Vite, pomodoro, frumento, pesco, albicocco, ciliegio e melo. Sono queste alcune delle colture che hanno permesso al made in Italy di diventare grande nel mondo. Ma i cambiamenti climatici, l'arrivo di nuovi patogeni e il mutamento dei gusti dei consumatori stanno rendendo obsolete le cultivar tipiche del nostro paese.

La vite e il melo sono sempre più sotto la pressione dei funghi, il pomodoro 'non sa più di niente', mentre il ciliegio e il pesco risentono di nuove fitopatologie. E basta guardare alla campagna cerealicola 2018-2019 per capire quanto il fumento tenero e duro siano in difficoltà.

Davanti a queste sfide gli agricoltori cercano delle risposte. Una opzione è certamente quella di ricorrere agli agrofarmaci per difendere le piante, ma un aumento di consumo è poco sostenibile in termini economici ed ecologici e il legislatore, come l'opinione pubblica, chiede alternative.

Un'altra possibilità é quella di utilizzare varietà piu moderne, piu adatte alle nuove condizioni ambientali e che incorporino anche resistenze genetiche a diverse malattie. In Italia tuttavia il settore della ricerca genetica, che è alla base della selezione varietale, non ha ricevuto nel passato l'attenzione necessaria e come conseguenza il sistema sementiero nazionale in molte specie è marginale. Il risultato è l'utilizzo di varietà estere o sviluppate in Italia su conoscenze estere. Tutto ciò ha un costo e crea una dipendenza del paese per un settore che è alla base dell'agricoltura e, di fatto, del made in Italy alimentare.
 

La speranza delle New breeding techniques

Una rivoluzione nel settore del miglioramento genetico è rappresentata dalle New breeding techniques. Moderne biotecnologie, definite sostenibili, che permettono di modificare i geni di un organismo vivente in maniera veloce, precisa e sicura, in quanto possono apportare modifiche puntuali senza introdurre geni da organismi non sessualmente compatibili (leggi questo articolo per approfondire il tema).

Per rivitalizzare la ricerca genetica ed il settore sementiero l'Italia ha puntato su quest'ultima strada finanziando con 6 milioni di euro Biotech, un progetto voluto dal ministero delle Politiche agricole e gestito dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'economia agraria (Crea). "Nonostante le enormi difficoltà burocratiche siamo partiti e il primo risultato ottenuto è stato quello di abilitare oltre quindici gruppi di ricerca in Italia ad operare con queste nuove tecnologie", spiega ad AgroNotizie Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca genomica e bioinformatica del Crea e responsabile del progetto Biotech.

"L'obiettivo è quello di sfruttare l'enorme variabilità genetica che abbiamo in Italia per rendere le colture al passo coi tempi, in modo che il made in Italy possa essere ancora più competitivo. In Italia negli ultimi decenni abbiamo investito molto per sequenziare il genoma delle colture più coltivate, penso ad esempio al frumento, ma poi si rischia di non cogliere le enormi possibilità di miglioramento genetico che derivano dalla combinazione delle conoscenze sul genoma con le Nbt".

Ma perché fare ricorso alle biotecnologie e non agli incroci 'classici', come faceva Mendel? "Prima di tutto perché con le Nbt si riducono drasticamente i tempi, parliamo di anni. In secondo luogo perché si è molto più razionali nel selezionare i tratti di interesse. Infine perché utilizzando le Nbt è possibile preservare l'identità specifica delle varietà italiane", spiega Cattivelli.
 

Varietà uniche e moderne

Un esempio è quello della vite da vino. Oggi la viticoltura fa ampio ricorso ai fungicidi con numerosi trattamenti a stagione. Per ridurne il numero i ricercatori hanno provato ad incrociare varietà selvatiche portatrici di tratti di resistenza, ad esempio a peronospora ed oidio, con varietà storiche nostrane. Il risultato (viti Piwi e i vitigni selezionati dall'Università di Udine insieme ai Vivai cooperativi Rauscedo) sono delle viti sì resistenti ai funghi, ma che non sono identiche ai vitigni tradizionali su cui sono costruite le Doc e quindi risultano estranee alla tradizione e ai gusti degli italiani.

Le Nbt invece permetterebbero di rendere resistenti varietà autoctone. Un esempio? Si potrebbe prendere un Nebbiolo e renderlo resistente alla peronospora inserendo un gene di resistenza proveniente da una vite selvatica (cisgenesi) o 'disattivando' un gene specifico (genome editing). Il vitigno sarebbe lo stesso ma permetterebbe di produrre un Barolo senza (quasi) l'uso di agrofarmaci.

Lo stesso vale per la uva da tavola. "Oggi il consumatore predilige l'uva apirena, senza semi. Ma non ci sono varietà tipiche italiane con questa caratteristica", spiega Cattivelli. "Con le Nbt stiamo allora lavorando a rendere apirene varietà famose come l'uva Italia o Vittoria". Cultivar tradizionali, ma moderne.
 

Frutta buona e resistente a funghi e batteri

La frutta è in una situazione un po' diversa rispetto a quella dell'uva. Accanto ad alcune varietà 'storiche' da preservare, sul mercato vengono lanciati in continuazione nuovi prodotti che rischiano di minare la competitività del settore italiano. Ecco allora che i ricercatori del Crea lavoreranno su pesco, albicocco e ciliegio (drupacee), ma anche su melo e pero (pomacee) e sull'actinidia con obiettivi differenti.

Nel caso delle drupacee uno degli obiettivi è quello di modificale per ottenere un portamento colonnale, in modo da rendere possibile l'allevamento in pareti che siano più facili da potare e da lavorare per la raccolta meccanizzata delle frutta.

Pesco, albicocco e ciliegio saranno poi messi al riparo dalla Shaka (Plum Pox Virus), un virus che è diffuso in tutta Italia e che colpisce le specie fruttifere appartenenti al genere Prunus indebolendo le piante e causando un calo della produttività. Il metodo consiste nel silenziare quei geni che sono essenziali al virus per moltiplicasi all'interno delle cellule della pianta.

Si lavorerà poi per indurre una resistenza dei portainnesti ai nematodi, che oggi causano problemi alle radici degli alberi da frutto, ma anche nel rendere resistenti i meli di varietà note al fungo che causa la ticchiolatura e ai batteri che provocano il fuoco batterico. Sul kiwi invece si vuole intervenire per il contrasto alla batteriosi, oggi la fitopatologia più rilevante per questa coltura.
 

Frumenti più produttivi

I ricercatori italiani hanno avuto un ruolo importante nel decodificare il genoma del fumento tenero e di quello duro che per la propria genesi storica hanno un numero molto elevato di geni, di molto superiore rispetto a quelli dell'uomo.

Nell'ambito del progetto Biotech si sta lavorando per selezionare frumenti più produttivi, resistenti alla ruggine e anche idonei ai consumatori celiaci, cercando di eliminare le sequenze tossiche ma mantenendo inalterate le caratteristiche ed i sapori della pasta che conosciamo.
 

Il pomodoro, più buono e duraturo

Oggi una delle tipologie di pomodoro più diffuso nei supermercati è il ciliegino, come il famoso pomodoro di Pachino. Forse non tutti sanno che questo prodotto appartiene alla cultura gastronomica nostrana da soli 'pochi' anni. E' stato infatti selezionato da ricercatori israeliani negli anni Novanta.

Oggi le sfide di miglioramento genetico riguardano principalmente la resistenza ai patogeni e ai parassiti, come le Orobanche. Si lavorerà poi sul gusto, per riscoprire i 'sapori di una volta', e sulla resistenza agli stress idrici, oggi un problema sempre più sentito a causa dei mutamenti del clima.

"Lavoreremo anche per aumentare la shelf life dei pomodori, senza però che a risentirne sia il gusto", spiega Cattivelli. "In questo la grande variabilità genetica del pomodoro viene in nostro soccorso. Abbiamo infatti la possibilità di attingere ad un germoplasma ricchissimo per rendere i pomodori ancora più buoni".
 

Il nodo legislativo

C'è un enorme scoglio che si frappone tra le varietà che verranno messe a punto dai ricercatori del Crea e gli agricoltori: la legislazione. Ad oggi infatti gli organismi ottenuti con le Nbt, nonostante non siano organismi transgenici e nonostante siano 'naturali, nel senso che potrebbero nascere anche in natura in maniera spontanea, sono sottoposti alla normativa sugli Ogm (vedi la sentenza della Corte di giustizia europea).

A meno di un intervento del legislatore europeo dunque il loro test in campo, come l'eventuale commercializzazione, è sottoposto a pesantissimi vincoli che di fatto rendono non sostenibile la loro registrazione e commercializzazione. Con il paradosso di dipendere in certi settori, come la mangimistica, dalle derrate Ogm provenienti dall'esterno. Quella del Crea e del ministero delle Politiche agricole si tratta dunque di una scommessa sul futuro, nella speranza che il nuovo commissario all'Agricoltura e quello alla Sicurezza dei consumatori mettano mano al dossier.
 

Il nodo dei consumatori

Ma anche se Unione europea e governo dovessero optare per una legislazione che favorisca la registrazione degli organismi modificati con le Nbt, rimarrebbe l'incognita dell'accoglienza da parte dei consumatori. E su questo punto sta lavorando anche il Crea: "Stiamo stimando l'impatto economico che queste nuove varietà potrebbero avere sulle produzioni italiane, ma anche quali sarebbero le ricadute positive per l'ambiente, ad esempio in riduzione di agrofarmaci", conclude Cattivelli.