E' uscito nelle scorse settimane il Bioreport, il documento curato dal Crea che fa il punto sullo stato dell'agricoltura biologica in Italia nel biennio 2017-2018, con la collaborazione di Aiab, Federbio, dell'Associazione per l'agricoltura biodinamica e dell'Università di Firenze.

Una fotografia che mostra un comparto in buona salute e che pone l'Italia al sesto posto nel mondo sia per valore di mercato che per superficie agricola coltivata.

Un settore rafforzato e sostenuto da un importante contributo pubblico, previsto sia dall'attuale Psr 2014-2020 che da quello precedente, che nel 2007-2013 ha messo a disposizione oltre 3 miliardi di euro per il settore, circa il 21% della disponibilità totale, per l'allora 3,6% del totale delle aziende agricole.

Un piano di finanziamenti che tuttavia non è sempre e solo a favore dell'agricoltura biologica, dal momento che in alcune regioni o per alcune colture i finanziamenti previsti sono maggiori per altri metodi colturali come l'agricoltura integrata o per l'agricoltura conservativa.

Il report fa poi il punto su vari aspetti del biologico italiano, andando a valutare la consistenza del settore, in termini di superfici coltivate e aziende e la sostenibilità ambientale, in termini di emissioni di CO2 e uso di fitofarmaci.

Riguardo alla consistenza dell'agricoltura biologica nazionale, l'Italia risulta il primo paese europeo per numero di agricoltori che sono oltre 64mila, e di trasformatori (più di 14mila) e seconda per superficie coltivata, con 1,8 milioni di ettari, circa il 14% della Sau nazionale, che ci pone dietro solo alla Spagna.

A differenza di altri paesi, dove la maggior parte della superficie certificata bio è costituita da pascoli - eclatante il caso australiano, spesso riportato come esempio negativo, dove il 97% della superficie biologica è costituita da pascoli - in Italia la maggior parte della superficie a biologico è rappresentata da seminativi, che costituiscono il 44%, seguita dai prati pascoli, con il 28,5% e infine dalla colture permanenti con il 24,5% e un 3% di terreni a riposo.

Andando nello specifico, riguardo ai seminativi e alle colture annuali, l'Italia ha la maggior superficie europea biologica di cereali e ortaggi, ed è seconda solo alla Francia per superficie di oleo-proteaginose.

Un primato simile si ha anche nelle colture permanenti dove risultiamo primi per superficie biologica di agrumi, frutta, olivi e secondi solo alla Spagna per i vigneti.

Riguardo alla zootecnia, la maggior consistenza in termini di Uba è rappresentata da bovini, mentre in termini di confronto rispetto alla zootecnia convenzionale sono gli ovini e i caprini d essere maggiormente allevati in modo biologico.

Riguardo agli aspetti economici, secondo i dati delle aziende Rica - la Rete di informazione contabile agricola - la Plv, la Produzione lorda vendibile a unità di superficie è più bassa nel biologico rispetto al convenzionale del 22% ma il redditto netto è sempre superiore per le aziende a produzione vegetale o mista, e comparabile, anche se leggermente inferiore per le produzioni zootecniche.

Rispetto al convenzionale il biologico in Italia ha una minor produttività ma una maggiore redditività, una situazione dovuta sia ai minori costi correnti per superficie che si hanno in tutti gli ordinamenti produttivi del bio, che dai maggiori prezzi alla vendita dei prodotti biologici.

La copertina del Bioreport 2017-2018
La copertina del Bioreport 2017-2018

Andando agli aspetti della sostenibilità ambientale, viene affrontato il problema delle emissioni di gas serra, un problema centrale nell'agricoltura responsabile di importanti emissioni non solo di CO2 ma soprattutto di metano, derivante principalmente dalle fermentazioni dei ruminanti, di protossido di azoto, dovuto soprattutto alla gestione delle deiezioni animali e alle fertilizzazioni azotate. Due gas, il metano e il protossido di azoto, che hanno una capacità clima-alterante rispettivamente di 25 e 298 volte maggiori rispetto a quella della CO2.

Il report mette in evidenza soprattutto le difficoltà di misurazione dell'impatto del biologico rispetto al convenzionale, sia perché i dati delle emissioni agricole in genere vengono calcolate nel loro complesso, sia perché si ottengono risultati diversi a seconda delle unità di misura adoperate negli eventuali confronti.

Andando a misurare le emissioni a ettaro, l'agricoltura biologica risulta meno impattante della convenzionale, mentre se si misurano le emissioni per Kg di produzione il convenzionale risulta meno impattante grazie alla maggiore produttività. Un dato quest'ultimo che però può essere messo in discussione se viene preso in esame il complesso di un ciclo di rotazioni e non le singole colture.

Casi simili si hanno andando a valutare le singole colture, come nel caso del latte, dei cereali e della carne suina, dove il biologico ha emissioni maggiori del convenzionale, mentre per olive e carni bovine è vero il contrario.

Così come possono essere ambivalenti, secondo come vengono misurati, anche i contributi che vari metodi di coltivazione hanno riguardo al sequestro di carbonio nella biomassa vegetale o nella sostanza organica del suolo.

Altro aspetto della sostenibilità ambientale del biologico è l'uso dei fitofarmaci, che oltre a non prevedere l'utilizzo di determinate molecole, vede anche una riduzione dell'uso dei principi attivi ammessi.

Una riduzione che in realtà è generalizzata per tutti i fitofarmaci, sia ammessi che non ammessi nel biologico, con una lieve controtendenza per i prodotti rameici, che dal 2011 al 2015 hanno visto un incremento dello 0,8%.

Una tendenza dovuta a molti fattori, tra cui l'immissione sul mercato di formulati più efficienti, la riduzione dei principi attivi utilizzabili e anche l'introduzione del Pan, il Piano nazionale di azione sull'uso dei fitofarmaci.

Il report contiene poi un interessante capitolo sulla agricoltura biodinamica, ultimamente al centro di molti dibattiti, in cui si fa il punto sulle sue origini culturali, scientifiche e storiche e sui suoi aspetti tecnici e agronomici.

Infine, per gli aspetti legati alla cooperazione internazionale e alla sostenibilità socioeconomica viene preso in esame l'esperimento della filiera della soia biologica danubiana, una realtà che vede collaborare diverse realtà, anche italiane, per lo sviluppo di una filiera biologica e tracciata della soia a livello europeo.

Un report lungo, dettagliato e anche molto interessante, che mette in luce in maniera chiara ed intellettualmente aperta un settore, mostrandone i suoi punti di forza e di debolezza e che soprattutto lancia molti spunti di riflessione.

Un report da leggere, e che è qui scaricabile nella sua versione integrale. Scarica il report.