Tre piatti di pasta su quattro in Europa provengono da un pastificio italiano. Una eccellenza nazionale alla base della quale c'è il grano duro, una coltura diffusa in molte aziende agricole nostrane che tuttavia non sono in grado di soddisfare il fabbisogno del paese. Nello sforzo di rendere più competitivo il settore una buona notizia arriva dalla ricerca. Ad aprile è stato pubblicato su Nature Genetics il risultato del lavoro di sequenziamento del genoma di grano duro. Sessanta ricercatori, da sette paesi, hanno lavorato per sequenziare i 14 cromosomi di questo cereale e i suoi 66mila geni.

Ma come può la mappatura del genoma del grano duro aiutare agricoltori e industrie agroalimentari ad essere più competitive? A spiegarlo bene è stato Luigi Cattivelli, direttore del Crea Genomica e bioinformatica e coordinatore dello studio che ha visto coinvolti in Italia anche il Cnr e l'Università di Bologna. Secondo Cattivelli sono tre le ricadute sulla filiera che cambieranno il modo di 'fare agroalimentare'.
 

Le ricadute concrete della ricerca

"La prima è per l'industria sementiera che, da subito, utilizzando questi dati, può lavorare per nuove varietà resistenti a malattie come le ruggini e la fusariosi", ha spiegato Cattivelli durante un evento a Roma dal titolo 'Oltre il genoma: quali opportunità per la filiera del frumento duro?'. "La seconda è per l'industria della trasformazione, in quanto, conoscendo ora tutti i geni responsabili della qualità, potrà a medio termine avere una materia prima sempre più calibrata e funzionale alle proprie esigenze produttive e ai gusti del consumatore. La terza, che richiede tempi più lunghi, porterà ad una migliore gestione della biodiversità, grazie al riconoscimento su basi genetiche delle diverse tipologie di frumento duro, sia esso farro, grano antico o moderno".

Insomma, conoscere quali sono i geni che regolano la vita delle piante di frumento duro permetterà ai ricercatori di migliorare le varietà oggi coltivate, rendendole maggiormente tolleranti ai cambiamenti climatici, resistenti alle malattie, più efficienti nell'utilizzo delle risorse ma anche maggiormente in linea con le richieste dell'industria e dei consumatori.
 

La rivoluzione delle New breeding techniques

Se il sequenziamento del genoma del grano duro rappresenta la mappa per orientarsi nella sterminata mole di geni presente in ogni singola cellula, le New breeding techniques rappresentano gli strumenti più efficienti oggi a disposizione dei ricercatori per silenziare o modificare geni. Sotto il cappello delle Nbt ricadono vari strumenti, tra i quali i due più promettenti sono la Cisgenesi e il Genome editing, che a sua volta ricomprende l'ormai famoso Crispr-Cas9.

Il Genome editing è una tecnica che modifica la sequenza di un gene in maniera precisa e veloce, senza tuttavia apportare materiale genetico dall'esterno, da altre specie. Di conseguenza le mutazioni che si possono ottenere sono analoghe a quelle che potrebbero avvenire in natura.

Ricercatori felici? Non proprio, perché a complicare il quadro è intervenuta la Corte di Giustizia europea che nel luglio del 2018 ha emesso una sentenza, in relazione ad una richiesta di parere avanzata da un tribunale francese su un caso specifico, che di fatto ha equiparato a livello regolatorio gli organismi ottenuti con le Nbt a quelli ottenuti attraverso le vecchie tecnologie di manipolazione genetica.

La sentenza, che di fatto ha passato la palla alla Commissione europea (che ora dovrebbe regolare il settore con una norma ad hoc), ha messo in stand-by molte piccole e medie aziende sementiere che di fronte ad un quadro normativo incerto non investono in queste nuove tecnologie.

L'Italia, come gli altripPaesi europei, rischia dunque di rimanere indietro rispetto ad un contesto internazionale che sta investendo su queste nuove tecnologie ed ha già ottenuto i primi risultati da sfruttare a livello commerciale. È invece fondamentale avere un quadro normativo che consenta all'Italia ed all'Ue di fare ricerca alle stesse condizioni dei concorrenti extraeuropei. Ma c'è di più, perché oltre al danno gli agricoltori italiani potrebbero anche essere beffati visto che, in mancanza di un opportuno aggiornamento delle norme, si rischia di 'regalare' informazioni genetiche ottenute da progetti coordinati dall'Italia a paesi che sfrutteranno queste informazioni utilizzando tecniche più efficienti e veloci.