Si è conclusa a Roma l'assemblea pubblica 2018 di Assobiotec (Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie), incentrata sul tema: "Il futuro è già qui. Siamo pronti ad accoglierlo?", dalla quale è emerso come il paese non sia pronto affatto, gravato com'è da vecchie logiche e ritardi strutturali e culturali che rischiano di frenare lo sviluppo dell'innovazione biotecnologica e di compromettere la competitività e la crescita del settore.

L'opinione è senz'altro data con cognizione di causa; Assobiotec infatti riunisce e rappresenta circa 130 imprese e parchi tecnologici e scientifici operanti in Italia nei diversi settori di applicazione delle biotecnologie: dalla salute all'agricoltura, dall'ambiente ai processi industriali.
Costituita nel 1986 all'interno di Federchimica, Assobiotec è membro fondatore di EuropaBio e dell'International council of biotechnology associations.


L'Italia del Biotech in numeri

I numeri del Biotech italiano pubblicati nel rapporto 2018 "Le imprese di biotecnologie in Italia - Facts&Figures" che Assobiotec ha realizzato in collaborazione con Enea, sono sorprendenti, almeno se si considera il rapporto culturale degli italiani con queste tecnologie, più vicino agli orrori de "L'isola del dott. Moreau" di H. G. Wells che all'utopia de "Il seme tra le stelle" di J. Blish.

Attualmente il settore conta 571 imprese, che impiegano 13mila addetti e sviluppano 11,5 miliardi di fatturato, con un incremento del 12% tra il 2014 e il 2016. Il 68% di questo fatturato è generato dalle imprese a capitale estero, che rappresentano solo il 13% delle imprese censite. Tra il 2014 e il 2016 gli investimenti in Ricerca&Sviluppo biotech sono cresciuti del 22% superando i 760 milioni. Nel 2015 le imprese esportatrici, a fronte del 5% dell'industria italiana in generale, erano il 38%. La grande maggioranza delle imprese biotech italiane (76%) è costituita da aziende di dimensione micro (da 1 a 9 addetti) o piccola (da 10 a 49) e il comparto della salute genera quasi tre quarti del fatturato biotech totale.

Nel corso del 2016, il 72% delle imprese si è autofinanziata, oltre il 40% ha avuto accesso a grants, il 22% ha fatto ricorso al capitale di debito, mentre soltanto il 6% ha potuto accedere a finanziamenti di Venture Capital.
La Lombardia si conferma la prima regione in Italia per numero di imprese (162 pari al 28% del totale), investimenti in R&S (23% del totale) e fatturato biotech (32% del totale). Seguono Lazio (58) ed Emilia Romagna (57) per numero di imprese. Guardando invece agli investimenti in R&S, dopo la Lombardia è la Toscana la regione che più investe nel biotech, seguita dal Lazio, delineando in questo modo una mappatura chiara delle aree trainanti del biotech in Italia.
Le imprese "dedicate alla R&S biotech" investono almeno il 75% del proprio budget in ricerca.

Il quadro generale delinea una buona produzione scientifica di base, ma dimensioni troppo piccole e che stentano a crescere, un trend positivo che dimostra la vitalità del settore, ma su valori assoluti di investimenti in ricerca non competitivi. "Il settore sembra offrire grandi opportunità al paese, ma al tempo stesso ha urgente bisogno di una strategia nazionale di medio-lungo periodo a favore di innovazione e ricerca, un piano fatto di misure stabili nel tempo e che preveda una governance certa, efficace e centralizzata· misure che permetterebbero alle imprese di superare il limite di una dimensione spesso troppo piccola, ma anche di rendere più attrattivo il paese per gli investimenti sia di capitale che industriali, garantendo ricadute potenzialmente importanti in termini di sviluppo economico, occupazione e, in ultima analisi, crescita e competitività" ha commentato Luca Benatti, componente del Comitato di presidenza di Assobiotec.


Biotecnologie per agricoltura e zootecnia

Nel corso dell'incontro i temi focali sono stati due: le biotecnologie per la salute e quelle per agricoltura e zootecnia.
Il panorama delle imprese che operano nell'area agricoltura e zootecnia in Italia si presenta assai diversificato, con cinquanta imprese censite (9% del totale), tutte caratterizzate da notevole attività di R&S. L'80% delle imprese totali sono classificabili come piccole o micro imprese e il fatturato del settore sfiora i 900 milioni di euro.

Il 2017 ha visto una significativa apertura della ricerca pubblica italiana, che si sta impegnando in un vasto e ben focalizzato piano di ricerca e sviluppo basato sulle più avanzate biotecnologie applicate al miglioramento genetico vegetale (Plant breeding innovation). Questo piano rappresenta un punto di svolta da cui far ripartire l'intera ricerca, soprattutto nella genetica agraria e nel miglioramento varietale, nel contesto di una logica di innovazione che comprende l'integrazione delle scienze della vita con quanto può offrire la prospettiva parallela dell'agricoltura di precisione.
Nelle imprese dedicate alla R&S biotech, tutte a capitale italiano, si registra un aumento di più del 50% degli investimenti in R&S biotech rispetto ai due anni precedenti.

I principali progressi nel settore agroalimentare derivano dalle opportunità offerte dalle "forbici molecolari" del Crispr-cas9, che rendono possibile tagliare con estrema precisione sequenze di Dna e inserire, eliminare o sostituire porzioni di queste. Una tecnica che, applicata al mondo vegetale, permette di preservare e rendere più resistenti le varietà esistenti, preservandone al contempo la biodiversità. Proprio perché in grado di modificare un solo carattere, magari quello che può rendere un organismo resistente a un parassita o più resiliente ad un cambiamento ambientale, o un prodotto più nutriente, il genome editing consente di conservare inalterato il patrimonio genetico di una varietà tipica esattamente com'è oggi.
Si tratta inoltre di una tecnologia relativamente semplice ed economica, facilmente applicabile al sistema produttivo italiano, ricco di varietà tipiche ed antiche, colture di nicchia e piccole imprese.


Ambiente e non solo

Un settore emergente e che lavora spesso in stretta sinergia con le biotecnologie per la salute è quello legato alla genomica, proteomica e tecnologie abilitanti (Gpta). Sono 65 le imprese che lavorano in questo ambito, corrispondenti all'11% del totale delle imprese biotecnologiche in Italia. Sono realtà che svolgono attività di ricerca di base, con particolare prevalenza nell'utilizzo delle tecnologie "omiche" (genomica , proteomica, trascrittomica ecc.) e nell'analisi dei big data mediante approcci bioinformatici.

Applicate trasversalmente, le moderne biotecnologie aprono nuove prospettive anche nel settore industriale e del risanamento ambientale, permettendo al nostro paese di recuperare una capacità di orientamento del sistema produttivo verso assetti compatibili con l'evoluzione degli scenari competitivi internazionali, già fortemente influenzati dalla ricerca di fonti primarie alternative al petrolio, di prodotti più eco-compatibili e da processi selettivi con minore o nullo impatto ambientale.

La nuova frontiera nel campo delle biotecnologie industriali è la biologia sintetica. Negli ultimi anni, grazie a un avanzamento di conoscenze e di tecnologia mirata e controllata che ha accelerato i processi di sintesi di sequenze di Dna, si sta esplorando la strada della progettazione e sintesi di piccoli organismi viventi il cui genoma non esiste in natura e deriva da una modifica sostanziale del genoma dell'organismo di partenza preso come riferimento.
I vantaggi che si potrebbero ricavare da questo nuovo campo scientifico e tecnologico, all'incrocio tra la biologia molecolare, la genetica e l'ingegneria, sono enormi. La biologia sintetica potrebbe contribuire a diversi settori, tra questi il campo industriale e ambientale. Organismi o strutture biologiche ingegnerizzati potrebbero infatti agire come sensori per rilevare la presenza di inquinanti. Questa capacità potrebbe poi essere ulteriormente abbinata all'abilità di degradare le sostanze nocive in composti più semplici e non dannosi per l'uomo e l'ambiente. La cosiddetta "bioremediation" è, infatti, uno degli obiettivi della biologia sintetica e si basa sulla progettazione e modificazione di batteri e altri microrganismi come i funghi per degradare e eliminare sostanze tossiche e inquinanti da terreni o da acque contaminate.

Un'altra applicazione di forte interesse è la produzione di bioprodotti. La sfida è progettare e sintetizzare geni che sovrintendono a complesse vie metaboliche, da introdurre all'interno di microrganismi, in modo che poi possano produrre biochemicals, bioenergia e biopolimeri (bioprodotti) su larga scala, a partire, per esempio da energia solare, anidride carbonica  e acqua.

"Questa evidente evoluzione tecnologica porta con sé la necessità e l'urgenza di progettare nuovi modelli di sostegno alla ricerca innovativa mettendo insieme istituzioni e imprese, pubblico e privato per far correre l'Italia all'interno e non ai margini di questo cambiamento globale" ha detto Benatti.
"E' urgente che il paese affronti e discuta nuovi modelli adeguati al nuovo paradigma di sviluppo delle ultime frontiere dell'innovazione attraverso una strategia e una governance dell'innovazione e della ricerca chiare, certe e centralizzate; una visione e una prospettiva temporale che superino largamente la durata di una legislatura; un investimento strutturale nel trasferimento tecnologico, supportato dalla creazione di una cultura imprenditoriale forte, a partire dall'Università, così come la creazione di un cosiddetto 'one stop shop' a disposizione degli investitori".

"Solo così - ha concluso - sarà possibile competere con i nostri reali concorrenti, che non possono e non devono essere gli Stati Uniti o la Cina, ma almeno i principali paesi europei, che oggi attirano più capitale e più impresa rispetto all'Italia. Dobbiamo imparare a guardare da una nuova prospettiva il cambiamento in atto e avere il coraggio, anche compiendo scelte in discontinuità rispetto al passato, di cavalcare la rivoluzione biotech che stiamo vivendo per il bene del settore, ma soprattutto dell'intero paese".