Innovazione e agricoltura, un legame sempre più indissolubile su cui però l'Italia fatica a mantenere il passo, pur restando comunque nella media europea. Questo quello che emerge dallo studio di Nomisma sul settore agroalimentare italiano, l'Agrifood innovation index, presentato a Roma nel corso di un incontro dedicato all'agricoltura sostenibile, e organizzato dall'Associazione Luca Coscioni e Science for democracy, con il sostegno di EuropaBio.

La leadership in innovazione spetta infatti ai Paesi Bassi che con un punteggio di 88 sono in testa alla classifica; seguono Belgio (62), Germania (62) e Danimarca (56). L'Italia si ferma a 49, in piena media Ue. L'indice - di cui si tiene conto nel report e che viaggia su una scala di valori che vanno da 0 a 100 - incrocia i dati di produttività delle colture, degli allevamenti, e alcuni indicatori di sostenibilità ambientale delle imprese agricole.

Ne risulta che il nostro paese è in affanno: il 15% degli agricoltori ha meno di 44 anni (il 40% ne ha più di 65) e solo il 6% ha una formazione agraria completa contro una media Ue dell'8%. E con un valore di produzione di circa 43mila euro, le imprese agricole italiane, in media di circa 12 ettari, hanno una dimensione economica più bassa di circa tre volte rispetto a quella per esempio di Regno Unito, Francia e Germania. Come se non bastasse ci piazziamo agli ultimi posti per investimenti in ricerca e sviluppo.

E' sulla capacità di creare le condizioni per facilitare e diffondere l'innovazione tra le imprese che la ricerca messa a punto da Nomisma mette in evidenza come il posizionamento dell'Italia sia arretrato: quanto a risorse umane, sistema della ricerca, finanza e supporto, infrastrutture fisiche e digitali, il nostro paese è il fanalino di coda nell'Ue per popolazione con un livello di istruzione terziario (25%), alle spalle della Romania, e soprattutto rispetto a un valore medio per l'Ue che sfiora il 40%. Tra le cause di questo ritardo viene individuato lo scarso supporto di investimenti pubblici in ricerca e sviluppo (pari allo 0,54% del Pil, mentre la Ue è superiore allo 0,7%); altro tema è l'inadeguatezza, e in alcuni casi la mancanza, di un sistema di infrastrutture avanzate, anche nel rapporto tra quelle fisiche e quelle a livello digitale.

Dall'Associazione Coscioni arriva poi un appello al governo affinché la "ricerca scientifica italiana sulle biotecnologie verdi possa esser sperimentata in campo aperto".
Secondo Filomena Gallo, segretaria dell'Associazione Luca Coscioni, "le nuove biotecnologie verdi pongono problemi che interessano leggi e politiche nazionali ed europee fino ad arrivare agli obblighi internazionali. In Italia rappresentano un chiaro esempio di violazione del diritto della scienza, perché proprio come sugli Ogm anche sulle piante geneticamente editate non è possibile far ricerca in campo aperto".

Sull'argomento si sofferma anche Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione: "da decine di paesi iniziano ad arrivare studi che confermano la non pericolosità di queste nuove biotecnologie verdi, e che le piante così prodotte potrebbero essere portatrici di straordinarie potenzialità per un'agricoltura sempre più eco-sostenibile. Una sostenibilità - spiega Cappato - che unirebbe il rispetto dei diritti umani col progresso tecnologico e scientifico, e che andrebbe anche incontro alla biodiversità. Cosa che consentirebbe un progresso 'democratico' perché perseguibile con minori costi rispetto a tecniche e prodotti che si conoscevano solo fino a pochi anni fa".