Il primo febbraio scorso è entrato in vigore il trattato di libero scambio tra Unione europea e Giappone. Un trattato che ha ridotto a zero i dazi doganali che gravavano sulle merci prodotte in Italia ed esportate nel paese del Sol Levante. Dazi che per il formaggio e il cioccolato potevano arrivare fino al 40%, 38,5% nel caso della carne di manzo, 24% sulla pasta, 15% nel caso del vino. Una apertura che rappresenta una opportunità per le aziende agroalimentari italiane, soprattutto nel settore olivicolo, vitivinicolo e caseario.

Di commercio Italia-Giappone si è parlato durante un evento organizzato da Nomisma e Crif dal titolo 'L'agroalimentare made in Italy alla conquista del mercato del Sol Levante. Le opportunità per il Food&Beverage italiano in Giappone'. Evento che ha visto la partecipazione, tra gli altri, dell'ambasciatore Umberto Vattani, presidente della Fondazione Italia-Giappone, Paolo De Castro, europarlamentare, Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, Daniele Salvagno, presidente di Redoro frantoi Veneti, Gian Paolo Gavioli, direttore commerciale Caviro nonché di Koji Misawa, direttore commerciale di Elisir co. Ltd e Miciyo Yamada, giornalista ed esperta di consumi alimentari nel mercato giapponese.

D'altronde il Giappone é un paese ghiotto dal punto di vista dell'export agroalimentare. A livello globale è il quinto posto con 57,3 miliardi di euro spesi ogni anno per importare derrate alimentari e prodotti finiti. E tuttavia l'Italia si posiziona solo al 17esimo posto nel ranking dei partner commerciali che vede gli Stati Uniti e i paesi del Pacifico primi in classifica. Gli Usa vendono ogni anno prodotti agroalimentari per 13 miliardi di euro, mentre gli italiani si fermano a 865 milioni (+51% dal 2008).
 

Vino, olio e formaggi ai primi posti nei gusti dei giapponesi

Ma che cosa acquistano i giapponesi? Al vertice della classifica si posiziona il vino con il 19%, segue l'olio con il 13%, il pomodoro trasformato con il 9,4% e il formaggio con l'8,9%. Il 50% dell'export viene fatto da sole tre regioni: Lombardia, Campania ed Emilia Romagna. È da sottolineare tuttavia il fatto che il Giappone è il primo mercato per l'export di olio d'oliva nel Sud Italia visto che assorbe il 17% delle esportazioni dal Meridione. E che l'import di vino italiano è cresciuto ad un tasso medio annuo (Cagr) del 4%, quello di formaggi del 5,9%, l'olio d'oliva del 7,5%.

Per quanto riguarda il vino la Francia la fa da padrona con il 56% della market share, mentre l'Italia si ferma al 12%, arretrando di due punti percentuali rispetto al 2013, ma comunque crescendo in termini assoluti. Il vino infatti rappresenta ancora una nicchia, pari al 5%, del consumo di bevande alcoliche in Giappone. La Francia si posiziona al primo posto anche come prezzi di vendita visto che lo Champagne totalizza una media di 22 euro al litro, mentre i nostri vini si fermano a quotazioni più basse.
 

Nella bilancia commerciale al secondo posto c'è l'olio di oliva. I giapponesi consumano circa un litro pro capite (in Italia siamo ad otto) e viene percepito come un prodotto salutistico e desiderabile, quindi spesso acquistato come regalo. L'Italia può contare su un buon posizionamento di prezzo, pari a circa 6 euro/litro (franco fabbrica), mentre ha una market share del 42%, sette punti sotto la Spagna che può contare su produzioni maggiori e di più basso costo. Inoltre, fanno sapere gli operatori del settore, spesso importatori giapponesi acquistano il prodotto tagliandolo in loco con oli vegetali e rivendendolo come olio extravergine di oliva. Pratica che dovrebbe finire con l'entrata in vigore dell'accordo commerciale.

I consumatori giapponesi hanno cambiato abitudini degli ultimi anni introducendo sempre maggiore quantità di formaggio. Ad oggi la media pro capite è di 3 chilogrammi (in Italia siamo a 23). In questo settore riusciamo a spuntare buoni prezzi e gli affari dovrebbero andare sempre meglio visto che con l'accordo di libero scambio i dazi (fino a 40% sul valore) vengono ridotti a zero e vengono protette le indicazioni d'origine.
 

Gli ostacoli alla crescita dell'export

Quello giapponese è un mercato appetibile, ma difficile. Per entrare servono ingenti investimenti che solamente grossi gruppi industriali possono permettersi. E in Italia le realtà che hanno le spalle abbastanza larghe da intraprendere la via del Sol Levante sono poche. Inoltre la catena distributiva è piuttosto complessa e per entrare nelle referenze di importatori prima, grossisti e supermercati poi servono anni e un lungo lavoro di avvicinamento. E il tutto avviene con accordi in conto vendita, dunque è sul produttore che si scaricano le incertezze.

Senza contare poi che in Giappone vale lo standard informale del Japan Quality. Consumatori e Gdo sono ossessionati dalla perfezione e dalla qualità. Basta una bottiglia d'olio con l'etichetta leggermente macchiata o una fetta di formaggio non perfettamente confezionata (senza arrivare ad omissioni su date di scadenza e ingredienti) per essere banditi dai supermercati.
 

I gusti dei giapponesi ci danno una mano

A fronte di uno scenario complesso da affrontare, i prodotti agroalimentari italiani vengono percepiti come di alta qualità e il consumatore giapponese è disposto a spendere per acquistarli. Associati al brand made in Italy ci sono spesso i concetti di passione e qualità mentre appartengono alla Francia quelli di bellezza, tradizione, lusso e benessere. Sono questi i dati emersi dal sondaggio effettuato da Nomisma su 1.100 consumatori giapponesi che del nostro paese conosco soprattutto la pasta, il vino, il formaggio, la pizza e l'olio d'oliva.

Per avere successo è tuttavia essenziale saper comunicare la storia e le qualità di un prodotto. I giapponesi sono appassionati di cultura italiana e spesso si informano su ciò che hanno comprato. E' essenziale dunque avere una versione giapponese del sito e dare suggerimenti su come utilizzare il prodotto. "I giapponesi sono affascinati dal caffè italiano, che tuttavia è poco diffuso. Starbucks ha una storia meno importante alle spalle, ma è molto presente perché sa comunicare bene la sua offerta", ha spiegato con un esempio il paradosso italiano Koji Misawa.
 

Tips&Tricks per vino, olio e formaggio

Nel caso dell'olio il consumatore nipponico predilige le confezioni di piccole dimensioni, da 250 ml o anche più piccole, dal design curato e proposte anche in confezioni regalo, visto che portare in dono prodotti alimentari è tradizione nel paese del Sol Levante. E' una buona strategia quella di entrare inizialmente nel settore Horeca per puntare poi alla Gdo.

Il formaggio è ormai entrato nelle abitudini di consumo dei giapponesi: otto su dieci lo mangiano regolarmente e lo acquistano principalmente nei supermercati. A differenza che in Italia la prima tipologia di consumo è come stuzzichino (32%) spesso in abbinamento con bevande alcoliche. Segue al 27% l'utilizzo come ingrediente nella preparazione di pietanze e al 20% il consumo con la pasta.

La reputazione dei formaggi italiani è elevata e supera, anche se di misura, quella dei francesi. Vanno per la maggiore il gorgonzola, il Parmigiano Reggiano e la mozzarella di bufala. Le aziende italiane che esportano formaggi in Giappone nella stragrande maggioranza dei casi non pensano al packaging. Le forme vengono infatti tagliate e confezionate in loco. E' essenziale tuttavia avere una supply chain ben sincronizzata, non è infatti permesso lasciare sforniti i magazzini. Ci sono poi ottime opportunità per il mascarpone, visto che in Giappone ha preso piede la moda del tiramisù.

Per il vino è bene puntare sul consumatore femminile, vero trend setter in Giappone. Meglio optare per etichette minimal, di design (sinonimo di italianità) e curate nei particolari. Non è necessario che le scritte siano in giapponese, ma è essenziale inserire il vitigno. Bisogna poi fare attenzione alle promozioni, come l'Italian Week, organizzate dalla Gdo nei propri store in cui viene data visibilità ai prodotti made In Italy.