Prosecco e vino in generale, ortofrutta, ma anche formaggi e salumi sono fra i segmenti più a rischio dell'agroalimentare made in Italy nel caso di hard Brexit, senza un accordo che appare oggettivamente ad oggi molto lontano.

Dopo la bocciatura a Westminster da parte della Camera dei Comuni britannica dell'accordo che la premier Theresa May aveva raggiunto lo scorso novembre con Bruxelles sul divorzio dall'Ue (432 no contro 202 sì), si accende l'allarme del mondo agricolo sulle conseguenze negative che il "No deal" potrebbe portare con sé. L'agroalimentare italiano potrebbe uscirne se non con le ossa rotte, comunque seriamente penalizzato. Ma a rischio ci sarebbero - secondo le stime di Confindustria - esportazioni per qualcosa come 23 miliardi di euro.

"L'intesa raggiunta tra Europa e Regno Unito, dopo oltre due anni di trattative, fornisce importanti garanzie ai settori economici e alla società civile - dichiara il presidente nazionale Cia, Dino Scanavino -. Il venir meno di tale accordo creerebbe una situazione di incertezza per imprese e cittadini, che rischia di assumere una dimensione ancora più allarmante in una fase di grande difficoltà sul fronte del commercio internazionale e della crescita economica, sia europea che nazionale".

L'export di cibo e bevande made in Italy verso il Regno Unito vale più di 3,3 miliardi di euro - sottolinea l'Ufficio studi Cia-. Circa un quarto del totale dei prodotti italiani venduti Oltremanica (24% per un fatturato superiore a 810 milioni di euro) è rappresentato dal vino. Ogni cento bottiglie made in Italy vendute nel mondo, ben quattordici finiscono sulle tavole britanniche. Di assoluto rilievo anche il nostro export verso Londra di ortofrutta trasformata (13%) e ortofrutta fresca (4%), così come dei prodotti da forno e farinacei (11%). A farne le spese, forse più di altre, regioni quali la Campania (dove le esportazioni alimentari verso il Regno Unito pesano per il 12,5% sulla formazione del valore aggiunto agroalimentare), ma anche il Veneto e il Piemonte (dove tale incidenza vale rispettivamente l'11% e il 7,4%).

Coldiretti pone l'attenzione su uno dei prodotti simbolo dell'asse commerciale che lega l'Italia alla Gran Bretagna: il Prosecco. "Con quasi una bottiglia esportata su due consumata dagli inglesi è il Prosecco il prodotto simbolo del made in Italy in Gran Bretagna che rischia di essere pesantemente colpito dalle barriere tariffare e dalle difficoltà di sdoganamento che potrebbero nascere da una Brexit senza accordo".
Le vendite di Prosecco Dop nel 2018 in Gran Bretagna sono vicine ai 350 milioni di euro, secondo le stime della Coldiretti, che evidenziano un aumento in valore del 6% rispetto all'anno precedente.

"La mancanza di un accordo è lo scenario peggiore perché rischia di rallentare il flusso delle merci", annota Palazzo Rospigliosi, che mette in guardia anche sul rischio che la Brexit possa aprire le porte a legislazioni sfavorevoli per l'export italiano. L'etichetta nutrizionale a semaforo, ad esempio, comprometterebbe ingiustamente "quasi l'85% del made in Italy a denominazione di origine".

Allerta anche per il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, lapidario nel suo commento: "Per l'agricoltura italiana il recesso del Regno Unito senza un accordo è lo scenario peggiore possibile. Allo stato dei fatti, dal 30 marzo prossimo assisteremo ad un forte rallentamento nel flusso delle esportazioni agroalimentari destinate al mercato britannico". Con le indicazioni geografiche che rappresentano, in valore, il 30% dell'export nazionale, pari a circa 3,5 miliardi.

Confagricoltura ha chiesto al ministero delle Politiche agricole di attivare una task force per individuare le azioni idonee a sostenere il settore.

Sul fronte politico, il negoziatore incaricato dalla Ue per la Brexit, Michel Barnier, parla del "miglior compromesso raggiunto", lasciando ben intendere che non si riaprirà alcuna trattativa con Londra. Il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, scrive che "la Commissione europea continuerà il suo lavoro di emergenza per contribuire a garantire che l'Ue sia pienamente preparata".

Sulla questione interviene anche Paolo De Castro, primo vicepresidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo. "Il Parlamento europeo non è disposto ad aprire un secondo negoziato nella procedura di divorzio tra l'Ue e il Governo britannico, se non alla condizione di migliorare l'attuale accordo a favore dei cittadini, degli agricoltori e dell'intera filiera agroalimentare europea".
Si apre, insomma, un periodo di "grande incertezza". "Personalmente - spiega De Castro - ritengo che sia necessario trovare nel bilancio Ue post-2020 i fondi necessari per tener sotto controllo tutte le possibili perturbazioni di mercato e continuare a garantire il reddito degli agricoltori Ue. Sostegni che l'attuale proposta di bilancio agricolo non permetterebbe".