Quasi quattro anni sono passati dall'agosto 2014 quando, in risposta alle sanzioni dell'Ue per la crisi in Crimea, la Russia imponeva l'embargo su diversi prodotti agroalimentari all'Unione europea. Uno shock che, ancora oggi, non è stato completamente riassorbito da quelle aziende che avevano stabilito rapporti stabili di esportazione verso la Federazione Russa.

A essere particolarmente colpito è stato il settore ortofrutticolo italiano, anche se il danno reale è di difficile quantificazione. Lo stesso Ice di Mosca avverte, in un rapporto pubblicato a fine 2017: "Deve essere tenuto in considerazione il danno indiretto per i prodotti esportati mediante triangolazioni e per le imprese italiane operanti in Russia, tanto sul fronte produttivo che distributivo. Questa categoria di effetti, ancorché rilevante, non è calcolabile con precisione".

I dati statistici che arrivano dalle dogane russe dicono che, nel 2013, la Russia importava dall'Italia prodotti ortofrutticoli freschi per circa 131 milioni di euro, con una prevalenza di mele, pere, ciliegie, drupacee e uva da tavola, per una quantità di prodotto di circa 120mila tonnellate. Nel 2015 l'importazione si è pressoché azzerata.
I quantitativi, e il corrispettivo valore, potrebbero sembrare poca cosa se paragonati alla dimensione dell'export di frutta e verdura (dati Istat) che nel 2013 si attestava a oltre 4 miliardi per 3 milioni e 700mila tonnellate e che nel 2015 era cresciuta a oltre 4,5 miliardi di euro per 4 milioni di tonnellate per arrivare al record 2017 di 5 miliardi di valore per circa 4 milioni di tonnellate, eppure anche il Cso di Ferrara conferma che la valutazione del danno al settore ortofrutticolo italiano, causato dall'embargo, non può fermarsi all'analisi dei dati certi.

"Non esiste una chiara quantificazione del danno - ha dichiarato Elisa Macchi, direttore del Cso - e limitarci alla sola analisi quantitativa e di valore dell'export ante embargo è molto riduttivo. L'export italiano verso la Russia, soprattutto per determinati prodotti, non era molto significativo, ma il danno derivante della chiusura di questo mercato è sicuramente maggiore rispetto al volume e al valore dell'export italiano. La Russia prima dell'embargo rappresentava un'importante destinazione per molti paesi europei. Il Belgio per esempio esportava circa 115mila tonnellate di pere; l'Olanda poteva avviare circa 50mila tonnellate di pere, la Spagna circa 70mila tonnellate di pesche e nettarine e in alcuni anni arrivava anche a 90mila tonnellate. E non dimentichiamo la Polonia con le mele, che poteva arrivare anche a quasi 700mila tonnellate. La Russia per alcuni di questi prodotti e paesi rappresentava tra i primi mercati di destinazione.
Se guardiamo la geografia delle destinazioni dell'export, dopo l'embargo, ci accorgiamo che questi quantitativi non sono sempre stati indirizzati verso mete alternative ma, al contrario, soprattutto all'interno dell'Unione europea, mercato che non vede recentemente una crescita dei consumi. Questo ha creato sul mercato europeo una maggiore competizione, basata principalmente sul prezzo"
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Fa eco a Elisa Macchi, Marco Salvi, presidente di Fruitimprese, associazione di imprese ortofrutticole che comprende circa trecento aziende italiane: "La perdita è importante, l'impatto è globale, tutto ciò che l'Europa inviava là, ora appesantisce il mercato. In questo momento - ha dichiarato ad AgroNotizie - si cerca di trovare nuovi sbocchi e di aprire nuovi mercati. Stiamo lavorando con il ministero per andare con le pere in Cina, dove siamo solo con il kiwi. Si lavora per esempio a un iniziale dossier fitosanitario per gli sbocchi sul mercato messicano ma sono trattative complicate per le quali bisogna mettere in campo la diplomazia e sono molto lunghe".

Fra i danni indiretti per l'ortofrutta, c'è poi da calcolare quello derivante dai mancati ordini da parte dell'industria di trasformazione che poteva aver aperto un canale verso la Russia: "Tante aziende di trasformazione avevano un mercato russo per esempio per le marmellate o per i succhi, piccole aziende ma anche multinazionali. Nonostante non fossimo grandi esportatori di arance verso la Russia, il danno indiretto per le produzioni agrumicole c'è", ha raccontato ad AgroNotizie Giuseppe Pasciuta, presidente del Consorzio di tutela Arancia di Ribera Dop.
In effetti nel 2013, ultimo anno completamente aperto per il mercato Ue, l'Italia esportava in Russia solo 4.700 tonnellate di prodotto per un valore di circa 3,6 milioni di euro, non molto ma c'era chi si era mosso per provare ad esportare arance di qualità: "Noi di Oranfrizer - ci ha raccontato Salvo Laudani, marketing manager dell'azienda - avevamo iniziato un percorso per orientare il consumatore verso il Tarocco, con pezzatura elevata. Avevamo iniziato a parlare un linguaggio di qualità. Eravamo in corso d'opera, avevamo iniziato un paio di anni prima. Con l'embargo questo lavoro si è interrotto".

Il contraccolpo maggiore è stato per i produttori di mele e ne sa qualcosa From, società agricola cooperativa fondata dai produttori di mele del Trentino nel 2009, proprio per puntare sul mercato russo. Al momento dell'embargo, 2014, il 99% degli sforzi di vendita di From era sulla Russia. "Era il nostro mercato di riferimento - ci ha raccontato Nicola Zanotelli, direttore di From - è stato uno shock. Abbiamo dovuto riconcepire il flusso dei prodotti e ci abbiamo messo un paio di anni per cambiare mercato di riferimento. Oggi per noi l'India rappresenta ciò che era la Russia nel 2014. Attenzione però perché purtroppo i russi erano grandi consumatori di Golden. Questa varietà non viene invece apprezzata dagli asiatici. Il mercato della Golden quindi si è ristretto e ciò vale anche per la Granny".

E in Russia? Come hanno reagito? E' sempre l'Ice di Mosca a relazionare su questo punto. Gli importatori russi "si sono trovati nel 2014 nell'urgenza di dover sostituire, in tempi brevissimi, un numero elevato di fornitori, molti dei quali partner di lungo corso. Oggi la situazione del mercato può dirsi stabilizzata, con la presenza di importatori e distributori locali che hanno saputo individuare nuovi fornitori".

Dati che arrivano dal Federal Customs Service della Federazione Russia indicano verso quali mercati gli importatori russi hanno diretto l'attenzione: se Turchia ed Ecuador erano già nel 2014 in testa nel ranking dei paesi fornitori di frutta e verdura, chi ha scalato la classifica, portandosi ai primi posti (dopo Turchia ed Ecuador) sono Egitto, Cina, Serbia, Belarus, Moldavia e Azerbaigian.
Dall'altro lato la Russia ha spinto sull'acceleratore dell'indipendenza agroalimentare con sovvenzioni all'agricoltura e un programma di ammodernamento del settore che punta a rendere il paese autosufficiente entro il 2020.


 
A quattro anni dall'embargo russo, introdotto in risposta alle sanzioni dell'Unione europea per la crisi in Crimea, AgroNotizie ha realizzato una fotografia del settore ortofrutticolo italiano intervistando i protagonisti: vivaisti, consorzi e aziende che offrono consulenza e formazione.
Se da un lato c'è un danno ancora difficile da quantificare per il made in Italy, dall'altro emergono numerose occasioni per il know how nazionale.

Leggi l'approfondimento "Embargo russo: perdita o opportunità?"