Le indicazioni geografiche (Dop e Igp) sono uno dei fondamenti delle politiche di investimento e di sviluppo rurale dell'Unione europea e, a quanto pare, anche una delle principali preoccupazioni in tutte le trattative commerciali bilaterali (Ceta, Mercosur etc etc).
La domanda ricorrente quindi è: ne vale la pena?
Il domandone era sul tamburo ad un convegno internazionale che si è svolto lo scorso venerdì a Fico; la risposta, Deo gratias, è stata positiva.

Di fatto Dop e Igp rappresentano lo strumento per gestire la produzione in funzione di una qualità appropriata e sviluppare strategie di marketing lungo la filiera in modo coordinato.

Il ruolo strategico delle Dop e delle Igp combina le funzioni tecnologiche della filiera con quelle economiche e gestionali, creando valore per i produttori e i consumatori. La catena del valore va però rafforzata attraverso azioni di coordinamento e pianificazione e mediante strategie messe in campo collettivamente, per esempio dalle Associazione dei produttori e dalle Organizzazione interprofessionali.
E' poi necessario puntare decisamente alla sostenibilità ambientale e territoriale non solo per le azioni di comunicazione ma anche attraverso i disciplinari di produzione.

E poi rafforzare la ricerca: perché un prodotto tipico non deve essere necessariamente un prodotto "vecchio". Dal punto di vista commerciale è stato visto, con dovizia di dati, come le Dop e le Igp aumentano l'intensità delle esportazioni e anche la probabilità di esportare in nuovi mercati assicurando un aumento del prezzo medio all'esportazione.

E' giusto farsi venire dei dubbi ed è giusto ri-cercare la strada corretta. In questo caso pare che la strategia Ue sulle indicazioni geografiche perseguita negli accordi internazionali sia corretta. E che politiche sulla qualità dei prodotti siano vincenti nei mercati internazionali.

Evviva, ogni tanto ci prendono.