Per scoprire chi ha ragione bisognerà attendere qualche mese o forse di più. Dallo scorso primo febbraio, però, quello che è innegabile è che è entrato in vigore l'accordo di libero scambio tra Unione europea e Giappone, nell'acronimo dall'inglese "Jefta", Japan-Ue free trade agreement.

Un'intesa frutto di alcuni anni di negoziazione da entrambe le parti che, secondo il made in Italy agroalimentare, dovrebbe dare soddisfazioni alla produzione di casa nostra. "Federalimentare - ha dichiarato il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio - non può che accogliere favorevolmente l'accordo di libero scambio tra Ue e Giappone che porterà grandi risultati in termini di export e di opportunità a tutta l'industria alimentare italiana".
Il Giappone è per l'Italia un mercato indubbiamente maturo, alle prese - come osserva Federalimentare - con una fase di grande stabilità commerciale, anche se le esportazioni potrebbero riprendere proprio con l'abolizione dei dazi, è convinta Federalimentare.

Posizione analoga, ma dati diversi, quelli espressi dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori. "L'intesa di libero scambio con il Giappone apre nuove opportunità di crescita per l'export, con l'eliminazione dei dazi sull'85% dei prodotti destinati al mercato nipponico, ampliando le possibilità di creare ricchezza attraverso il cibo made in Italy", dichiara il presidente nazionale Cia, Dino Scanavino.
Il Giappone - secondo i dati dell'Ufficio Studi di Cia - rappresenta il sesto partner commerciale per l'Italia fuori dai confini Ue. Già dal 2017 le esportazioni agroalimentari italiane verso il paese del Sol Levante hanno raggiunto un valore di 1,4 miliardi di euro, con una crescita del 42% in un anno.
Subito dopo il tabacco, che per via di importanti accordi di manifattura è la prima voce del nostro export di settore in Giappone (546 milioni), gli altri prodotti più apprezzati sono proprio i cibi e le bevande simbolo del made in Italy. Al secondo posto, infatti, figura il vino (con 163 milioni di euro di valore), poi l'ortofrutta trasformata (circa 120 milioni), i prodotti a base di carne (quasi 109 milioni), l'olio d'oliva (oltre 106 milioni), i prodotti da forno (87 milioni), il comparto lattiero-caseario (circa 70 milioni).

"Col Jefta, per fare due esempi, vengono cancellati i dazi sul vino e sono riconosciute 45 denominazioni italiane, che rappresentano la quasi totalità del nostro export agroalimentare sul mercato nipponico", ricorda Scanavino.
"Il settore agroalimentare italiano ha bisogno di mercati aperti per continuare a crescere e ad affermarsi a livello mondiale. Con la crisi del sistema multilaterale non c'è altra strada che quella degli accordi commerciali basati sugli standard europei in materia di sicurezza alimentare, tutela del lavoro e protezione delle risorse naturali", afferma il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. "L'intesa con il Giappone offre importanti opportunità di crescita per le esportazioni agroalimentari degli Atati membri, grazie alla soppressione dei dazi sull'85% dei prodotti destinati al mercato nipponico", precisa Giansanti.

Disco verde anche da Assolatte, associazione delle industrie di trasformazione del settore lattiero caseario, aderente a Confindustria. "Il Jefta - commenta il presidente di Assolatte, Giuseppe Ambrosi - ci mette nelle condizioni di migliorare la nostra presenza su un mercato già adesso molto importante per le esportazioni casearie italiane, visto che rappresenta il terzo sbocco per il nostro export. La liberalizzazione tariffaria per i prodotti caseari e la tutela delle nostre Indicazioni geografiche previste dall'accordo contribuiranno ad aumentare le esportazioni di formaggi italiani in Giappone, che è il primo acquirente di formaggi al mondo". Secondo Assolatte, nel 2018 le imprese italiane hanno esportato in Giappone oltre 10mila tonnellate di formaggi, il 9% in più rispetto all'anno precedente. In valore l'export sfiora i 68 milioni di euro.

Eppure, non la pensa così Coldiretti, che da sempre tiene i riflettori accesi sull'internazionalizzazione e le norme che tutelano le Indicazioni geografiche. Un comunicato di Palazzo Rospigliosi recita lapidario: "Via libera in Giappone al falso made in Italy, dal Grana al Parmesan, dall'Amarone al Greco di Tufo fino a molte altre imitazioni dei prodotti nazionali più tipici che potranno essere liberamente prodotte e commercializzate in Giappone".
Un accordo di libero scambio che, per Coldiretti, "come prevedibile peggiora le condizioni fissate nell'accordo di libero scambio con il Canada (Ceta)".

L'aggravante - sottolinea Coldiretti - nel caso del Giappone è che non è stata neanche prevista la ratifica dei parlamenti nazionali per un accordo che prevede la protezione di appena 18 Indicazioni geografiche italiane agroalimentari sul totale di 293 (appena il 6%) e 28 vini e alcolici sul totale delle 523 denominazioni di origine e Indicazioni geografiche riconosciute in Italia (5%). La mancata protezione dei marchi storici del made in Italy - precisa la Coldiretti - non riguarda solo le produzioni nei paesi con i quali è stato siglato l'accordo, ma anche la possibilità che sui quei mercati giungano imitazioni e falsi realizzati altrove.

Peraltro - continua la Coldiretti - anche se per Grana Padano, Pecorino Romano e Toscano, Provolone Valpadana, Mozzarella di bufala campana e Mortadella Bologna viene garantita la protezione del nome complessivo, potranno essere utilizzati comunque i singoli termini (ad es. Grana; Romano, Bologna, Pecorino, Mortadella, Provolone, Mozzarella di bufala, ecc.) e - aggiunge la Coldiretti - si potrà addirittura produrre e vendere Asiago, Fontina e Gorgonzola non italiani per i prossimi sette anni.