Oggi tutti parlano di tracciabilità. Ogni convegno, tavola rotonda o documento proveniente da Roma o Bruxelles sottolinea l'importanza di avere produzioni tracciate. Aziende e startup lavorano sulla tracciabilità e se si ci si vuole dare un tono si sottolinea l'importanza di utilizzare la blockchain, una tecnologia di cui abbiamo parlato varie volte su AgroNotizie (ad esempio qui, qui e qui).

Insomma, la tracciabilità è uno dei leitmotiv di questo periodo e gli agricoltori, nolenti o volenti, ci devono fare i conti. Ma avere produzioni tracciate, dal campo alla tavola, rappresenta una opportunità di reddito per le aziende agricole o solo un costo aggiuntivo?


La tracciabilità, un valore per il made in Italy

Prima di tutto dobbiamo definire bene che cosa si intende per tracciabilità. Perché la tracciabilità di un cibo o di una materia prima assume un valore differente a seconda che il fruitore sia una azienda di trasformazione, la Gdo o il consumatore finale.

Tracciare significa banalmente sapere da dove un certo prodotto proviene e come è stato gestito. Oggi il consumatore guarda quasi esclusivamente l'origine geografica. Sono pochi, ma sempre di più, i consumatori che controllano la provenienza dei singoli ingredienti, che visitano i siti internet dei produttori in cerca di informazioni aggiuntive o che approfondiscono il tema dell'origine scansionando i QRcode presenti su bottiglie di vino, pacchi di pasta e conserve.

La tracciabilità è un elemento importante anche per la grande distribuzione e per le aziende di trasformazione. Sapere chi sono i propri fornitori, dal singolo agricoltore fino all'ultimo grossista, significa avere gli strumenti per efficientare la supply chain e intervenire in maniera veloce e precisa se ci sono problemi. In caso di rischio sanitario ad esempio è fondamentale poter andare all'origine della contaminazione il più velocemente possibile per ritirare i lotti compromessi e ridurre al minimo le perdite economiche e di immagine.

Per il made in Italy la tracciabilità è uno strumento importante di promozione. Ai nostri prodotti viene riconosciuto a livello internazionale un altissimo grado di qualità e di sicurezza. Fornire ai consumatori internazionali strumenti utili a tracciare i prodotti che trovano sullo scaffale di un supermercato di Tokyo o New York è sicuramente un valore aggiunto e un'arma contro l'Italian sounding.


E i vantaggi per l'agricoltore, dove sono?

Ma l'agricoltore ci guadagna qualcosa? Non esiste una risposta univoca. Durante il World Agri-Tech Innovation Summit di Londra (di cui AgroNotizie è partner) diverse società IT promuovevano piattaforme basate sulla tecnologia blockchain. Soluzioni proposte alle sigle della grande distribuzione per tracciare le catene di valore che stanno dietro ad ogni prodotto.

È dunque la stessa Gdo che oggi, ma sempre di più domani, chiederà ai partner di implementare le proprie soluzioni di tracciabilità. In questo modo per il retailer diventa estremamente semplice ottimizzare la supply chain e risolvere eventuali problemi di food safety.

Se all'agricoltore, costretto ad implementare queste tecnologie, fosse corrisposta una remunerazione maggiore dovuta all'aggravio di lavoro che una tracciabilità completa comporta, ci guadagnerebbero tutti gli attori della filiera. Ma il rischio concreto è che la Gdo dia per scontato un allineamento delle aziende agricole alle proprie disposizioni. Similmente a quanto sta accadendo oggi con la presenza di residui di agrofarmaci su frutta e verdura, dove il vero parametro di riferimento non è più la normativa, ma i disciplinari adottati internamente dalla grande distribuzione a cui gli agricoltori si devono allineare per poter vendere i propri prodotti.

La tracciabilità è dunque l'ennesima tegola che sta per finire sulla testa degli agricoltori? Non proprio. Prima di tutto bisogna considerare che le aziende agricole che oggi implementano sistemi di tracciabilità (guarda il caso della passata di datterino) possono vantare nei confronti dei propri partner un valore aggiunto che può essere ripagato dal punto di vista economico (almeno per ora).

Ma bisogna anche considerare che esistono molteplici piattaforme di tracciabilità, sviluppate e adottate internamente da consorzi e aziende: da web application a soluzioni che si appoggiano a strutture blockchain. Piattaforme a cui oggi gli agricoltori possono aderire liberamente perché permettono di offrire al consumatore finale un valore aggiunto monetizzabile.

Se una cooperativa vitivinicola, con decine di conferitori, adotta internamente un sistema di tracciabilità può gestire meglio i propri flussi produttivi e può offrire al wine lover un valore aggiunto, rappresentato dalla possibilità di 'vedere' l'origine di una bottiglia. Servizio che dovrebbe, si spera, essere valorizzato economicamente.


L'importante è non aspettare

Il tema della tracciabilità e dell'uso della blockchain è sul tavolo ed è controproducente aspettare che ci piova in testa. Se dunque oggi la Gdo è interessata ad implementare un sistema di tracciabilità lungo tutta la filiera volto ad ottimizzare la supply chain e a minimizzare i costi in caso di un ritiro di prodotto, gli agricoltori (e i vari soggetti aggregativi) dovrebbero dotarsi di piattaforme proprie per ottimizzare i processi produttivi e offrire un servizio aggiuntivo direttamente al consumatore.

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