Le piroette della Politica agricola comune dove ci porteranno? E quale sarà il futuro della Pac post 2020? Nell'incertezza degli scenari internazionali (dalla Brexit al greening, dalla rinazionalizzazione al processo di convergenza, solo per citare le incognite strettamente europee) una cosa sembra quanto mai inscalfibile ed è "l'assenza di una Politica agricola estera, che non c'è mai stata".

A dirlo è Dario Casati, uno dei più autorevoli e brillanti economisti agrari d'Europa, a lungo prorettore dell'Università di Milano.

"Eppure - prosegue Casati - i temi principali da affrontare non mancano. Pensiamo ad esempio alla questione riso: l'Unione europea ha fatto grandi concessioni a Vietnam, Cambogia e al Sud Est Asiatico, senza rendersi conto che tali agevolazioni di fatto ammazzavano l'agricoltura di casa nostra. Oppure, pensiamo agli accordi internazionali, che per inciso ritengo positivi, in quanto favoriscono gli scambi commerciali. Ma l'agricoltura - si chiede il professore - che spazio occupa all'interno di questi maxi-intese? E l'agroalimentare europeo viene adeguatamente tutelato?".

Senza cedere ad affermazioni che potrebbero essere equivocate, male interpretate o strumentalizzate nell'attuale contesto agricolo italiano, Casati auspica che l'Unione europea si muova adottando "non una politica che fa concessioni, ma che si muove in politica estera con una logica che è anche agricola".
In prospettiva, il passaggio di Phil Hogan dal ruolo di commissario Ue all'Agricoltura a commissario al Commercio estero, potrebbe riservare un cambio di rotta. "Vedremo come inciderà - commenta Casati - ma sono convinto che Hogan manderà avanti le trattative sui trattati internazionali che in Italia, chissà perché, osteggiamo".

Nel corso di un dibattito sulla riforma della Pac che si è già avviato, nonostante le prospettive di entrata in vigore nel 2021 o, addirittura, nel 2022, AgroNotizie ha fatto il punto sulla Politica agricola comune con Dario Casati. Partendo dal paradosso ambientalista: "Un rovesciamento difficile da accettare, perché l'Europa è passata dal considerare la Pac una politica verde a una politica anti-verde, dal ritenere l'agricoltore gestore dell'ambiente a nemico dei valori ambientali. Inizialmente, invece, era la stessa Pac a essere considerata la politica verde. Se si legge il Trattato di Roma del 1957, che istituisce la Comunità europea, non c'è alcun riferimento all'ambiente, perché erano considerati sufficienti gli articoli legati all'agricoltura. Successivamente c'è stato un sovvertimento sociale e un cambiamento delle sensibilità ambientali, tanto che il verde è diventato sempre più presente e di conseguenza si sono fatte tutte le normative ispirate a questo criterio".

L'ambiente è entrato prepotentemente nella vita della Pac. Come è cambiata, ancora, la politica agricola?
"Si è passati da una politica prevalentemente produttiva a una politica dell'alimentazione, non solo in senso annonario. Oggi l'attenzione sta scivolando sempre di più dalla produzione all'ambiente e la sicurezza alimentare. D'altronde, quando è stata pensata la Pac era vivissimo il ricordo dei legislatori dell'arrivo delle navi Liberty dagli Stati Uniti con i cereali. L'esigenza era un piano agricolo in grado di dare da mangiare agli europei. Oggi la quantità di cibo e la sua disponibilità non ci preoccupa più e siamo concentrati sull'alimentazione, gli alimenti e, di conseguenza, la sicurezza alimentare. Il passaggio è stato dalla scarsità di cibo alla sugar tax".

Che altri cambiamenti ha riscontrato nella Pac?
"Un tema che si è inserito prepotentemente è l'attenzione alla sicurezza del lavoratore agricolo. Una volta non c'era questa sensibilità della società".

Che cosa si dovrebbe fare per l'ambiente?
"La chiave, in fondo, può anche essere la vera sostenibilità, purché non sia intesa come ambientalismo del sacchetto di plastica, ma come sostenibilità del modo di produzione, che comprende il benessere degli agricoltori, il reddito dell'agricoltura e modi di produrre che non danneggino l'ambiente. Ma si tenga ancora una volta bene a mente che il primo a non danneggiare l'ambiente è l'agricoltore, perché ne scapitano i rendimenti, la sua salute, la qualità commerciale del prodotto. L'agricoltura suicida dipinta da un certo ambientalismo ce la dobbiamo togliere dagli stereotipi".

Una Pac ambientale aiuta o è in qualche modo un intralcio per l'agricoltura?
"Come insegnano le varie politichette ambientali che il legislatore ha infilato, tipo il greening, si tratta di metterle in opera in maniera ragionevole. Abbiamo visto diverse generazioni di Pac plasmate con modelli di agricoltura territorialmente diversi, non solo da una nazione all'altra, ma anche dalla Lombardia all'Umbria. C'è chi ha gridato allo scandalo, invece è importante tenere presente che da Lampedusa all'Estonia ci troviamo di fronte ad agricolture differenti, che vanno aiutate in base alle loro intrinseche esigenze".

Dunque la rinazionalizzazione potrebbe aiutare?
"Sarebbe secondo me una soluzione positiva".

La sua è una voce controcorrente. Tutti oggi sembrano disapprovare la soluzione della rinazionalizzazione.
"Chiarisco immediatamente: sarei più favorevole ad adottare un pizzico di rinazionalizzazione su certi aspetti definiti, perché la diversità delle agricolture europee non si concilia con una politica che con un anglicismo possiamo definire fit all: non esiste, in pratica, una taglia che va bene per tutti. Servono un po' di più misure specifiche per i diversi paesi, per macro-aree o regioni. E devo dire la verità: nella famosa comunicazione della Commissione, fatta a novembre del 2017 sul futuro della Pac, io avevo colto questo segnale e lo giudicavo positivo".

C'è un però, par di capire…
"Sì. Il problema sarebbe proprio l'Italia, perché come l'esperienza ci insegna non è in grado di fare politiche diversificate, anche quando sono derivate come quella appunto agricola. Non abbiamo fantasia, solidarietà di settore, e in più non abbiamo i soldi. Il documento elaborato dalla Commissione dice che nel famoso piano strategico gli Stati possono aggiungere quattrini, ma noi non li abbiamo proprio. Dirò di più: le stesse regioni che mettevano quattrini per l'agricoltura, adesso non ce la fanno più a sostenere tale spesa, nemmeno le più disponibili".

Avere venti Programmi di sviluppo rurale aiuta o no?
"Non sono un politico, ma il Piano strategico deve essere comunque il mosaico di quelli regionali, dato che nella Costituzione è previsto che la potestà in agricoltura sia di competenza regionale, pur con qualche ambiguità. La scala gerarchica dunque prevederebbe i piani strategici regionali, che entrano nel piano nazionale e che, per essere definitivo, deve essere giudicato compatibile dalla Commissione europea, perché entrerà nell'agricoltura comunitaria. La rinazionalizzazione trova, pertanto, un logico intoppo, visto che i punti chiave li dà l'Unione europea. Bisognerà poi fare i conti con un'altra novità: anche i meccanismi di verifica ex post rappresentano un inedito. Noi in Italia non abbiamo alcun piano con verifiche ex post e, francamente, per noi sarebbe pericolosissimo affrontare un simile percorso, perché sostanzialmente, sia detto con grande affetto, siamo dei pasticcioni".

Quando si parla di Pac uno dei grandi temi riguarda la burocrazia e l'esigenza di semplificare gli eccessi. C'è un vero interesse  a semplificare da parte di chi vive delle pratiche Pac?
"La burocrazia è conservatrice e auto-riproducente. Lo vediamo in ogni aspetto della vita: da quando abbiamo tutto telematico, il fabbisogno del personale aumenta. È la cosiddetta legge di Parkinson, secondo la quale più perdeva peso l'Impero britannico e più aumentava il numero di addetti al ministero delle Colonie o al ministero della Marina militare, la cui burocrazia cresceva esponenzialmente al ridursi del tonnellaggio delle navi in forza alla Marina stessa. Non bisogna tuttavia scadere nel luogo comune che porta a demonizzare a prescindere gli apparati burocratici. L'ideale sono burocrazie snelle, veloci e competenti. Questo è tutto da vedere con la prossima Pac. Mi sento comunque di dire che la burocratizzazione della Pac va bene nella fase del mantenimento degli standard. Quando si ironizza sulla curvatura del cetriolo, si dimentica che noi italiani nel 1950 avevamo norme per la forma dell'ortofrutta. Quindi, direi 'no' alla burocrazia per la burocrazia, ma 'sì' per la necessità di poter comunicare"

Nodo risorse finanziarie, altra questione di primaria importanza.
"Oggi il Regno Unito è ancora nell'Unione europea e le risorse britanniche sono ancora nel bilancio Ue. Ammettiamo pure che escano dalla prossima programmazione. Ma quello che penalizzerà l'Italia sarà di nuovo un riposizionamento nell'ottica della convergenza".

Che cosa significa?
"Che saremo contribuenti netti al bilancio comunitario più di adesso. Nella proposta della Commissione del 2017 c'era stato un occhio di riguardo verso l'agricoltura e non avremmo perso molto rispetto al quadro finanziario vigente. Cosa sia successo dopo non si sa, perché lo vogliono ridiscutere nuovamente. Il bilancio non aumenterà e, anzi, con il nuovo regolamento transitorio adottato dalla Commissione, nel 2021 l'agricoltura italiana subirà un taglio di risorse di 370 milioni di euro. Le risorse, purtroppo, caleranno in assoluto e credo che un sacrificio verrà richiesto anche all'agricoltura".

Un commissario polacco, Janusz Wojciechowski, è un inedito per la Commissione Agricoltura. Che cosa ci si potrebbe aspettare sia per la convergenza che per il modello estensivo che caratterizza l'Europa Centro Orientale?
"Ci aspettiamo un'accentuazione del modello della convergenza, che nella proposta della Commissione era più leggera.  L'agricoltura polacca è avvantaggiata dalle logiche della vecchia Pac, perché come tipo di agricoltura è simile alla Germania. Wojciechowski ci metterà sicuramente del suo, anche per l'esperienza che ha come magistrato contabile, il che è un inedito. La Polonia è un po' la Spagna del gruppo dell'Est, se posso azzardare un paragone: sono organizzati, sono grandi paesi come estensione, hanno una popolazione numericamente significativa e hanno molto da rivendicare".

Che cosa prevede?
"Ci sarà presumibilmente un blocco dell'Est; non sui partiti, ma sui paesi. Gli investimenti in chiave di irrigazione, di impianti di lavorazione li ha pagati a suo tempo tutti il comunismo. Le dimensioni aziendali oggi sono diverse da quelle di allora e le aziende sono state ricostituite in una dimensione più contenuta. La Polonia è una via di mezzo tra Est e Ovest e il commissario europeo polacco capisce molto bene i problemi di quelli dell'Est. Non posso però ipotizzare grandi favoritismi. Anzi, bisogna ricordare che nelle commissioni di una volta il fair play era una regola non detta, ma rispettata, adesso non lo so. Quello che è certo è che Bruxelles ha regole di comportamento che noi italiani non riusciamo a capire: i consigli dei ministri erano quasi dei consigli di amministrazione, con poco spazio all'exploit politico in grado di sistemare le cose a colpi di compromessi. L'Italia non lo ha capito, così come non è stata assimilata la vecchia regola comunitaria, in base alla quale non viene assegnato un commissario a un paese che ha forti interessi in quel settore".

È per quello che all'Italia, così come alla Germania o alla Francia non viene assegnato il ruolo di commissario all'Agricoltura?
"Sì".

In una sua recente partecipazione a un dibattito sulla Pac a Milano lei ha delineato tre scenari sul futuro della Politica agricola comune in Italia. Quale potrebbe essere il più probabile?
"Quello più attenuato, il più conservatore realisticamente. Credo che in Italia non cambierà la figura dell'agricoltore attivo: abbiamo già faticato abbastanza per raggiungere una definizione condivisa, avendo mancato l'intesa sulla definizione di agricoltore a titolo principale. Abbiamo avuto enormi difficoltà per applicare l'attuale Pac, tanto che abbiamo copiato il modello irlandese per i pagamenti accoppiati, frutto di compromessi politici, sindacali e territoriali. In Francia, al contrario, hanno puntato sul sostegno forte alla zootecnia".

Spariranno gli aiuti accoppiati?
"Apparentemente no, ma bisogna vedere con quali fondi verranno attuati".

Quale potrebbe essere il grande "intoppo" della Pac?
"Il vero problema incombente è la convergenza nei pagamenti tra area ed area e tra nazione e nazione. A mio avviso l'Unione europea ha fatto molto bene ad aprirsi ad Est, ma sul fronte dei sostegni all'agricoltura oggi l'Italia sconta una doppia strozzatura: la convergenza interna e quella internazionale. Significherà per l'agricoltura italiana studiare soluzioni per migliorare l'efficienza, ridurre i costi di produzione, essere più performanti, spingendo anche su internazionalizzazione e infrastrutture. Altrimenti per la redditività delle imprese agricole saranno dolori".