Tracciare l’origine di un prodotto alimentare presente sullo scaffale di un supermercato significa poter conoscere come e dove sono state coltivate le materie prime di cui è fatto, come è avvenuto il trasporto e la trasformazione in azienda. Ma significa anche poter conoscere i trattamenti effettuati in campo, chi ha manipolato il prodotto, come sono variati i parametri qualitativi e molto altro ancora. L’accesso semplice e preciso a queste informazioni può generare ricadute positive lungo tutta la filiera.

Questo è quanto è emerso dall'indagine svolta dall'Osservatorio Smart AgriFood (School of Management del Politecnico di Milano e Laboratorio Rise - Research & Innovation for smart enterprises dell'Università degli studi di Brescia) e presentata a Brescia nel febbraio 2019.

La tracciabilità può aiutare i singoli attori ad ottimizzare i processi di filiera, eliminando inefficienze e sfruttando sinergie. Può aiutare chi vende il prodotto finito a rintracciare in maniera rapida eventuali lotti che presentino criticità sotto il profilo della sicurezza alimentare. Ma può essere anche un plus da valorizzare (specialmente se riguarda la sostenibilità) sotto il profilo economico nei confronti del consumatore finale e, auspicabilmente, dei vari attori della filiera.
Tracciabilità alimentare: i benefici
 

I dati della Ricerca 2018 dell'Osservatorio Smart AgriFood

Il 30% delle 115 aziende analizzate dall’Osservatorio ha ad esempio riscontrato una riduzione degli errori di inserimento dei dati e del rischio di una loro manomissione. Il 27% ha riscontrato una riduzione dei costi relativi all’identificazione e al richiamo di prodotti critici. Mentre il 21% delle aziende ha riscontrato una diminuzione delle tempistiche richieste per la raccolta dei dati di tracciabilità.

I benefici riscontrati dall’implementazione di soluzioni per la tracciabilità digitale sono una riduzione dei costi di gestione delle scorte (per il 15% dei casi), una riduzione degli sprechi alimentari (per il 14% dei casi) e il consolidamento dei rapporti di filiera (per il 13%). La possibilità di accedere a dati relativi ai vari attori della filiera aumenta infatti la fiducia tra gli attori stessi e rende possibile il monitoraggio della qualità dei prodotti scambiati con la definizione di standard condivisi di qualità che spesso si traducono in una premialità riconosciuta ai fornitori che aderiscono ai programmi di tracciabilità.

Per quanto riguarda i soggetti che commercializzano il prodotto finale l’Osservatorio ha registrato un aumento delle vendite nel 13% dei casi. La tracciabilità diventa uno strumento utile sia per monitorare la filiera a monte, sia per richiamare prodotti critici, ma anche per poter certificare nei confronti del consumatore finale l’origine e i metodi di produzione e poterli quindi valorizzare economicamente.

I dati dell’Osservatorio dimostrano che il 40% delle aziende ha adottato una soluzione digitale al fine di poter avere accesso ai dati relativi all’origine e metodi di produzione e di queste il 23% ha fatto chiaramente riferimento al tema della sostenibilità ambientale e sociale.

A giovarsi maggiormente di soluzioni per la tracciabilità digitale sono i comparti considerati più a rischio, come la filiera della carne e dei prodotti ittici, rispettivamente nel 21 e 13 per cento dei casi. Mentre il settore vitivinicolo, che necessita di strumenti per raccontare l’origine delle bottiglie, ha sperimentato strumenti di tracciabilità innovativa nel 9% dei casi.
 

Gli strumenti di tracciabilità

Tracciare un prodotto può avvenire in modalità diverse secondo un grado crescente di automazione e digitalizzazione. Se in molti casi la tracciabilità si basa su fogli di carta compilati a mano e poi trasferiti in digitale, la sfida è quella di avere sensori che raccolgano dati in maniera autonoma e compilino registri su piattaforme digitali condivise.
 Tracciabilità alimentare: le tecnologie abilitanti
Delle 133 soluzioni tecnologiche disponibili sul mercato e mappate dall’osservatorio il 59% è da considerarsi ancora tradizionale, avendo bisogno di un importante contributo umano. Mentre solo nel 42% dei casi si ha una gestione più marcatamente automatica e digitale. L’8% delle soluzioni prese in considerazione è marcatamente hardware, come ad esempio i lettori per i codici a barre o i sensori Iot, mentre il 62% è software, come piattaforme dedicate alla registrazione ed analisi dei dati. Mentre il 30% combina sia hardware che software.

La tecnologia blockchain, che ultimamente sta catalizzando l’attenzione di investitori e opinione pubblica, ha ancora una distribuzione limitata. Il 24% dei 42 progetti mappati dal 2016 al 2018 non hanno uno specifico comparto di applicazione, mentre il 21% sono pensati per la filiera della carne, il 17% per l’ortofrutta e il 10% per il cerealicolo. E come abbiamo scritto in questo articolo sono soprattutto gli attori principali della distribuzione e della trasformazione a chiedere ai propri partner di implementare soluzioni blockchain.

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