggiuntiva per la coltivazione che possa essere effettivamente recuperata e con un certo margine dato il target di proteine raggiunto.
 

Le strategie di approccio al contratto di filiera

Dopo di che - se il contratto nell'insieme è convincente - in molti casi può valere la pena puntare ai premi più elevati. Ecco spiegato perché: una strategia minimalista, che punti al prezzo minimo garantito, è comunque non esente da maggiori costi, ma in caso di piogge al momento sbagliato, che impongono di rifare trattamenti o concimazioni, si rischia facilmente di vanificare l’aggancio al contratto di filiera. E vanno messi in conto ulteriori maggiori costi per il raggiungimento del tenore minimo di proteine che vale il prezzo minimo del contratto di filiera. E se gli eventi sfavorevoli si manifestano tardi per cambiare il management di coltivazione, si rischia di produrre senza grandi vantaggi.

In questo caso, un abbandono del disciplinare di produzione rende il rischio ancora più grande e tanto più elevato se i mercati sono in discesa: perché c'è la concreta possibilità di ritrovarsi un grano duro fino al 12-13% di proteine, fuori dal contratto di filiera, ed essere pagati a prezzo di mercato. Un evento che può far chiudere un’annata in rosso.

In molti obiettano che vi è anche il rischio inverso: puntare ai premi più alti, a prescindere da ogni altra considerazione, potrebbe incrementare ancor più i costi di coltivazione. E un evento fuori norma può ugualmente danneggiare il cerealicoltore. In questi casi però, a patto di produrre comunque sopra il 14,5% di proteine, si resta nei termini del contratto di filiera e il prezzo minimo più un certo premio funzionano almeno da salvagente rispetto ad una linea dei costi immaginata per ridurre un livello dei ricavi un po' più elevato.
 

Come farsi assistere nelle decisioni

In questi casi il cerealicoltore ha un solo vero alleato: l’agronomo di fiducia - ancora meglio se è riuscito ad implementare un sistema basico di agricoltura di precisione, magari con i mezzi più costosi in nolo da contoterzisti. Un autonomo Decision support system sganciato da quello eventualmente offerto dal contratto di filiera, può aiutare a valutare con maggiore serenità e oggettività le scelte da compiere.

Una buona conoscenza della natura del terreno, magari metro per metro, e un’esperienza di almeno un anno con questi mezzi - tale da generare una prima mappa di prescrizione - unita ad un management oculato delle rotazioni colturali, può far risparmiare sugli immancabili consigli per gli acquisti che tutti i contratti di filiera contengono.

I disciplinari di coltivazione premono il pedale sulle concimazioni azotate e a base di zolfo, queste ultime pensate talvolta come strutturanti per le proteine, in realtà necessarie anche ben prima che arrivino le spighe, per dare maggiore forza alle piante e resistenza alle avversità. Come noto, non esiste una sola ricetta per fare buon grano: le condizioni pedoclimatiche spesso decidono la partita più di ogni altra cosa. E su tanto la conoscenza del territorio dell’agricoltore e le analisi del terreno sono decisive.
 

Decisioni di semina, prezzi di mercato e contratti di filiera

L’adesione più o meno massiccia ai contratti di filiera è spesso guidata dall’andamento dei prezzi di mercato nei momenti di semina: più i prezzi di mercato sono elevati, minori sono le adesioni e viceversa.
E’ un atteggiamento rischioso: tra la semina e il raccolto, in caso di scelta per una soluzione di mercato, trascorrono mesi, nei quali i prezzi di mercato, magari percepiti oggi come elevati e crescenti, possono crollare sotto mietitura. Meglio scegliere di aderire – o anche di non aderire - sulla base dei propri costi, delle proprie aspettative e conoscenza della reddittività aziendale. Sarà in ogni caso la scelta migliore, la più razionale ed esente da fenomeni di illusione finanziaria di qualunque origine.
 

I prezzi minimi in tempi di rialzo dei prezzi

Spesso si è obiettato che in tempi di costanti aumenti dei prezzi, i contratti di filiera possano non convenire all’agricoltore, che ne uscirebbe penalizzato. In realtà oggi i prezzi minimi dei contratti di filiera sono fissi solo se i mercati tendono a presentare prezzi stazionari o calanti. In caso di valori di mercato con aumenti continui e costanti, e che superino di una certa soglia i minimi fissi contrattuali, i modelli contrattuali considerano in genere come prezzo minimo del contratto di filiera da corrispondere al cerealicoltore, la media tra prezzo minimo e massimo di una Borsa merci riferita in contratto.
 

Conclusioni

Coltivare grano duro espone a molti rischi, i contratti di filiera ne neutralizzano uno: quello legato alle oscillazioni, anche rilevanti, del prezzo di mercato nel tempo. Affrontare un contratto di filiera però fa lievitare i costi di coltivazione, che devono essere ben indirizzati e bilanciati, in modo da consentire ad i più elevati prezzi spuntati di incrementare realmente la redditività aziendale.