Ceta, non Ceta. Grani moderni, grani antichi. Agricoltura, industria e Gdo. Pare che il grano duro sia comun denominatore di molteplici aspetti dell'agroeconomia italiana. Basti ricordare i numeri forniti dall'industria della pasta, con un volume di scambi commerciali che sfiora ormai i 15 milioni di tonnellate annue. Per giunta in crescita, lasciando al Belpaese la leadership incontrastata quanto a produzione, export e consumi interni.

Circa il 23% della pasta mondiale è peraltro prodotto in Italia, la quale di tonnellate ne sforna 3,4 milioni, il 58% delle quali è destinato all'export. Peccato che se per produrre tutta questa pasta volessimo impiegare solo grano duro italiano, questo basterebbe solo per coprire un terzo del fabbisogno. Ciò stando a quanto afferma Cosimo De Sortis, presidente di Italmopa, associazione delle aziende che lavorano grano tenero e grano duro.

Oltre all'atavica carenza di prodotto interno, vi sono anche porzioni di produzione che vanno "corrette" per contenuto di proteine, al fine di renderle adatte alla produzione di pasta. Quindi le importazioni servono in parte a coprire i vuoti lasciati dalla scarsa produzione interna, ma dall'altro sono necessari anche per recuperare quella quota di produzioni che di per sé non potrebbe soddisfare i parametri minimi necessari alla pastificazione.

La campagna 2019 si è mostrata interlocutoria, con rese quantitative mediamente soddisfacenti in ampie aree italiane, sebbene gli aspetti qualitativi non siano sempre stati all'altezza. Le frequenti piogge primaverili hanno difatti influito diversamente a seconda delle zona e della varietà, mostrandosi a volte negative, altre neutre, in altri casi positive. La stagione 2019-2020 è stata anch'essa martoriata dalle piogge battenti che hanno impedito le semine autunnali in ampie parti del Paese e, purtroppo, hanno mandato a ramengo anche alcuni campi che erano già stati seminati prima del diluvio.

Fatto salvo quindi che nel 2020 le quantità trebbiate saranno del tutto insufficienti, anche più del solito, vediamo cosa è possibile consigliare a chi sia riuscito a seminare per tempo senza vedersi i campi affogare sotto l'acqua, come pure a chi non si rassegni ai capricci meteo e voglia provare a seminare grano duro comunque.

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Scelta varietale

Per chi non fosse riuscito a seminare tra fine ottobre e inizio novembre, è possibile comunque pareggiare in extremis tra dicembre e marzo, selezionando ovviamente le varietà idonee a tal fine. Fino a metà febbraio, per esempio, è possibile seminare varietà che necessitano poco o per nulla della cosiddetta vernalizzazione. Alcune varietà a ciclo precoce, per esempio, si rivelano particolarmente idonee per il Centro-Sud Italia. Se invece le varietà sono del tutto indifferenti alla vernalizzazione, come quelle cosiddette "alternative", è possibile seminare fino a tutto marzo. Ciò implica ovviamente una diversa gestione delle pratiche agricole rispetto alle semine autunnali, a partire dalle lavorazioni meccaniche e agli eventuali diserbi di pre-semina in caso di sod-seeding.
 

Concimazione localizzata alla semina

Vi è solo da sperare sia stata eseguita da chi ha seminato in autunno e che tale tecnica venga tenuta da conto anche da coloro che proveranno comunque a seminare a fine inverno. La localizzazione del fosforo lungo la fila di semina è infatti in grado di alimentare al meglio le piantine in fase di primissimo sviluppo e di lanciarle alla fase produttiva nel migliore dei modi. Una necessità che se già si sente in autunno, ancor più forte diviene in caso di semine posticipate. Sul mercato esistono diversi formulati di fertilizzanti granulari localizzabili alla semina. Meglio non lesinare sul prezzo e scegliere quelli di alta fascia. Ai malumori del maltempo è infatti meglio non abbinare quellli da "braccino corto". Sono solo illusori risparmi che poi si fanno pagare con gli interessi alla raccolta.
 

Concimazione azotata

Se la semina è stata effettuata nell'epoca canonica, i primi apporti azotati dovrebbero essere già stati effettuati in ragione del 25-30% circa del totale, posizionandoli all'incirca fra metà e fine accestimento. In caso di semine primaverili tale quota è ovviamente saltata e anche le esigenze nutrizionali del grano saranno diverse, ovvero più concentrate nella fase di maggior assorbimento dell'azoto: da inizio levata fino a spiga al secondo nodo. Due terzi circa dell'azoto complessivo andrebbe infatti apportato in questa fase se si è seminato a fine ottobre, ma se si è seminato a marzo è forse necessario salire al 75% dei fabbisogni complessivi della coltura, il tutto ovviamente in forma assimilabile velocemente, come nitrato ammonico oppure urea. Infine, il restante 25% andrebbe risparmiato per la fase di botticella, quando l'azoto serve per l'accumulo di proteine nella granella.
 

Non solo azoto

Fra gli elementi per i quali il grano si differenzia da molte altre colture vi è anche lo zolfo. Dato il suo ruolo nella biosintesi delle proteine, sarà bene dare a tale elemento massima attenzione prediligendo fertilizzanti che ne contengano in quantità significativa.
 

Diserbi

Le semine a fine inverno cambiano anche gli scenari per quanto riguarda i diserbi. Se normalmente questi si effettuano già a partire dalla fase di accestimento, in inverno pieno, con erbicidi cross-spectrum, se si seminerà a marzo le lavorazioni meccaniche elimineranno di per sé la flora infestante presente e sposteranno in avanti la necessità di diserbare. Ciò non toglie che nell'arco di poche settimane il campo sarà di nuovo "sporco" e quindi non si potrà rinviare di molto il canonico intervento di post-emergenza con soluzioni erbicide il più possibile ad ampio spettro, tenendo sempre in mente gli eventuali fenomeni di resistenza che possono fare capolino a macchia di leopardo.
 

Patogeni

Anche la difesa da Ruggini, Septoria e Fusarium non vanno dimenticate, dato che la protezione della pianta, foglia bandiera in primis, e della spiga sono fondamentali per aumentare il tasso di proteine della granella e il loro livello di salubrità finale. Le micotossine non guardano infatti in faccia alle ambasce invernali dei cerealicoltori e nelle settimane calde estive a ridosso della raccolta possono comunque apportare le loro nefaste tracce. La scelta della soluzione fungicida dipenderà molto dall'areale e dal tipo di patogeni dominanti in zona, come pure dalle varietà prescelte. Un conto è seminarne una precoce, un altro una media, un altro ancora una tardiva. Lo sfasamento stagionale delle fasi suscettibili della coltura obbliga a scelte sartoriali anche in materia di difesa fitosanitaria.
 

Trebbiatura

Fatte salve le epoche di raccolta canoniche per i fortunati che sono sfuggiti alle paturnie del meteo, chi avesse invece seminato a fine inverno vede anche la trebbiatura spostarsi più al centro della stagione asciutta, ovvero quella estiva. In tali condizioni sbagliare il periodo di raccolta espone a diversi rischi, come per esempio aumentare la percentuale di perdite durante la trebbiatura. A tal fine sarà bene rivolgersi a contoterzisti dotati di mietitrebbia particolarmente evolute dal punto di vista della capacità di separazione della granella e della sua preservazione, anche dal punto di vista della riduzione della percentuale di cariossidi danneggiate. Già la stagione ha afflitto la coltura obbligando a semine differite. Meglio quindi chiudere il ciclo in modo razionale, salvando al maglio ciò che comunque si è riuscito a produrre.

Applicando razionalmente le buone pratiche di campagna è quindi possibile produrre grano duro in barba ai capricci autunnali del meteo. Una gara difficile, se ne è perfettamente consapevoli, ma non per questo condannata per forza a essere perdente.