Un grido di dolore è arrivato forte e chiaro dal comparto ortofrutticolo che si è riunito a Rimini, al Macfrut: durante il convegno organizzato dal Cso Italy dal titolo allarmante: "L'ortofrutta italiana a un punto di non ritorno: servono nuovi mercati", i principali attori del settore hanno consegnato un documento ufficiale a Giuseppe Blasi, capo dipartimento delle Politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale del ministero per le Politiche agricole, con una lista di priorità da risolvere per risollevare il settore.
 

Prima della tavola rotonda è stato fatto il quadro economico per diverse coltivazioni: pere, mele, kiwi, uva da tavola, arance.
La produzione di pere è in discesa da dieci anni, si attesta ora sulle 700mila tonnellate, soffrendo molto la concorrenza di Belgio e Olanda che nel 2000 producevano 320mila tonnellate e oggi producono quanto l'Italia; per i kiwi il problema si chiama soprattutto Grecia che ha un costo della manodopera molto più basso del nostro e che prima dell'embargo russo esportava nel paese di Putin il 70% del suo prodotto, l'Italia produce circa 400mila tonnellate all'anno ma il potenziale sarebbe di 600mila; la Polonia ha duplicato in pochi anni la produzione di mele e produce 4 milioni di tonnellate mentre in Italia si producono 2milioni e 200mila tonnellate con consumi interni che pesano solo per la metà e che sono crollati negli ultimi anni; agrumi e uva da tavola soffrono molto la concorrenza della Spagna e vedono i consumi interni in calo.

Vista la situazione urge aprire nuovi mercati, sbloccando dossier fitosanitari incagliati. A rendere il tutto molto complicato, oltre all'embargo russo, ci sono state le primavere arabe che hanno bloccato mercati in paesi che sembravano promettenti. Tutto il comparto ha visto, in conseguenza dell'embargo russo (2014), aumentare la concorrenza interna all'Unione europea perché molto del prodotto dei concorrenti che era diretto a Mosca si è riversato all'interno dei confini Ue. I nuovi mercati potrebbero essere diversi, a seconda dei prodotti, ma in cima alla lista c'è la Cina che, purtroppo, apre un dossier fitosanitario alla volta e vuole negoziare paese per paese, non con l'Unione europea. "Noi abbiamo la priorità, l'assoluta necessità, di aprire nuovi mercati per collocare i nuovi prodotti. E' sotto gli occhi che le esportazioni sono calate nell'ultimo anno. La Spagna esporta tre volte quello che esportiamo noi", ha detto il presidente di Cso Italy, Paolo Bruni.

Molti spunti di riflessione sono arrivati dalla tavola rotonda. Per quanto riguarda il mondo della mela, Alessandro Dalpiaz, direttore di Assomela, ha detto: "Le produzioni nazionali sono qualificate ma se i polacchi esportano in Egitto a 15 centesimi al chilogrammo non è questione di qualità. Il paese deve sapersi promuovere". "Il problema dell'embargo russo è stato dato per risolto, ma non è così", ha detto Marco Salvi, presidente di Fruitimprese e ha aggiunto: "Potrebbe profilarsi un guaio ancora più grande, le nostre produzioni potrebbero essere penalizzate da dazi in Usa".

Per il mondo del kiwi ha parlato Davide Vernocchi, coordinatore settore agroalimentare dell'Alleanza delle cooperative italiane: "Il Giappone potrebbe rappresentare una grande occasione. Impiantare un ettaro di kiwi costa però fra i 30mila e i 50mila euro, in Italia si potrebbe produrre molto di più ma non si può correre il rischio di sovraprodurre e non sapere dove piazzare il prodotto".

Salvo Laudani di Oranfrizer ha raccontato la loro esperienza in Cina, di recente infatti le porte dell'agognato paese orientale si sono aperte per le arance rosse di Sicilia. "Il protocollo è molto complesso - ha detto - dobbiamo monitorare sedici organismi nocivi, dobbiamo utilizzare tecniche di lotta integrata e comunicare entro marzo da quali aziende agricole arriverà la frutta che raccoglieremo un anno dopo. Ci sono quindi grandi oneri di gestione e occorre grande programmazione, con costi molto elevati, la merce va ben selezionata perché il viaggio è molto lungo. Ci abbiamo messo 46 giorni via nave, il prossimo container però impiegherà 35 giorni. Devo dire che lì abbiamo lavorato molto bene con le istituzioni italiane, è molto importante per i cinesi che le aziende private si muovano sotto l'ombrello del pubblico".
 

A tirare le fila di un incontro molto partecipato e molto accalorato è stata Simona Caselli, assessore all'Agricoltura dell'Emilia Romagna: "Il problema dell'export è l'insufficiente organizzazione dell'offerta. Su alcune produzioni poi ci dovrebbe essere una programmazione di bacino mediterraneo, dato che le variazioni di spagnoli e greci ci toccano da vicino". La Caselli ha poi sottolineato come il sistema fitosanitario sia organizzato in maniera diversa da regione a regione ma sia fondamentale avere addetti, in un discorso di stimolo all'export: "Noi abbiamo investito e oggi abbiamo settanta addetti ma non in tutte le regioni è così ed iniziative come il blocco delle assunzioni e i prepensionamenti non aiutano".

Giuseppe Blasi, cui è stato consegnato il documento con le priorità del settore, si è impegnato a portare il documento all'attenzione del Tavolo ortofrutticolo nazionale in calendario entro il mese di maggio, perché possa essere condiviso.