In un luglio dove i campi della pianura padana assomigliano ancora alle verdi valli irlandesi anche i più scettici iniziano a credere al cambiamento climatico.

Forse non sarà quella tregenda che si dice, ma in agricoltura ci si deve preparare per tempo - in meglio o in peggio.
Mentre in Inghilterra sta di nuovo prendendo piede la coltura della vite (era dal Medioevo che non si riusciva a coltivare), sui colli nord appenninici si sta espandendo l'olivo invece in Sicilia e Andalusia la frutta tropicale sta andando alla grande.

In Francia alcuni fondi immobiliari utilizzano dei modelli meteo per prevedere le aree in cui si potrà fare viticoltura di pregio e pare abbiano già iniziato una attività di speculazione. Chi vuole acquistare un chateau in transizione dalle cipolle ai grandi cru si faccia avanti.

Peggio va in Portogallo. Nell'Alto Douro, una volta mite regione vinicola, la coltivazione della vite è oggi resa difficile dall'alternarsi di estati torride e inverni rigidi. Proprio dall'Alto Douro l'Unesco ha deciso di lanciare l'indice di vulnerabilità al cambiamento climatico per i siti patrimonio dell'umanità.
Che non a caso sono siti di grande pregio agricolo, molto spesso di grande pregio vinicolo. Ecosistemi plasmati dall'uomo che si possono però rivelare fragili e soggetti a disastrosi cambiamenti.
Qui secondo l'Unesco è necessario iniziare a pensare alla resilienza, ovvero a sistemi che si possano adattare all'incipiente cambiamento climatico.

Resistere, resistere - ma anche cambiare (in meglio).