Per qualcuno è un santo, un paladino delle libertà. Per altri è un agricoltore che si ostina a portare avanti una battaglia senza speranza o, addirittura, pericolosa. Giorgio Fidenato, 58 anni, agronomo, da quasi dieci anni ha avviato - parole sue - una "battaglia a viso aperto con lo Stato italiano, per poter affermare quello che è un diritto degli agricoltori: seminare Ogm".

AgroNotizie lo ha intervistato, partendo da un dato di cronaca. Il recente Rapporto annuale Isaaa, secondo il quale nel 2018 le superfici coltivate con colture biotech nel mondo sono aumentate di 1,9 milioni di ettari, raggiungendo un totale di 191,7 milioni di ettari.
Il 91% delle superfici coltivate con semi Ogm si trova in cinque grandi paesi: Usa, Canada, Argentina, Brasile e India. In Ue le superfici coltivate a Ogm sono invece diminuite dell'8%.

Giorgio Fidenato, come commenta i numeri del Rapporto Isaa?
"È molto difficile commentare i dati senza avere chiari i trend, per i quali servono anni per avere un quadro tale da permettere di esprimersi. Ho però l'impressione che in Europa i dati siano influenzati da più fattori".

Quali?
"Intanto dalla convenienza di seminare o meno il mais. Se c'è una convenienza economica, allora salgono le superfici, altrimenti diminuiscono. Bisognerebbe vedere i dati comparando le semine Ogm e quelle di tutto il mais, compreso il convenzionale. Credo che sia piuttosto intuitivo: se si coltiva meno mais, se ne coltiva meno anche di geneticamente modificato. È una questione di rendita economica della coltivazione".

Scusi, ma uno dei cavalli di battaglia di chi è favorevole agli Ogm è basato sul fatto che convengono sul piano della redditività. Ora lei dice che non è così?
"Non è sempre così. Mi spiego meglio. In Europa noi abbiamo l'autorizzazione a seminare solo il Mon 810, seme resistente alla piralide. Si potrebbe pensare che sia un vantaggio, invece nel mondo non si semina più. È un prodotto superato, utilizzato esclusivamente per l'Europa, che non ha ancora dato il via libera ad altri semi. Oggi nel mondo si semina il mais resistente alla piralide, alla diabrotica e al glifosate. È vero che poter seminare un mais che resiste alla piralide permette di ridurre i costi di produzione e, normalmente, di guadagnare di più, ma l'efficacia dipende dalle annate. E se confrontiamo il Mon 810 a un mais cosiddetto triple stacks, gli effetti positivi sul fronte economico sono limitati rispetto a un mais che resiste a diabrotica, piralide e glifosate.

Ai coltivatori europei converrebbe per una maggiore sostenibilità economica e ambientale, riducendo l'impiego di acqua per far crescere la pianta, approvvigionarsi di mais dagli Usa o dall'Argentina"
.

Ha senso parlare ancora di Ogm o l'attenzione dovrebbe spostarsi verso altre biotecnologie, come i cosiddetti Crispr?
"Parlare di Ogm è sempre complicato, perché si impatta con la sensibilità delle persone. Nell'ultima sentenza emessa sul mio caso, all'inizio di agosto, i giudici nella sentenza parlano di contaminazione nei terreni confinanti. E lo dicono non nell'accezione strettamente agronomica, ma proprio con il senso della parola contaminare. Parlare di Ogm significa, molto semplicemente, evocare nell'immaginario collettivo una cosa velenosa. Quanto a metodologie come il genome editing o il Crispr, sono questioni più di facciata, legate a sfumature. Personalmente però la penso esattamente come la senatrice Cattaneo".

E cioè?
"Che alla fine si tratta sempre di manipolare. Infatti condivido l'impostazione della sentenza della Corte di giustizia europea, che invece è stata avversata da molti e discussa, ma che ha detto a mio parere giustamente che anche il genome editing è qualcosa che non si trova in natura. È comunque una modificazione del gene che non segue i processi della natura, anche se di fatto con la tecnica Crispr si accelera il corso della natura. Ma che tale modifica avvenga attraverso soluzioni operative di transgenesi o cisgenesi per la collettività viene tutto ricondotto a una bestialità".

Perché, secondo lei?
"È una questione di storytelling. E la narrazione di una ideologia che avversa gli Ogm è purtroppo molto più accattivante rispetto a uno storytelling di una persona esperta. Aveva ragione la senatrice Cattaneo, quando in un convegno all'Accademia dei Georgofili disse che di fronte alla razionalità, l'irrazionalità perde sempre. Se posso fare un altro esempio...".

Dica.
"È come la polemica sui residui: sembra che mangiamo tutto puro. Anche nell'acqua minerale ci sono i residui. L'agricoltura oggi nella sensibilità della gente è solo quella bucolica o biologica. Sono convinto che per far accettare gli Ogm, relativamente ai quali la scienza non ha ancora dimostrato alcuna controindicazione, bisogna bucare il sistema sul piano mediatico, magari edulcorando il messaggio, spiegando meglio come funzionano e che risultati danno queste tecnologie, senza spaventare il consumatore. Naturalmente, senza ingannarlo".

Lei come comunicherebbe gli Ogm, a questo punto?
"Non sono un esperto di marketing e non è il mio lavoro, ma credo che la differenza la faccia la passione nel raccontare. Io ho 58 anni e ho vissuto il biologico. Non ho mai patito la fame, ma ricordo bene di aver mangiato tante patate e fagioli. Credo dunque che la via maestra per comunicare gli Ogm sia non raccontando bugie, ma facendo innamorare del proprio lavoro e della propria missione.

Io sono molto affascinato da cosa potremo fare in futuro, ad esempio fare in modo che anche i cereali riescano ad assorbire l'azoto naturale come le leguminose. Sa che cosa significherebbe? Ridurre o azzerare l'uso di concimi chimici, facendo magari sparire le fabbriche di urea, che sono realtà energivore al massimo. Ecco, dovremmo partire raccontando le sfide che gli Ogm ci permetterebbero di vincere, all'insegna di una migliore sostenibilità ambientale, economica e sociale, perché sono tre aspetti che si intersecano in certo qual modo. Allo stesso tempo dovremmo spiegare alla gente che noi agricoltori non usiamo gli agrofarmaci con leggerezza, per il gusto di provarli e che faremmo volentieri a meno, sia per un rispetto verso l'ambiente che è connaturato all'agricoltore che per i costi economici che comportano tali mezzi tecnici"
.

Una comunicazione insomma col cuore, giusto?
"Sì. Dovremmo imparare a comunicare la scienza con il cuore e i sentimenti. Non sarà una strada sola, ma dovremo andare oltre la statistica, che alla gente interessa fino a un certo punto. Inoltre, dovremmo essere ancora più chiari su un punto: la correlazione non significa causalità".

Tra favorevoli e contrari, lei rimane una figura che seduce. Quando ha iniziato a seminare colture Ogm e perché? Che cosa l'ha spinta in questa direzione?
"Ho iniziato nel lontano 2010. È stato in quell'anno che abbiamo cominciato la guerra diretta contro lo Stato italiano".

Chi era allora ministro dell'Agricoltura?
"All'epoca il ministro era Luca Zaia. Due o tre mesi dopo la semina venne nominato Giancarlo Galan, che venne a vedere il campo a Vivaro. Mi disse che era anche favorevole alla sperimentazione. Ma più in là non si andava avanti. Personalmente arroccarsi su una posizione preconcetta, senza guardare il mondo esterno, è un errore, perché finisce per impoverire. La cultura arricchisce. Esiste il mondo fuori di te e devi confrontarti con una mente aperta".

Quanto mais avevate seminato e di che tipo?
"La prima semina nei miei campi fu su una superficie di sei ettari, con mais Mon 810 della Dekalb. Ho seminato sempre sementi autorizzate, iscritte nel catalogo comune europeo ed è stata fondamentalmente quella la ragione per la quale lo Stato italiano non poteva vietarmi la semina, perché erano sementi autorizzate".

Come andò a finire?
"Ci fu un rinvio in sede penale per il sottoscritto".

Come andò a finire?
"Per la semina 2010, la Corte di giustizia europea nel 2012 si espresse su un caso della Pioneer, sentenziando che quando una varietà è iscritta nel catalogo comune europeo è liberamente seminabile in tutta Europa. Io e il mio legale prendemmo la palla al balzo, citando appunto la sentenza della Cge e il Tribunale di Pordenone dovette adeguarsi. Complessivamente ho subito cinque processi penali: uno per la semina del 2010, due per la semina del 2014 e altri due per la semina del 2015: sono sempre stato assolto".

Poi fece nuove semine Ogm, giusto?
"Sì. Nel 2014 e 2015 seminai di nuovo e il giudice penale ritenne legittimi i nostri dubbi sulla validità del decreto interministeriale del 2013, mentre il Tar del Lazio e il Consiglio di Stato avevano legittimato. Il Tribunale di Pordenone fece appello alla Cge e venni assolto. Poi l'anno scorso, nel 2018, una nuova semina, sempre di mais Mon 810".

E?
"E si è verificato quello che personalmente ritengo un atteggiamento politico e non giuridico da parte del Tar di Trieste, al quale mi ero rivolto. Il Tar del Friuli Venezia Giulia non ha infatti ritenuto necessario inviare la mia istanza alla Corte di giustizia europea, mentre a mio avviso si trattava di un passaggio obbligatorio. Comunque, tutti sanno che non mollerò, andrò al Consiglio di Stato, il quale sarà obbligato a rivolgersi alla Cge".

Avete già inoltrato il ricorso?
"Non ancora, ma è pronto. La sentenza è dello scorso 2 agosto. Chiederemo un rinvio immediato alla Cge, perché sono convinto che l'atteggiamento del Tar del Friuli Venezia Giulia sia un dispetto al sottoscritto. Non leggo altre motivazioni".

Quanto le è costata complessivamente la battaglia pro Ogm?
"In termini economici non tanto. In termini di tempo è un impegno gravoso, perché devo dedicare tempo".

È pentito o rifarebbe tutto?
"Avrei cominciato prima, nel 2006. Fin da allora sostenevo che non avremmo dovuto chiedere l'autorizzazione a seminare mais transgenico i cui semi erano autorizzati dall'Unione europea. Ma ho dovuto scatenare la questione per arrivare ad una pronuncia della Corte di giustizia europea. Se posso però togliermi qualche sassolino dico che ho avuto a che fare con una quarantina di giudici italiani, dai tribunali amministrativi alla giustizia penale, da Pordenone a Udine, da Trieste a Roma. Mi hanno sempre dato torto, per poi essere sconfessati puntualmente dalla Corte di Ggustizia europea.

Mi chiedo per quale motivo i giudici italiani non hanno mai applicato il diritto europeo. È un caso? È una superficialità o sono state sentenze in un certo qual modo politiche nei miei confronti? Non lo so, non me lo spiego, perché sono sicuro che i giudici italiani conoscano bene anche il diritto comunitario"
.

Esprime una posizione molto critica.
"Sì. Le dirò di più. Ho anche promosso una causa civile contro sei giudici della Cassazione, perché nel 2015, nonostante fossero obbligati a inviare i documenti alla Cge per la sentenza, non l'hanno fatto. Ho fatto causa anche a un giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, perché ha assolto quaranta persone che hanno invaso il campo di mais, distruggendolo. Il giudice ha archiviato tutto, con un non luogo a procedere, dicendo che non si riuscivano a individuare i colpevoli. Non mi sta bene, perché avrebbero potuto individuare i responsabili attraverso le targhe delle automobili. Se fai una protesta non la fai mascherato e se i tuoi compagni di protesta compiono atti violenti e distruggono il mais, se non ti dissoci sei complice. Quindi ora basta: vado giù duro anche in questo caso".

Che cosa hanno detto i suoi colleghi agricoltori? Ha incontrato più sostenitori, detrattori o gente che è rimasta in silenzio?
"Ho ricevuto moltissimi attestati di stima, ma solo a parole. Nei fatti si tengono alla larga, perché hanno paura di subire quello che ho subito io, che non è da poco".

È deluso per questo?
"Sono abituato a mostrare la faccia, appartengo a una generazione che non si accontenta del like sui social. Dai colleghi agricoltori mi sarei aspettato maggiore partecipazione tutte le volte che la giustizia ci ha dato ragione. Organizzavo feste, ricevevo attestati di stima e solidarietà, poi però mancava la presenza fisica dei colleghi, che sarebbe invece stato un segnale inequivocabile rivolto alla società e alla politica. Sono convinto che se alle mie feste fossimo stati in mille anziché in 100, anche la politica avrebbe forse reagito diversamente. E questo mi dispiace".

I cosiddetti scienziati l'hanno adeguatamente sostenuta?
"Anche in questo caso tante parole e pochi fatti. Ma in parte li capisco: tutti tengono famiglia e la scienza dipende dalla politica".

E le multinazionali?
"Nessun aiuto nemmeno da loro. Anche loro sono legate alla politica e non hanno mai preso posizione. Nemmeno ci hanno finanziato. Se mi avessero finanziato ad esempio le spese legali, sarebbe stato un segnale di attenzione da parte loro. Ma la politica è evidentemente predominante".

È questa la spiegazione che si dà?
"Sì. Oppure, se devo azzardare un'altra ipotesi, è che persino le multinazionali hanno capito che la potenza propagandistica anti-Ogm è talmente forte da non lasciare alcuna speranza. Io ho da perdere tanto e niente e per me adesso è diventato un divertimento sfidare il potere, anche giudiziario".

Torno su alcune sue parole che mi hanno lasciato perplesso. Lei ha affermato che trova corretta la sentenza della Corte di giustizia europea, che equipara sostanzialmente gli Ogm alle tecniche di genome editing. Per quale motivo?
"Ribadisco. Sì, se non cambia la definizione di Ogm, allora la sentenza è corretta, anche se a qualcuno non è piaciuta. Bisognerebbe cambiare la definizione di Ogm".

E come la cambierebbe?
"Io non mi porrei il problema. È solo una questione procedurale: un controllo ci deve sempre essere nelle modifiche genetiche. Quello che è francamente eccessivo è la ridondanza delle operazioni di controllo che chiede la legge. A mio parere, una volta che la norma ti obbliga ad attivare misure di controllo post-semina, poi non servono prove, contro-prove, riprove e nuove prove ancora. La lungaggine del sistema non è tanto nel pretendere i controlli, che sono legittimi, quanto alla ridondanza degli stessi. Deve essere messo un limite. Non si può dire: facciamo i controlli per cinque anni, poi per dieci. Noi sappiamo che una cosa è valida fino a prova contraria, se non c'è la prova contraria teniamo un'allerta ma non facciamola diventare una paura ossessiva e incontrollata e una paura. Siamo arrivati al punto che per mettere in commercio un Ogm una ditta sementiera deve spendere più di 100 milioni di euro".

L'anno prossimo, seminerà di nuovo mais Ogm?
"No. Io l'anno scorso ho seminato mais Ogm e ho presentato ricorso al Tar del Friuli Venezia Giulia in quanto mi sono opposto alla distruzione. La sentenza è stata emessa nelle scorse settimane. Faremo ricorso, come le dicevo, al Consiglio di Stato, sperando che non fissi la prima udienza fra due o tre anni, ma sia ben più rapido. Anche perché nella prima udienza verrà stabilito un rinvio di tutta la questione alla Corte di giustizia europea, che dovrebbe impiegare circa un anno e mezzo per esprimersi. Fino a quel momento non farò nuove semine, perché nelle more di una sentenza ripartirebbe un nuovo ordine di distruzione, al quale dovrei oppormi di nuovo davanti al Tar del Friuli Venezia Giulia. Insomma, sarebbe una ripetizione che finirebbe soltanto per irritare i poter costituiti. Mi bastava porre la questione giuridica".

Giorgio Fidenato, perché seminare Ogm in Italia?
"Perché se vogliamo un'agricoltura sostenibile, dobbiamo andare verso gli Ogm, con coscienza, ma senza paura. Io non sono affatto contro la chimica, ma sono consapevole che il ricorso alla chimica può avere effetti secondari non irrilevanti, tal per cui sarebbe meglio utilizzare strumenti ad essa complementari.

Con una popolazione mondiale in aumento, dobbiamo intensificare la produttività per ettaro, ma l'incremento produttivo ci consentirebbe anche di mantenere la biodiversità. Sembra un discorso antitetico, ma se riuscissimo ad aumentare le rese in campo, potremmo destinare i terreni meno vocati alla difesa della biodiversità. Inoltre, ridurremmo la chimica in campo con gli Ogm. Il progresso va in quella direzione. Rinunciare agli Ogm è come rinunciare ai vaccini, che salvaguardano la salute del cittadino. Dobbiamo ridurre il problema della fame del mondo e gli Ogm sono parte attiva della soluzione"
.

Giorgio Fidenato
L'agronomo Giorgio Fidenato