La parabola agricola della settimana la facciamo venire dalla remota catena Andina.

Tutti oramai conoscono la quinoa: si tratta di un cereale anche se non appartiene alla famiglia delle graminacee. E' infatti una chenopodiacea (come la bietola e lo spinacio) da cui per macinazione dei semi si ottiene una farina ricca di amido e di proteine, ma in cui è assolutamente assente il glutine.
Le popolazioni incaiche, che la coltivano da circa 5mila anni, la chiamano chisiya mama, ovvero "madre di tutti i semi", un appellativo ben meritato per una pianta dalle formidabili virtù alimentari che viene coltivata fino a oltre 4mila metri di quota. 
Peccato che le stesse popolazioni ora la maledicano. E pensare l'Onu decise di dedicare il 2013 alla quinoa come alimento dell'anno: "Quale riconoscimento per le popolazioni andine che hanno mantenuto, protetto e conservato la quinoa come alimento per le generazioni presenti e future. L'obiettivo è focalizzare l'attenzione… sul ruolo che gioca a sostegno della biodiversità... sull'eliminazione della povertà a sostegno degli obiettivi del terzo millennio". 

E' poi successo che i 5mila anni di paziente coltivazione hanno incontrato lo spietato mercato globalizzato.
Negli ultimi 10 anni la quinoa è diventato dapprima un alimento popolarissimo fra i modaioli, gli hipster – insomma i fighetti che popolano i migliori ristoranti alla moda delle capitali. Poi ha sfondato fra vegetariani, i vegani e ovviamente anche fra tutte le persone che soffrono di celiachia. Il risultato è che la domanda internazionale si è rapidamente moltiplicata.

Dal 2012 al 2014 la produzione di quinoa in Bolivia si accrebbe del 260% senza riuscire a soddisfare la domanda che arrivava dai paesi ricchi e sviluppati. Nei mercati di Cuzco come di Lima gli indigeni non riuscivano più a trovare un chicco di quinoa: era stata tutta esportata a prezzi da capogiro. Gli andini allora si indebitarono per aumentare la produzione – peccato che i terreni fortemente declivi a 4mila metri di altezza non sono esattamente il massimo per l'intensificazione di una coltura.

Poi arrivò la concorrenza internazionale: dal 2014 a oggi la quinoa è iniziata ad essere coltivata in ben 90 paesi (tra cui, pare con buoni esiti, anche in Italia). Risultato: il crollo del prezzo internazionale.

Oggi i campesinos andini possono ritrovare la quinoa nei loro mercati, ma intanto si sono abituati a mangiare buns di grano statunitense o canadese mentre aprono le raccomandate con i solleciti delle banche.

(Nota per i miei 25 affezionati lettori: avevo mangiato ancora pesante. Ok, la prossima settimana la scrivo più allegra).