Biologici, vegani, biodinamici, sostenibili, gluten-free e chi più ne ha più ne metta. Negli ultimi anni le certificazioni in ambito vitivinicolo si sono moltiplicate e oggi il consumatore che prende in mano una bottiglia rischia di rimanere disorientato. Già, perché se fino a pochi anni fa le uniche sigle che poteva trovare erano Doc e Docg, le cosiddette denominazioni di origine che assicurano l'aderenza di un vino a determinati disciplinari di produzione stilati dai Consorzi di tutela (e approvati dal Mipaaft nel caso delle Docg), oggi sigle e marchi si sono moltiplicati. Cerchiamo allora di fare il punto.
 

Il vino biologico

Al di là delle sigle Doc e Docg, oggi le più diffuse e riconosciute dal consumatore, la certificazione pubblica maggiormente nota è sicuramente quella che identifica un prodotto da agricoltura biologica. Le aziende che decidono di convertirsi dal convenzionale al biologico devono farsi seguire da un ente di certificazione riconosciuto dal ministero delle Politiche agricole e dimostrare di seguire un disciplinare dettagliato che deriva dal regolamento europeo 834/2007 e 889/2008 (oggi in fase di revisione). A questi si somma il regolamento comunitario 203/2012 che ha disciplinato nello specifico l'intero processo produttivo del vino biologico.
 
Una bottiglia di vino certificata biologica
Una bottiglia di vino certificata biologica
(Fonte foto: AgroNotizie)

In estrema sintesi in agricoltura biologica è vietato l'uso di organismi Ogm, di fertilizzanti di sintesi e possono essere adoperati solo agrofarmaci registrati e autorizzati per il biologico. La fase di conversione dura tre anni e dopo questo lasso di tempo, se l'agricoltore continua a seguire il disciplinare e le analisi effettuate risultano positive, le bottiglie di vino possono essere commercializzate con il simbolo dell'agricoltura biologica.
 

Bottiglie sostenibili: tre marchi in competizione

Negli ultimi anni sta prendendo piede la certificazione di qualità sostenibile Sqnpi (Sistema di qualità nazionale di produzione integrata). Nata nel 2016, identifica quelle aziende agricole che aderiscono alla difesa integrata volontaria. Ogni regione ha un suo disciplinare di produzione specifico per ciascuna coltura, compresa la viticoltura. Le aziende che aderiscono devono seguire determinate pratiche agronomiche e fitosanitarie e limitazioni nella scelta degli agrofarmaci e nel numero di trattamenti.

I Disciplinari di produzione integrata (Dpi) regionali devono essere approvati dal Mipaaft ed essere in linea con le Linee guida nazionali stilate a livello nazionale, appunto. Le aziende che aderiscono a questo regime di certificazione subiscono dei controlli sia di tipo formale che effettivo sulle produzioni.

Una bottiglia certificata Sqnpi
Una bottiglia certificata Sqnpi
(Fonte foto: AgroNotizie)

"Le aziende che vendono il vino con il marchio Qualità sostenibile - Sqnpi utilizzano uve che provengono da vigne gestite con il sistema della difesa integrata volontaria", spiega ad AgroNotizie Sandra Furlan, responsabile sviluppo commerciale e progetti di Valoritalia. "Ad oggi Mipaaft e Mattm hanno concordato e stanno lavorando per la realizzazione di uno standard per la sostenibilità della filiera vitivinicola che interesserà l'intero ciclo di produzione del vino, dal post raccolta alla commercializzazione, e prenderà in considerazione la sostenibilità in tutti i suoi aspetti: ambientale, sociale ed economica".

Ci sono poi altri due standard di riferimento per quanto riguarda la sostenibilità del vino: Equalitas e Viva. Il primo è uno standard promosso da Federdoc (Confederazione nazionale dei consorzi volontari per la tutela delle denominazioni dei vini italiani) e Unione italiana vini e che ha visto la partecipazione di Csqa e Valoritalia.

Equalitas ha definito un proprio standard di sostenibilità sotto il profilo sociale, ambientale ed economico. Questa certificazione coinvolge tutti gli aspetti della filiera, dalla produzione delle uve alla loro lavorazione fino all'imbottigliamento, e gli attori, come i consorzi di tutela. La certificazione riguarda un gran numero di aspetti differenti: dalla tutela della biodiversità in vigneto all'impronta carbonica dell'azienda, dal packaging al benessere dei lavoratori, passando per l'adozione di una comunicazione corretta nei confronti dei consumatori.

Nel 2011 il ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha aderito e fatto proprio il progetto Viva (Valutazione dell'impatto della viticoltura sull'ambiente), un protocollo ideato dal Centro di ricerca Opera per l'agricoltura sostenibile dell'Università Cattolica del Sacro Cuore che mira a migliorare le prestazioni di sostenibilità della filiera vitivinicola attraverso l'analisi di quattro indicatori (Aria, Acqua, Territorio, Vigneto).
 
Una bottiglia di vino certificato Viva
Una bottiglia di vino certificato Viva
(Fonte foto: AgroNotizie)

L'indicatore Aria ad esempio valuta l'impronta carbonica (totale delle emissioni di gas ad effetto serra) di una bottiglia di vino da 75 cl. L'indicatore Acqua indica la quantità di risorsa idrica utilizzata o inquinata per la produzione di una bottiglia. L'indicatore Vigneto valuta gli effetti sull'ambiente degli agrofarmaci, nonché l'influenza delle tecniche di gestione del terreno sulla sua fertilità, struttura e biodiversità. L'indicatore Territorio invece valuta le ricadute economiche, ambientali e sociali delle attività aziendali sulla biodiversità, il paesaggio, i lavoratori, la comunità locale e i consumatori.

Ogni azienda che aderisce allo standard Viva riceve un QRCode da applicare sull'etichetta del vino attraverso il quale il consumatore può ottenere informazioni sul livello di sostenibilità che caratterizza il prodotto su cui è posta l'etichetta.
 
SOStain è il marchio di sostenibilità della Regione Sicilia
SOStain è il marchio di sostenibilità della Regione Sicilia
(Fonte foto: AgroNotizie)


Certificazioni, non solo pubbliche

Nei casi visti fino a qui è un soggetto pubblico a porsi a garanzia dei disciplinari di produzione, esistono tuttavia anche standard privati. Nel caso del biodinamico ad esempio è l'associazione Demeter international ad essere proprietaria del marchio commerciale e ad aver stilato un disciplinare che tutti i propri soci devono seguire.

L'associazione ha definito uno standard particolare per il vino a cui i viticoltori devono aderire per poter utilizzare il marchio Demeter. Se una azienda vuole certificarsi deve fare domanda a Demeter Italia che incarica la società Icea di eseguire i controlli. Per le aziende in conversione è possibile usare il marchio Biodin, quelle ormai biodinamiche invece utilizzano il marchio Demeter. E' in corso una querelle legale tra Demeter international e l'Unione europea in quanto la prima vorrebbe avere l'uso esclusivo del termine 'biodinamico'.

Anche le certificazioni vegane sono tutte private. In Italia la più famosa è VeganOk, che come le altre riguarda non solo il mondo del vino, ma anche l'abbigliamento o la cosmesi. Si tratta tuttavia di una autocertificazione che una azienda sottoscrive dichiarando di seguire il disciplinare di VeganOk pubblicato sul sito. L'organizzazione compie una verifica formale sull'etichetta, ma non sul prodotto. L'azienda può tuttavia chiedere ad un ente certificatore di comprovare l'aderenza al disciplinare, in quel caso l'azienda può inserire in etichetta la dicitura "Certificato da [nome ente certificatore] per VEGANOK".

Una azienda può dunque scegliere di autocertificarsi, oppure di affidarsi ad un organismo di certificazione (come ad esempio Icea o BioCert) che esegue controlli in azienda al fine di attestare l'assenza di prodotti di derivazione animale nel vino.
 
Una bottiglia di vino biologico e vegano
Una bottiglia di vino biologico e vegano
Fonte foto: AgroNotizie)

Nell'infinito mondo delle certificazioni private sono innumerevoli quelle che assicurano l'assenza di glutine da un prodotto, alimentare e non. Quella più diffusa è il marchio Spiga Barrata, di proprietà dell'Associazione italiana celiachia. L'associazione dà in concessione il marchio a quei produttori che dopo analisi condotte direttamente dall'associazione si sono dimostrati privi di glutine (o comunque con una presenza inferiore alle 20 ppm).
 

Certificazioni per tutti i gusti

L'elenco sopra indicato non è affatto esaustivo visto che le certificazioni private sono moltissime e aumentano di giorno in giorno, soprattutto se si guarda ai prodotti di importazione, dove sono diffusi altri standard. Come Biodiversity Friend di Bwa, incentrato sulla tutela della biodiversità in campo, oppure la francese Vignerons en développement durable. Molte aziende vitivinicole nostrane che esportano prodotti all'estero si affidano inoltre alle società di certificazione dei paesi in cui operano, in modo da ospitare marchi in etichetta che siano facilmente riconoscibili dai consumatori locali.
 
Questa bottiglia è stata certificata dalla norvegese Dnv-Gl
Questa bottiglia è stata certificata dalla norvegese Dnv-Gl
(Fonte foto: AgroNotizie)

 
Insomma, il proliferare di certificazioni risponde all'esigenza di andare incontro ad una platea di consumatori sempre più frammentata, che ricerca in un marchio un prodotto in cui si riconosce, che risponde al proprio modo di vivere e consumare. Il rischio tuttavia, è che questa tendenza ingeneri confusione nel consumatore e ponga sullo stesso piano certificazioni pubbliche e private, rilasciate dopo controlli rigorosi o dopo la compilazione di un modulo.