Per ridare un futuro all’Italia occorre porre al centro del dibattito politico le campagne, a cominciare da quelle più lontane e talvolta dimenticate: poste nelle aree interne del Meridione, sospese tra montagna e collina da dove in tanti stanno oggi fuggendo. Sono le stesse contrade che non a caso l’economista agrario meridionalista Manlio Rossi Doria aveva definito negli anni ’50 del secolo scorso “l’osso” del Sud, per sottolinearne le condizioni di estrema povertà, proprio mentre era testimone del fenomeno dell'emigrazione dalle campagne meridionali di braccianti e agricoltori diretti verso le città del Centro-Nord ed i paesi dell’Europa: un fenomeno che - oggi come come allora - si sta ripetendo.

E’ questo il segnale forte che arriva da Benevento, dove la scorsa settimana ha fatto tappa il roadshow della Cia Il Paese che vogliamo” cogliendo al volo uno degli input provenienti dalle anticipazioni del Rapporto Svimez 2019, rese note nello scorso mese di agosto. Svimez l’ha definita senza mezzi termini “la vera emergenza al Sud”: tecnicamente si chiama saldo migratorio negativo, determinato da un numero elevato di meridionali che emigrano per andare a lavorare o studiare al Centro-Nord e all’estero, non sufficientemente compensato dai flussi di cittadini stranieri immigrati.

“Le persone che sono emigrate dal Mezzogiorno sono state oltre 2 milioni nel periodo compreso tra il 2002 e il 2017, di cui 132.187 nel solo 2017 – è scritto in una nota di Svimez. - Di queste ultime 66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33,0% laureati, pari a 21.970). Il saldo migratorio interno, al netto dei rientri, è negativo per 852mila unità”.
Sono numeri da progressivo spopolamento che secondo Svimez è un fenomeno che "riguarda in particolare i piccoli centri sotto i 5mila abitanti”.

E si scopre che la fuga dal Sud è alimentata per il 29,34% dai piccoli centri delle aree interne meridionali, quelle dove sono attive le politiche di sviluppo rurale, che evidentemente così come sono oggi non bastano più: “Nelle aree montane e collinari i comuni con meno di 5000 abitanti hanno perso negli ultimi 15 anni 250mila abitanti" scrive infatti Svimez. Con il rischio che a morire per spopolamento siano innanzitutto i comuni delle aree interne, quelli che in Appennino hanno il ruolo di "mantenere la montagna” per non farla franare di sotto, magari colpendo la “polpa” della ricca pianura, tanto per rimanere nella metafora di Rossi Doria.

Come fare per fermare quello che sembra un processo inarrestabile? La Cia si è data alcune risposte, mettendo insieme le istanze dei territori. Interventi di manutenzione delle infrastrutture, politiche di governo del territorio, sviluppo di filiere a vocazione territoriale, nuovi sistemi di gestione della fauna selvatica e coesione istituzioni-enti locali, per il rilancio delle aree interne in Europa: sono queste le urgenze al centro dei tavoli tematici dell'appuntamento interregionale (Campania, Calabria e Basilicata) tra Cia, le istituzioni regionali e locali, oltre alle rappresentanze di enti e società civile tenutosi la scorsa settimana a Benevento con “Il Paese che vogliamo”. L’organizzazione agricola presto porterà sul tavolo del nuovo governo le priorità individuate nel corso del roadshow, partito con la prima tappa da Sassello, entroterra savonese
 

Benenvento, una realtà rivelatrice

Cia prova a mettere a fuoco il caso del beneventano, dove il settore agricolo è fondamentale per la tenuta della provincia, con il 40% delle superfici vitate della regione (la Campania conta 30mila ettari di vigna) e oltre 11mila aziende, un terzo delle quali solo nel Sannio, Città europea del vino 2019. Eppure, proprio nel cuore del Sannio Falanghina arriva da Domizio Pigna, presidente de La Guardiense, la più importante cooperativa vitivinicola del Sud, forte di oltre 1000 viticoltori soci, un appello secco: ”Noi stiamo investendo in agricoltura di precisione, nella qualità dei nostri prodotti e siamo sempre più presenti sui mercati internazionali coi nostri vini - dichiara ad AgroNotizie - eppure molti dei figli dei nostri soci viticoltori potrebbero non proseguire l’attività dei genitori per andare via, è un processo che va fermato ed è evidente che il nostro lavoro da solo non basta”.
Un'affermazione che da sola da la misura del problema da affrontare.
 

Le proposte per il Sud di Cia

“Abbiamo avviato anche per il Sud un percorso importante di ascolto e condivisione delle criticità – dice Alessandro Mastrocinque, presidente di Cia Campania -. Ad accomunare le tre regioni coinvolte nella tappa, questioni in stallo da tempo: dall’eccessiva frammentazione del sistema istituzionale alla mancanza di un interlocutore dove prima c’erano le Province, dalla debolezza delle reti digitali alla carenza di infrastrutture fisiche, dall’invecchiamento e spopolamento alla difficoltà nello sviluppare filiere”. L’agricoltura che è caratterizzante nell’Appennino meridionale, può secondo il presidente di Cia Campania, accogliere la sfida, ma ad un patto: “Occorre lavorare su formazione, ricerca e innovazione”.

“Siamo a servizio delle comunità come dell'agricoltura, il cui sviluppo nell’entroterra d’Italia è estremamente concatenato - sostiene Dino Scanavino, presidente nazionale di Cia - Il roadshow che stiamo realizzando, deve contribuire a ridare dignità agli 11 milioni di cittadini che sono anche agricoltori, della dorsale appenninica. Riattiviamo una sinergia con i territori -  ha aggiunto Scanavino - protagonisti di presidio e prevenzione. Con competenze e capacità adeguate e da incentivare, tengono lontano lo stato d’emergenza in ogni campo”.

A Benenevento, dinanzi all’Arco di Traiano, nella serata del 4 settembre si sviluppa il dibattito tra Cia e istanze del territorio. "Vanno sviluppate logiche plurifondo nella programmazione territoriale con il superamento dei bandi rigidi" segnala Mastrocinque. Un freno per lo sviluppo è nella carenza infrastrutturale. È un problema che va risolto “con un coinvolgimento delle comunità locali con procedure innovative di democrazia partecipativa”.
“Vanno costruite o migliorate strade
- chiarisce in proposito il leader regionale Cia - collegamenti per unire le zone interne alle città, ai mercati, puntando anche ad una infrastrutturazione digitale perché le eccellenze che lì si producono trovino, in ogni senso, lo sbocco più rapido possibile”.

“Per un simile obiettivo - sottolinea Mastrocinque - sono impellenti nuove strategie di marketing territoriale e rafforzamento di politiche di brand legate, ovviamente, al territorio”. Per quel che concerne le filiere, si segnala la proposta della “razionalizzazione dell'uso dei fondi comunitari con progetti efficaci, senza dimenticare di valorizzare il legame qualità-distintività territoriale, partendo dalla tutela della biodiversità presente”.

“Vincenzo De Luca riunisca i presidenti di Provincia e i sindaci per fare fronte comune e portare la vertenza Sud al tavolo del nuovo Governosintetizza Clemente Mastella, ora sindaco di Benevento, rivolgendosi al presidente della Regione Campania, assente all'incontro.

Porta la sua testimonianza dalla Diocesi beneventana il vescovo Felice Accrocca che ha riunito in città il Tavolo delle aree interne lanciando anche un embrione di strategia con un documento congiunto. “Quella delle aree interne non è esclusiva del Sud - ha notato l'arcivescovo beneventano -, al Nord esistono zone con le stesse criticità. Il comune denominatore è l'eccessivo inurbamento che genera iniquità sociali ed è controproducente sul piano economico. Evidentemente concentrare persone nelle metropoli giova a qualcuno”.

Il consigliere regionale Mino Mortaruolo ha ricordato lo sforzo della Regione Campania per accompagnare i comuni riuniti nel brand Sannio Falanghina Capitale europea del vino. “Ma bisogna anche immaginare nuove forme di resilienza territoriale" ha aggiunto il consigliere. Il deputato regionale calabrese Mauro D'Acri ha plaudito all'idea della Cia di “porre la questione in chiave interregionale”“La gran parte dei nostri problemi - ha rilevato - sono anche i vostri”.
Il presidente nazionale della Cia Scanavino ha chiuso i lavori con una proposta concreta: “Diamo alle Province solo compiti di programmazione territoriale e poteri di veto sulle politiche regionali. I pochi soldi che arrivano oggi sono un'inutile elemosina”.