Sequestrati, poi dissequestrati. Oltre 400 maiscoltori friulani si sono visti infatti bloccare e poi sbloccare i propri campi a causa dell'accusa di aver provocato una moria di api utilizzando sementi conciate con un formulato a base di methiocarb.

AgroNotizie cerca di riassumere i fatti, separando le vicende giudiziarie da quelle tossicologiche. E i risultati lasciano infatti perplessi.
 

Riassunto giudiziario

Nell'aprile 2018 vengono presentati tre esposti alla Procura di Udine da parte di alcuni apicoltori che affermano essere stati danneggiati da un prodotto fitosanitario. Viviana Del Tedesco, pubblico ministero, apre quindi un fascicolo e delega ispezioni in centinaia di aziende agricole della zona. Da queste, effettuate dalla Guardia Forestale e dall'Arpa Fvg, viene confermata la presenza di methiocarb nelle sementi conciate. Al che, la pm ipotizza il reato di inquinamento ambientale e presenta altrettante istanze per il sequestro dei campi. Il 5 marzo 2019 partono le notifiche di sequestro: si parla di oltre 400 aziende per migliaia di ettari coltivati.

Già in prima battuta mal si comprende la sottolineatura negli atti che i conduttori siano beneficiari di contributi Pac, i quali nulla c'entrano con la gestione della difesa fitosanitaria con prodotti regolarmente registrati a livello ministeriale. Ma proseguiamo.

Nel volgere di soli 24 giorni, il 29 marzo 2019, i sequestri vengono annullati dal Tribunale per il riesame di Udine. Il 10 aprile 2019, il Riesame deposita l'ordinanza che annulla la decisione della Procura, trovando i sequestri gravemente lesivi del diritto alla libera e piena disponibilità dei propri beni (i terreni, nda), come pure non ravvisando una relazione causa-effetto fra le semine e le asserite morie. Un aspetto che si approfondirà in seguito.
 

Analisi della vicenda

Di sicuro, va scisso il fatto in due aspetti molto diversi fra loro. Il primo è il rispetto delle indicazioni riportate in etichetta dalla Casa produttrice del conciante. Se una raccomandazione di impiego viene scritta in etichetta c'è sempre un perché e lavorare senza ottemperare a tali raccomandazioni è di per sé comportamento deprecabile. Non foss'altro perché in tal modo poi si risulta sguarniti di fronte alle accuse di provocare disastri ambientali quando magari di colpe non se ne hanno.
Il secondo piano di analisi riguarda proprio questi, i presunti disastri ambientali.

Ed è già sulla terminologia utilizzata dalla Procura di Udine che è bene produrre una prima considerazione. Per esempio, si parla di "massiccia moria dei pronubi", ma un riferimento numerico pare non essere stato fornito. Quante erano le api prima, quante dopo? In termini percentuali, quale sarebbe stata la mortalità contabilizzata, sempre che sia stata contabilizzata? Perché per comprendere i fatti servirebbero numeri oggettivi e comprovati, non impressioni soggettive di alcune specifiche parti in causa. E questi numeri, a quanto pare, sono assenti.

Quanto poi al "inquinamento ambientale", è bene ricordare che si sta parlando di poche decine di alveari interessati dalla querelle, in un caso solo 28. Di solito, il comune cittadino traduce l'espressione "inquinamento ambientale" con lo sversamento in mare di una petroliera, o uno spill di sostanze tossiche che uccidono ogni forma di vita per chilometri in un fiume. Leggere quindi tali terminologie per un caso, dubbio, di avvelenamento di api (a quanto pare pure poche), può far pensare ai comuni cittadini che siano stati spazzati via gli impollinatori dall'intero Friuli, quando così non è.
 
In tal senso, una prima fase dell'indagine, nell'aprile 2018, è stata dedicata proprio all'accertamento di tali supposti "inquinamenti ambientali", mentre una seconda fase è stata volta a individuare i responsabili.

A giugno-luglio 2018 sono quindi state eseguite le ispezioni nelle aziende agricole, relazionate poi nel mese di dicembre. La conclusione appare lapidaria: "In conclusione risulterebbe verosimile riassumere quanto accaduto con un assioma: qualora le operazioni di semina fossero state eseguite correttamente nei modi e con i mezzi adeguati, il principio attivo non sarebbe emigrato nella api bottinatrici e nelle matrici analizzate, contaminandole".

Agli imputati viene mossa quindi l'accusa di aver "abusivamente cagionato una grave compromissione dell'ecosistema utilizzando un fitofarmaco in modo non conforme alle prescrizioni indicate dal produttore".

A tale approccio, però, manca in primis una cosa importante: la verifica dell'ipotesi contraria. Perché per affermare ciò bisognerebbe vedere cosa sarebbe successo alle api anche se tutti gli agricoltori avessero rispettato le indicazioni di etichetta. Fatto chiaramente impossibile ormai da accertare. Perché la correlazione moria-methiocarb andrebbe dimostrata coi numeri, non con le supposizioni.
 

Le sostanze attive reperite all'analisi

Eseguite dall'Istituto zooprofilattico, le analisi di favi, miele e api avrebbero riscontrato la presenza di alcune sostanze attive, fra le quali appunto methiocarb. Questo è effettivamente molto tossico sulle api rispetto ad altri insetticidi utilizzati in agricoltura. Da studi effettuati dall'Apvma (autorità australiane), la mortalità nei non trattati considerata fisiologica rimane entro il 15%, mentre la LD50 acuta orale (48h) sarebbe di 0,47 µg/ape. Più tossico per contatto, con una LD50 di 0,23 µg/ape. La maggior parte della mortalità, nei test australiani, si è evidenziata entro le 24 ore. Le sopravvissute erano però asintomatiche alla fine del test.

Nei test effettuati sulle api friulane, supposte morte a causa di methiocarb, questo è stato rinvenuto a livelli di soli 5 ng/ape (nanogrammi = millesimi di microgrammo), ovvero 46 volte inferiore alla tossicità misurata per contatto e 94 volte inferiore alla tossicità misurata per somministrazione orale. Una dose che quindi di per sé è del tutto insufficiente a causare la morte delle api. Le concentrazioni nel favo (si presume nelle cere) e nel miele sono invece risultate pari rispettivamente a 0,057 mg/kg e 0,67 mg/kg.

Ipotizzando un dato medio per il quale per produrre 1 kg di cera serve il lavoro di circa 150mila api e un consumo di circa 12 kg di miele, si può comprendere come per ogni ape intenta a produrre cera per un chilogrammo di favo siano transitati circa 0,0536 µg/ape di methiocarb (partendo dai 12 kg di miele). Un valore che anche stimato in tal modo appare comunque l'11% del dato relativo alla tossicità orale, onestamente insufficiente a causare morie che siano distinguibili dalla percentuale fisiologica di mortalità. Come pure si evince come nella cera venga traslato meno dell'1% di tutto il methiocarb transitato sotto forma di miele per gli apparati digerenti delle api operaie che hanno costruito il favo.
 

Le altre molecole reperite nelle matrici analizzate

Oltre a methiocarb, sarebbero state rinvenute anche altre molecole (fluvalinate, coumaphos e metalaxyl-m), anche se non sono note a chi scrive le concentrazioni riscontrate per ciascuna di esse. Bene però fornire almeno alcune indicazioni di tipo tossicologico.

Fluvalinate: tale molecola viene considerata "particolarmente tossica per le api", come viene affermato negli atti giudiziari e perfino da alcuni documenti dell'Epa statunitense, la quale riporta una LD50 per contatto sulle api pari a 0,2 µg/ape, praticamente uguale a quella di methiocarb. Peccato sia una delle sostanze attive più utilizzate all'interno degli alveari contro la Varroa, acaro parassita proprio delle api.

Il prodotto viene infatti inserito tra i favi in forma di strisce, in modo che le api, muovendosi all'interno di essi, entrino in contatto con la sostanza. Oltre all'accertata tossicità per le api, adulte e larve, sarebbero state anche registrate alterazioni del comportamento nelle api operaie dovute a effetti neurotossici, come pure riduzione della fertilità dei fuchi e minori aspettative di vita delle regine. Per giunta, sono sempre di più i casi di resistenza da parte della Varroa, fatto che potrebbe aver spinto diversi apicoltori a utilizzare le strisce acaricide in modo più frequente. Non a caso, quando vengono effettuate analisi di api morte, di miele o di cere, spesso viene rinvenuto fluvalinate. Peccato che poi i media, incapaci di discernere fra prodotti, ne parlino come di un "pesticida" usato dagli agricoltori.

Coumaphos: questo insetticida/acaricida organofosforato era utilizzato anch'esso contro la Varroa prima che lo proibissero. A distanza di anni, però, si trova ancora nelle cere, passando di lavorazione in lavorazione, dato che le cere vengono riciclate per realizzare nuovi fogli da utilizzare nei nuovi favi. Come dati di tossicità sono stati reperite delle LD50 per contatto fra i 14,88 e i 29,44 µg/ape. Quindi molto meno tossico di fluvalinate. Un altro valore, non specificato se per contatto o ingestione, riporta 0,57 µg/ape nelle 24 ore.    

Metalaxy-M: fungicida antiperonosporico, mostra una LD50 su api pari a >97,3 µg/ape orale, >100 µg/ape per contatto. EFSA lo considera infatti "low risk" per gli impollinatori. La sua presenza va quindi considerata come neutra.
 

Ciò che non è noto

Oltre alle sostanze attive viene da chiedersi se siano state svolte analisi anche alla ricerca di patogeni (batteri, funghi, virus) o parassiti (Varroa). Per esempio, il virus della paralisi acuta simula gli effetti di un'intossicazione da insetticidi. Bene sarebbe in casi come quello friulano effettuare un'indagine ad ampio spettro per escludere appunto la contestuale presenza di patogeni e parassiti, i quali potrebbero essere loro la causa del calo di popolazione e dei comportamenti anomali delle api. In assenza di tali valutazioni, ogni altra conclusione rimane infatti aleatoria e monca.
 

Conclusioni

Di fatto, il caso delle api friulane è stata la classica montagna che ha partorito il topolino. Peccato che però tale caso abbia portato per l'ennesima volta alla ribalta un'indole ben poco propensa verso gli agricoltori, i quali vengono perennemente presentati come inquinatori irresponsabili, quando invece il loro lavoro è fornire cibo a tutti coloro che agricoltori non siano. Magistrati inclusi.