"Puntuale, come ogni anno, l'annuario statistico italiano elaborato dall'Istat fotografa l'Italia da varie angolazioni, prendendo in esame popolazione, occupati, bilancia commerciale e via di questo passo.

Un capitolo è dedicato all'agricoltura e leggerlo non induce all'ottimismo. E a poco serve che l'export sia aumentato o che gli occupati siano cresciuti. Per strada abbiamo perso la "materia prima", c'è meno terreno da coltivare, ci sono meno aziende agricole, hanno chiuso le stalle, si è spopolata la montagna.

Vediamo cosa dicono i "numeri" di Istat, implacabili anche se "vecchi" di qualche anno, come sempre accade alle analisi statistiche.
 

Meno aziende agricole

Partiamo allora dal numero di aziende agricole in attività. Nel 2013, ultimo dato reperito da Istat per le sue valutazioni, se ne contavano poco meno di 1,5 milioni. Rispetto al 2010 il calo è del 9,3%, confermando un trend di decrescita in atto da anni.

Nulla di grave, si può controbattere. Le aziende rimaste in attività hanno preso il posto di quelle scomparse, crescendo in dimensioni e in capacità produttiva, migliorando così la propria posizione sul mercato.

Vero, ma solo in parte. Perché nel frattempo abbiamo lasciato per strada anche un bel po' di terreni da coltivare.
Sempre nei soli tre anni dal 2010 al 2013 le superfici investite a seminativi sono calate del 3%, le coltivazioni permanenti (categoria che comprende ad esempio frutteti e vigneti) sono scese del 5,1%, mentre prati permanenti e pascoli si sono ridotti del 2,8%.


Più occupati

Per fronteggiare questo progressivo ridursi delle risorse, le aziende agricole hanno imboccato la strada della managerialità e dell'efficienza. Una spinta verso una maggiore imprenditorialità agricola confermata da alcuni numeri sull'occupazione agricola.

Si riduce infatti la manodopera familiare (circa 196 milioni di giornate lavorative), che si assottiglia a fronte di un aumento della manodopera esterna.

Crescono al contempo le aziende specializzate, dalle quali esce la gran parte della produzione agricola (83,8%), che di conseguenza realizzano anche la maggior quota di valore aggiunto (84,1%).

Ormai ridotto al lumicino, e non potrebbe essere diversamente, il numero delle aziende che producono solo per autoconsumo, appena il 2,5% del totale (1,5 milioni).
 

Calano le stalle

Non meno preoccupanti i "numeri" degli allevamenti.
Nel censimento del 2010 figuravano in attività 207mila aziende di allevamento. Nel 2013 se ne registrano 17mila in meno. Come per le aziende agricole, la flessione delle stalle in attività è stata compensata dall'aumento delle dimensioni e della produttività di quelle rimaste.

Si spiega così l'aumento della produzione di latte (+3,1%) e formaggi (+2,1%) registrata da Istat nel 2016 e confermata più recentemente da altri osservatori istituzionali e privati.

Nel 2016 Istat evidenzia poi un aumento nel numero di capi macellati, dai bovini ai suini.
Conseguenza di una maggiore produzione, ma al contempo dell'uscita di un più elevato numero di capi dalle stalle che hanno ridotto o cessato l'attività.


L'inversione dei suini

Un esame delle tabelle che accompagnano le analisi di Istat confermano la flessione del numero di capi in allevamento.
Fra il 2003 e il 2013 i bovini allevati sono diminuiti da 6,26 a 5,72 milioni di capi.

Altalenante il comportamento della suinicoltura. Prima un aumento ininterrotto dal 2003 al 2010, che ha portato il patrimonio suinicolo da 8,58 a 9,33 milioni di capi.
Poi anche i suini hanno innestato la retromarcia e nel 2013 il numero di animali allevati è tornato quello di dieci anni prima, circa 8,6 milioni di capi.

Ma colpisce che il numero delle aziende suinicole sia crollato in questi dieci anni dalle 124mila unità del 2003 alle appena 26mila del 2013.
 

Meno fertilizzanti e più fitosanitari

Drastico il calo nella distribuzione di fertilizzanti che nel 2015, stando alle rilevazioni di Istat, si è fermato a circa 4 milioni di quintali, 1,8 milioni in meno rispetto all'anno precedente.

In crescita al contrario l'impiego di fitosanitari, che nel 2015 ha raggiunto quota 1,36 milioni di quintali, con un aumento del 4,7% rispetto al 2014. Fra i prodotti di maggiore impiego figurano i fungicidi (700mila quintali), seguiti da insetticidi e acaricidi (230mila quintali).
 

Stop al consumo delle terre

In conclusione il report Istat sull'agricoltura evidenzia due fenomeni solo apparentemente contrapposti, il calo dei terreni a disposizione e la flessione delle aziende in attività da una parte, e dall'altra parte un aumento produzioni.

Gli imprenditori, alle prese con il problema delle minori risorse disponibili e della accresciuta concorrenzialità dei mercati internazionali, hanno saputo spingere sul management e sull'innovazione per restare al passo con i mutamenti sullo scenario mondiale.

Potranno fare ancora di più? Forse. Ma ogni giorno si perdono decine di ettari di terreno coltivabile, coperto da strade e nuove costruzioni. Non sempre indispensabili.
Una consapevole politica di risparmio dei terreni agricoli si fa sempre più necessaria.