Non esistono pasti gratis. E' questo uno dei principi cardine dell'economia. Se qualcosa è gratuito significa che qualcun altro sta pagando. O più probabilmente lo state facendo voi senza accorgervene. Su internet, dove la maggior parte dei servizi è gratis (basti pensare alle caselle di email), a pagare sono gli utenti che forniscono i propri dati personali ai provider che poi li vendono alle aziende, principalmente sotto forma di inserzioni pubblicitarie.

Lo scandalo che ha coinvolto Facebook ha scoperchiato il calderone. La società di consulenza Cambridge Analytica sarebbe entrata in possesso in maniera illecita dei dati dei profili di 50 milioni di persone sparse in tutto il mondo. Dati poi utilizzati, sostengono gli accusatori, per campagne di marketing mirate a influenzare il voto durante le elezioni che hanno portato alla vittoria di Donald Trump.

Ma che cosa c'entra la gestione dei dati personali online con l'agricoltura? Le aziende agricole stanno diventando sempre più tecnologiche e produttrici di dati preziosi, i cosiddetti big data. I sensori in campo, i trattori e le attrezzature sfornate dall'industria 4.0 registrano migliaia di dati. Un esempio? Le mietitrebbie sono in grado di misurare la produttività dei campi metro per metro. Dati che oggi non vengono usati, almeno in Italia.

La cosa è diversa negli Usa, dove la piattaforma Farmer business network ha messo a reddito questa ricchezza. Fbn raccoglie i dati degli agricoltori che si iscrivono, pagando, alla sua piattaforma. I farmer forniscono informazioni dettagliate sul proprio business: grandezza della fattoria (2mila ettari la 'taglia' media), tipologia di terreno, tipologia di semi piantati, prodotti utilizzati, raccolti ottenuti e così via. I big data vengono resi anonimi e 'digeriti' dalla piattaforma che fornisce poi informazioni utili per altri agricoltori.

I farmer possono così confrontare le proprie performance con quelle di colleghi che operano in condizioni uguali e imparare da chi ha fatto meglio. C'è chi, in un certo areale, ha ritardato la semina di frumento di un paio di settimane perché aveva visto dare risultati migliori in fattorie simili. Chi invece ha usato un certo diserbante su alcune infestanti piuttosto che un altro. Oppure ha modificato la densità di semina per ottenere migliori produzioni. Il sistema funziona e oggi sono 6mila gli agricoltori iscritti e paganti (600 dollari l'anno) per un totale di nove milioni di ettari coltivati.

Farmer business network non cede a terzi i dati degli agricoltori e questo è forse il segreto del suo successo. "L'utente è il proprietario dei dati che genera e Fbn si limita ad analizzarli", spiega Charles Baron, fondatore di Fbn, durante il World Agri-Tech Innovation Summit (di cui AgroNotizie è partner). "Il nostro è un sistema indipendente che ha come obiettivo quello di aiutare gli agricoltori. E sono proprio gli agricoltori a chiederci di rimanere indipendenti, di non farci rilevare".

Ma c'è di più. Perché Farmer business network vende ai suoi iscritti anche sementi e agrofarmaci a prezzi super scontati. Lo fa perché le grandi multinazionali sono in competizione tra di loro per accaparrarsi gli ordini degli utenti della piattaforma. Quando un agricoltore, consultando le analisi di Fbn, decide di comprare una determinata semente, può vedere quali sono le aziende che la producono e scegliere il miglior prezzo.

Ma in futuro si andrà ancora oltre. Saranno infatti gli stessi agricoltori che venderanno alle aziende produttrici di sementi, agrofarmaci e attrezzature, i dati delle loro aziende per ottenerne un guadagno diretto. I big data sono la vera ricchezza dell'economia 4.0 e lo scandalo Cambridge Analytica lo ha reso palese al grande pubblico.

Sono due le vie di guadagno possibili. Da un lato, similmente a quanto fatto da Farmer business network, l'agricoltore potrebbe 'annunciare' di voler comprare un dato input produttivo (diserbante, semente, trattore....) e mettere in competizione i vari produttori per ottenere degli sconti.

Dall'altro, e questa è la vera rivoluzione, potrebbe vendere i dati per aiutare le aziende a migliorare i propri prodotti. Un esempio? Se un produttore di trattori potesse avere accesso alle 'scatole nere' dei propri mezzi in campo potrebbe monitorarne il funzionamento e identificare le cause di rotture di parti durante il periodo di garanzia. Intervenire quindi per migliorare il prodotto e risparmiare. Una situazione in cui a vincere sarebbero tutti.

Difficile però che l'agricoltore abbia un guadagno economico diretto. "L'economia dei dati è una economia tipicamente di scala, il che significa che essa si regge su masse critiche di dati, rispetto alle quali i dati di un singolo utente sono per lo più irrilevanti e indifferenti", spiega ad AgroNotizie Massimo Tavella, avvocato ed esperto di privacy. "Essi assumono valore solo quando congiunti alla massa critica e rielaborati: è perciò difficile ipotizzare che i dati del singolo, da soli, possano assumere un valore di mercato".

Senza contare che "i produttori di smart objects hanno tutto l'interesse ad acquisire e tenere questi dati per sé e a strutturare termini e condizioni di acquisto del prodotto o servizio in maniera tale che i consumatori si spoglino o rinuncino a eventuali diritti sui dati raccolti e generati dalla macchina. E' più verosimile immaginare che, a fronte di tale cessione, gli utenti vengano ricompensati con facilitazioni o gratificazioni di vario genere legate all'utilizzo degli strumenti tecnologici".

Questo articolo fa parte delle collezioni: