Il mais geneticamente modificato non solo non fa male alla salute, ma anzi fa bene. E assicura anche produzioni più elevate e un minor uso di agrofarmaci.
E' quanto emerge da uno studio pubblicato su Scientific Reports condotto dai ricercatori della Scuola Superiore Sant'Anna e dell'Università di Pisa. Si tratta di una meta-analisi, una 'ricerca di ricerche', che ha preso in considerazione seimila studi e ha selezionato quelli più affidabili condotti nel corso di ventuno anni di storia degli Ogm (1996-2016).

Studi portati avanti negli Stati Uniti, ma anche in Europa, America Latina, Sud Africa, Oceania. Centinaia di ricerche messe a confronto per arrivare alla conclusione che non esistono prove sulla pericolosità del mais Ogm per gli esseri umani. "Ma anche per gli insetti", spiega ad AgroNotizie Elisa Pellegrino, una delle ricercatrici che ha seguito il progetto. "Di tutte le specie di insetti analizzati non è mai stata registrata alcuna diminuzione delle popolazioni".

Uno dei riscontri piú interessanti è che il mais BT, modificato cioè per produrre una tossina che uccide insetti come la piralide, è più salutare di quello convenzionale. "Gli attacchi di piralide favoriscono la proliferazione di funghi che producono micotossine pericolose per l'uomo", continua Pellegrino. "Nelle coltivazioni Ogm abbiamo registrato una riduzione del 28,8% di micotossine. Con una contrazione delle fumonisine del 30,6% e dei tricoteceni del 36,5%, mentre non ci sono dati certi sulle aflatossine".

Ad essere analizzata è stata anche la digeribilità della fibra. Il mais viene usato infatti per la stragrande maggioranza come mangime per gli animali. Avere un tessuto vegetale facilmente assimilabile da parte dei bestiame risulta di fondamentale importanza. "Ma dalla nostra analisi non risultano differenze a livello di digeribilità tra il mais convenzionale e quello Ogm".

Gli Ogm però segnano un aumento della produttività che varia dal 5,6% al 24,5%. Numeri su cui l'Italia dovrebbe riflettere visto che nel 2017 abbiamo importato mais dall'estero per un valore di un miliardo di euro. Mais destinato ai nostri allevamenti intensivi che poi forniscono la materia prima di una parte del made in Italy. Granaglie che, e qui arriva la beffa, sono per la maggior parte Ogm. Già, perché l'Italia (a differenza di Stati come la Spagna) ha vietato sì la coltivazione di piante Ogm, ma non l'importazione.

Una meta-analisi recente pubblicata su Plos One (Wilhelm Klumper e Matin Qaim, novembre 2014) ha analizzato l'impatto che la diffusione di sementi Ogm resistenti ai diserbanti ha avuto sull'uso stesso degli erbicidi. A differenza di quanto si possa pensare non c'è stato un aumento dell'utilizzo di questa categoria di agrofarmaci, ma bensì una contrazione del 37% (considerante tre colture: soia, mais e cotone).

Dallo studio dei ricercatori italiani è emerso poi che nel mais Ogm c'è una più veloce mineralizzazione degli stocchi. Questo significa che una volta raccolta la pianta, i residui colturali vengono degradati più velocemente rendendo biodisponibili i nutrienti per la coltura in successione.

Oggi le coltivazioni Ogm, non solo di mais, si estendono su 180 milioni di ettari e rappresentano il 12% delle terre coltivate del Pianeta. Nel 2015 il mais Ogm è stato seminato su scala globale su 54 milioni di ettari, pari ad un terzo delle coltivazioni totali.

I ricercatori italiani non si fermano certo al mais. "Ora analizzeremo le altre colture Ogm diffuse sul pianeta, come la soia, la colza e il cotone. Faremo anche un focus sul riso. E poi mi piacerebbe approfondire alcuni temi legati al mais, come il rapporto pianta-microbiota e la resistenza agli stress idrici", spiega Pellegrino.

Dopo la pubblicazione di questa ricerca il tema Ogm potrebbe dunque tornare come elemento di discussione in campagna elettorale. Ma il vero dibattito si aprirà quando la Corte di Giustizia europea si pronuncerà sulle piante generate con le New Breeding Techniques. Tecniche che possono essere usate per ottenere in laboratorio, in maniera veloce e precisa, ciò che si potrebbe ottenere con gli incroci naturali (a patto di decenni di studi).