E’ stato siglato il 28 giugno 2019 a Cagliari l’accordo di filiera denominato “salva cerealicoltori” tra Coldiretti Sardegna e il Gruppo Casillo volto a sfruttare le elevate potenzialità cerealicole della Sardegna ed incentivare i cerealicoltori innanzitutto garantendo un prezzo minimo per il grano duro fino convenzionale da 220euro alla tonnellata, per il prodotto con 12,5% di proteine e 80 chilogrammi ogni 100 litri di peso specifico con pagamento immediato.

Si punta - in prospettiva - ad inserire la Sardegna nel solco dell’importante accordo per il grano duro biologico siglato un anno fa a livello nazionale tra i più grandi molitori d’Italia e la stessa Coldiretti che prevede la fornitura di 300mila tonnellate di grano duro biologico destinato alla pasta e 300mila tonnellate di grano tenero all’anno per la panificazione. Un accordo che ha rafforzato la leadership dell’Italia in Europa nel numero di imprese che coltivano biologico . Nel caso della Sardegna si incentiverebbe una filiera oggi quasi inesistente – quella del grano bio - ma che invece potrebbe avere un importante futuro. Perché in Italia è in netta crescita la domanda non solo di cibo di cui è garantita l’italianità, ma si cercano e acquistano prodotti certificati bio. Questo sta spingendo ad aumentare le produzioni certificate, delle quali quella con maggiore incremento sono proprio i cereali (+32,6%).

Non solo Casillo intende incentivare anche la produzione di grano tenero, che ha un più alto valore aggiunto, e del quale oggi in Sardegna se ne coltiva appena 85 ettari (2018). Iniziativa questa che si inserisce all’interno di Prime Terre, il progetto di filiera controllata e certificata dalla forte impronta territoriale che garantisce la genuinità e l’origine locale dei grani macinati. L’accordo di filiera dal punto di vista logistico prevede l’ammasso del grano nelle strutture del Consorzio agrario di Sardegna, mentre la trasformazione, almeno inizialmente, avverrà nelle strutture di Casillo.
 

Le dichiarazioni di Coldiretti Sardegna

“Dopo gli accordi di filiera con Biraghi per il pecorino etico solidale, con "Bovini al Sud" per la filiera del bovino da carne, e gli accordi per i localismi con Metro e Carrefour – sottolinea il presidente di Coldiretti Sardegna Battista Cualbu – abbiamo siglato un altro accordo di filiera importante per la nostra agricoltura, dando una risposta concreta ad un settore in difficoltà come quello cerealicolo. Come sempre si garantisce un prezzo minimo al produttore, tamponando il punto critico della filiera che scarica sul produttore le crisi del settore, e si valorizzano le nostre produzioni di altissima qualità e si lavora insieme, lungo tutta la filiera, per valorizzarla anche con nuovi prodotti”.

“Proseguiamo una collaborazione nata a livello nazionale che ora si sta diradando con successo anche a livello locale valorizzando le biodiversità – afferma il direttore di Coldiretti Sardegna Luca Saba - Siamo certi che questo sia solo il primo passo di un accordo che porterà valore aggiunto ai nostri produttori, ma anche ai cittadini garantendo dei prodotti a base di grano made in Sardinia, certificati e controllati”.
 

La storia cerealicola recente della Sardegna

In 14 anni la Sardegna ha perso i quattro quinti (-78%) di terra investita a grano, passando da 96.710 ettari del 2004 agli appena 20.684 del 2018. Un tracollo accompagnato dalla perdita di oltre il 50% di cerealicoltori, passando dagli oltre 12mila del 2000 a meno di seimila oggi.

Una emorragia dovuta alla incertezza della remunerazione. Solo negli ultimi cinque anni il prezzo ha imboccato una lunga discesa. Dai 300 euro alla tonnellata del 2014 è sceso a 270 euro l’anno successivo per poi crollare a 210 nel 2016 pagati al produttore e 210 dello scorso anno che in alcuni casi è sceso ulteriormente anche di 60-50 euro (150-160 euro alla tonnellata) per un peso specifico basso a causa delle continue piogge.

La Sardegna ha grandi tradizioni e potenzialità nella coltivazione del grano duro. Basti ricordare che tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 la Sardegna era la seconda regione dopo la Sicilia in cui si coltivava più frumento duro in Italia: 158.000 ettari su 1,29 milioni totali.