Il futuro dell'industria del pomodoro, e della coltivazione in Italia della materia prima, si gioca nella capacità della filiera di essere unita e coesa – dai produttori agricoli fino alla Gdo - passando per il settore industriale, in vista di un obiettivo essenziale: riuscire a spuntare prezzi più elevati sul prodotto finito, perché oggi i costi industriali appaiono al tempo stesso elevati e non più comprimibili. Anzi, in alcuni casi, per rispettare gli elevati standard di qualità, le norme ambientali , la tenuta delle imprese agricole e i diritti dei lavoratori, è auspicabile che tali costi possano anche crescere un po’. Ma per essere coperti dal prezzo di prodotti che dovranno essere sempre più collocati in un segmento premium dello scaffale di vendita al consumo.

E’ forse questo il senso di quanto detto durante l’assemblea pubblica dell’Anicav, l'associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali, tenutasi a Napoli lo scorso 30 novembre nel corso dell’appuntamento Il Filo Rosso del Pomodoro e significativamente titolato “Più valore al prodotto. Più valore alla filiera”. Quello del pomodoro è un settore agroindustriale importante in Italia, che si conferma secondo trasformatore mondiale dopo gli Usa, rappresenta il 13,6% della produzione mondiale (pari a 34,3 milioni di tonnellate) ed il 49% del trasformato Ue, con un fatturato totale di oltre 3,15 miliardi di euro. E nel quale, solo nel 2018, le imprese agricole hanno investito su 60.500 ettari (-6% sul 2017): un patrimonio da tutelare ben oltre il rapporto agricoltori-industriali.
 

Campagna 2018, in perdita, ma meglio del previsto

E’ stata archiviata una campagna che è andata un po’ meglio di quanto previsto dalla stessa Anicav a fine settembre, caratterizzata complessivamente da condizioni meteo non favorevoli e senza novità di rilievo sul fronte delle avversità fitopatologiche, eccetto l’inasprirsi di quelle legate al clima: torrido al Nord e più umido al Sud. E durante la quale sono state ottenute 4,65 milioni di tonnellate di pomodoro trasformato – in calo dell’11,5%, rispetto al 2017 - con una riduzione del 12,7% nel Bacino Centro Sud e del 10,2% nel bacino del Nord.
 

Lo scenario di mercato e l'analisi dei bilanci di Nomisma

Così l’associazione dei conservieri si concentra ora sul futuro delle scelte industriali, potendo contare anche sull'Organismo interprofessionale per il bacino del Centro Sud appena riconosciuto dal Mipaaft, che affianca l'omologo per il bacino del Nord, già da tempo operativo.

Perché se la sofferenza delle aziende agricole è nota - strette tra le avversità climatiche, fitopatologiche e da una dinamica dei costi crescente - si iniziano a notare gli scricchiolii del comparto industriale. Secondo un recente studio di Nomisma sui bilanci della industrie del pomodoro nel triennio 2014-2016, pur apprezzandosi una complessiva crescita di fatturato (+8%) e del valore aggiunto (+12%), si fa notare il calo del margine netto delle vendite (-3,4%), accompagnato da una diminuzione della redditività del capitale proprio che passa dal 3,9% al 2,2% tra 2014 e 2016. Il tutto dovuto ai prezzi di vendita sempre più bassi ed a costi ormai incomprimibili.

Intanto, il mercato interno continua a perdere volumi (- 3,5% ) e valore (- 3,3%) tra settembre 2017 e settembre 2018, più che compensato però dalle buone performance delle esportazioni. In un settore export oriented come quello della trasformazione del pomodoro, l’Italia, infatti, torna ad essere il primo paese esportatore di derivati del pomodoro. Nel primo semestre 2018 (dati Istat) si è registrata una crescita dell’11% in volume e del 7,7% in valore.
 

La relazione del presidente Ferraioli

“'Più valore al prodotto. Più valore alla filiera' è il tema che abbiamo scelto come filo conduttore della giornata. - ha spiegato il presidente di Anicav, Antonio FerraioliSi tratta di un argomento di grande importanza ed attualità, anche alla luce delle discussioni che, soprattutto negli ultimi mesi, hanno investito il nostro settore, in particolare sull’utilizzo di pratiche commerciali sleali e quindi sulla necessità di promuovere un’etica nelle relazioni commerciali che porti verso una maggiore collaborazione tra industria e Gdo”.

Ferraioli si riferisce alla polemica nata nella scorsa estate sulle aste telematiche a doppio ribasso, che hanno consentito ad alcuni buyer della Gdo – segmento discount - di accaparrarsi varie derrate alimentari, tra queste il pomodoro in conserva, che è finito col passare di mano a prezzi irrisori. E con ripercussioni negative tanto sulla tenuta delle aziende di trasformazione, quanto sulle aspettative di prezzo da spuntare all’origine nella prossima campagna da parte delle imprese agricole. Una pericolosa corsa al ribasso che Anicav si è impegnata a fermare.

“Al fine di poter riconoscere il giusto valore alle nostre produzioni - afferma Giovanni De Angelis, direttore generale di Anicav - l’associazione ha immaginato di lavorare alla definizione di un costo industriale delle referenze più vendute. Tale costo, con l’aggiunta dei costi generali di struttura - che, pur variando da azienda a azienda, hanno comunque un’incidenza significativa – e, naturalmente, del giusto margine, potrà rappresentare per il consumatore un prezzo di riferimento che garantisca qualità del prodotto e sostenibilità etica ed ambientale”.
 

Lo studio dell’Università Vanvitelli

Non a caso il momento centrale della giornata ha riguardato la presentazione dello studio “Analisi del costo industriale nel settore delle conserve di pomodoro”, commissionato dall’Anicav al Dipartimento di Economia dell’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli ed elaborato dai docenti Francesco Gangi e Eugenio D’Angelo, finalizzato allo sviluppo di un modello di analisi del costo industriale di produzione di alcune tra le maggiori referenze prodotte dalle aziende di trasformazione: pelato, polpa e passata.

Scopo della ricerca è stato quello di analizzare il costo industriale di alcune delle principali referenze prodotte dalle aziende associate Anicav: il pelato da 500 grammi, il pelato da 3 chili, il cubettato da 500 grammi e la passata da 700 grammi. Lo studio è pervenuto non solo a una stima del valore unitario di produzione delle singole referenze oggetto d’analisi (costo unitario scatola/bottiglia), ma anche delle incidenze delle diverse componenti di costo diretto (limitando l’analisi a quei fattori di produzione che concorrono alla formazione del primo margine, quali: materia prima, imballo primario, energia, trasporto materie prime, personale, ammortamenti, ecc.).

Il gruppo di lavoro ha analizzato circa 900 osservazioni (per il triennio 2014-2016) rese disponibili dalle aziende aderenti all’iniziativa attraverso l’upload dei dati, in forma anonima, su una piattaforma telematica realizzata ad hoc. I risultati dell’indagine hanno mostrato che il costo medio di produzione industriale del pelato da 500 grammi di 0,228 euro e quello del cubettato da 500 grammi è di 0,222 euro. Per quanto riguarda la bottiglia di passata da 700 grammi il costo industriale medio è risultato pari a 0,384 euro mentre quello del pelato da 3 kg è di 1,205 euro. Al costo industriale dovranno essere aggiunti i costi di etichettamento ed imballaggio secondario per lo scatolame oltre ai costi generali ed i costi di struttura - amministrazione, assicurativi, di marketing, etc.- la cui incidenza sul valore della produzione è stata stimata in un range (media-mediana) tra il 6,2% e 6,5%.

In questo contesto, il costo della materia prima oscilla tra i 6 centesimi di euro per la confezione di pelato da 500 grammi ai 33 centesimi della confezione di 3 chili. E rappresenta dal 27 al 33 per cento del costo industriale. Costi non ulteriormente comprimibili, soprattutto quello del pomodoro in campagna, e che nel complesso mettono a dura prova i bilanci delle aziende conserviere: secondo lo studio sono costrette a ricorrere al mercato del credito per un valore tre volte superiore ai mezzi propri per continuare a produrre, e hanno di fronte un mercato che continua a pagare loro il prodotto sempre meno. Infatti, alla luce delle analisi condotte, la gestione dei prezzi di vendita appare in una fase particolarmente critica sia per assicurare gli adeguati standard di qualità ai prodotti finiti, sia per garantire le necessarie condizioni di equilibrio economico-finanziario e di remunerazione del capitale investito.
 

La tavola rotonda

Lo studio è stato oggetto di discussione nel corso di una tavola rotonda cui hanno partecipato il presidente di Anicav, Antonio Ferraioli, Francesco Mutti, presidente Centromarca, Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad, Pier Paolo Rosetti, direttore generale di Conserve Italia, e Giorgio Santambrogio, presidente Associazione distribuzione moderna.

“Le risultanze dello studio, lungi dal voler essere utilizzate come strumento contrattuale, - ha detto Antonio Ferraioli durante la tavola rotonda – potranno rappresentare la base da cui partire per avviare un’interlocuzione con il mondo della distribuzione finalizzata ad affermare la qualità e la tipicità del pomodoro da industria italiano e aprire un nuovo scenario per la filiera, contribuendo all’evoluzione, in ambito mercantile, dei derivati del pomodoro da commodity a basso costo a prodotti di qualità, sostenibili sotto il profilo ambientale, sociale ed etico. Riteniamo, infatti, che l’interesse del consumatore non può e non deve essere salvaguardato esclusivamente abbassando i prezzi: è necessario il rispetto dell’etica nel lavoro e nelle relazioni commerciali, tenendo ben ferma la qualità delle produzioni”.

Per Pier Paolo Rosetti, direttore generale di Conserve Italia, si tratta di “un punto di partenza che mette delle regole in un mondo dove fino ad oggi mancavano. Un paletto al di sotto del quale sarebbe giusto non andare”.
“Noi
- ha aggiunto - siamo rappresentanti di una filiera che parte dalla produzione fino al prodotto finito. Troppe volte, anche a causa di pratica non corrette, questo paletto è stato superato anche in virtù di uno squilibrio tra domanda e offerta di prodotto. Dobbiamo cercare di evitare che si generino distorsioni a livello di produzioni per rimanere in un equilibrio di mercato che, altrimenti, ci porterebbe a una banalizzazione del prodotto, a discapito della nostra filiera che conta, per Conserve Italia, 14mila soci”.

Per Mutti “Lo studio invita a percorrere una logica di filiera. Poi c’è la valorizzazione: il consumatore italiano si sta allontanando da questo prodotto e tutti perdono valore. Tanto rappresenta la capacità tutta italiana di non saper valorizzare i propri prodotti".

Santambrogio ha invece sottolineato come “Non bisogna generalizzare, per ogni settore di filiera c’è una sorta di polarizzazione. Taluni clienti vogliono un prodotto sempre più premium, ma c’è anche una parte cospicua dei consumatori italiani la quale non va ancora verso un prodotto di prezzo”.

Pugliese h sostenuto la necessità di una “Posizione netta contro le aste a doppio ribasso, e abbiamo chiesto di vietarle per legge. Il mercato del pomodoro vale 800 milioni, il 60% lo fa il discount. I più danneggiati sono quelli che non fanno le aste. Il discount pone prodotti in vendita a –30%.” Pugliese ha spiegato così la strategia di Conad: “Con i prodotti a nostro marchio cresciamo con tassi a due cifre nel biologico e sui segmenti premium e compensiamo così i segmenti di minor valore. Investiamo in etica, con protocolli, contro l’utilizzo del caporalato. Oggi, c’è chi - tra i produttori -ha costi molto alti, ma proprio perché si è attrezzato per la sostenibilità sociale, ambientale e per i prodotti premium”.

Ferraioli ha ricordato che al Mipaaft è in itinere un approfondimento su Certo, la certificazione volontaria sulla sostenibilità, con la quale vi sarà la possibilità apporre il bollino di prodotto etico: corretto sul piano della sostenibilità sociale ed ambientale. Mutti ha infine ammonito: “Se ci proiettiamo verso i mercati del Nord Europa, i nostri standard di sostenibilità non sono per avere successo, ma per poter continuare ad avere accesso sui loro mercati".