"L'agricoltura conservativa ha il pregio di rendere sostenibile la produzione con una riduzione delle lavorazioni, ma rendendo più fertili i suoli". Mauro Grandi, titolare dell'omonima azienda agricola dell'Oltrepò pavese, ha sposato questo approccio al terreno ormai da quasi venti anni e oggi non tornerebbe certo indietro. 

La sua fattoria è una delle venti aziende dimostrative del progetto HelpSoil, finanziato dal programma europeo Life e coordinato dall'Ersaf, che ha come scopo quello di diffondere l'agricoltura conservativa e studiarne gli effetti sul territorio. A partecipare al progetto, partito nel 2013, sono state cinque regioni: Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Friuli - Venezia Giulia. Cofinanziatore del progetto è Kuhn Italia, azienda specializzata nella produzione di macchine agricole, dalla lavorazione del terreno alla semina.

L'agricoltura conservativa si basa su tre principi: la diversificazione colturale, la riduzione delle lavorazioni e la copertura del suolo. Nella semina su sodo il terreno non viene arato, si lasciano invece i residui colturali del precedente raccolto e tra una semina e l'altra si utilizzano cover crops per proteggere il suolo. Come risultato si ha un aumento della fertilità del terreno, una diminuzione dell'erosione e un aumento del carbonio sequestrato. Senza contare che i consumi di gasolio vengono ridotti del 60-70 per cento.

Nel 1994 studiavo agraria all'Università Cattolica e per la prima volta sentii parlare di agricoltura conservativa, già diffusa negli Usa”, ricorda Grandi. “Chiesi informazioni al professor Paris che mi indirizzo verso Ernesto Cervi Ciboldi, che già da anni faceva questo tipo di lavorazione. Così nel 1998 iniziai anche io con il mais in secondo raccolto, impiegando delle macchine brasiliane, perché in Italia nessuno produceva le seminatrici adatte”.

L'azienda Grandi ha dovuto affrontare molte sfide all'inizio, visto che le informazioni erano poche e la transizione fu gestita solo grazie a qualche consiglio dell'importatore.
In principio abbiamo avuto una riduzione della resa, soprattutto sul mais”, ricorda Grandi, “ma siamo andati avanti e nel giro di 3-5 anni, a seconda delle colture, siamo ritornati alla produttività originale. Ma in compenso abbiamo avuto una riduzione dei costi per macchinari e gasolio e un aumento della fertilità del suolo”.

I terreni dell'azienda sono argillosi al 70%: si gonfiano con le piogge e in secca si spaccano in lunghi solchi. Per questo servono seminatrici particolari, che Grandi si è fatto costruire 'su misura' da un ingegnere argentino nel 2004.
Abbiamo notato però che con l'agricoltura conservativa la struttura del terreno migliora notevolmente nel giro di due o tre anni”, spiega Grandi. “Gli apparati radicali dei residui colturali e delle cover crops alimentano l'attività biologica del terreno, mentre l'assenza di aratura migliora l'infiltrazione di acqua e la capacita di ritenzione idrica del suolo”. I terreni sono così protetti dall'erosione, un problema serio per i campi su pendii.

Ma quali tecniche colturali sono ammesse nell'agricoltura conservativa? La regola principale è la non inversione degli strati. Per questo si parla di semina su sodo o di minima lavorazione. Nel primo caso si usano seminatrici in grado di tagliare il residuo colturale per pochi centimetri, di depositare il seme e di ricoprirlo. Nel secondo caso la lavorazione del terreno avviene per una profondità non superiore ai 15 centimetri (contro i 30-40 dell'aratura tradizionale) e che preservi almeno il 30 per cento dei residui colturali. 

C'è poi il vertical tillage che consente di lavorare il terreno ad una profondità di 5-8 centimetri con macchinari dotati di dischi verticali che non rimescolano il suolo, ma rompono i compattamenti dovuti al transito dei macchinari. Ed infine lo strip tillage che prevede la lavorazione del terreno in bande della larghezza massima di 20 centimetri e con una profondità non superiore ai 15 centimetri.

Oltre a minori lavorazioni del terreno il risparmio avviene anche nell'acquisto delle macchine: se per una aratura tradizionale servono trattori anche da 600 cavalli, nella semina su sodo bastano mezzi da 110-160 cavalli. 

A guardare i dati l'agricoltura conservativa sembra avere le carte in regola per soppiantare quella tradizionale. Eppure in Italia non si é ancora diffusa, a differenza che in America. Per Grandi le ragioni sono principalmente tre. Prima di tutto la mancanza di informazione. In secondo luogo la mentalità degli agricoltori, legati a metodi del passato. Ed infine i grandi costruttori di macchinari, che spingono per la vendita di trattori potenti, il cui acquisto é spesso sovvenzionato dalla Pac, ma che nella semina su sodo sono inutili.

Certo, gli ostacoli alla conversione non sono pochi. Prima di tutto ci sono quelli di carattere culturale. Ma se un imprenditore agricolo è convinto di fare il salto, deve affrontare alcuni anni di riduzione delle rese e costi per l'acquisto di nuovi macchinari. Per questo le regioni interessate dal progetto (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Friuli - Venezia Giulia) hanno previsto nei propri Piani di sviluppo rurale degli incentivi alla conversione che rendono la transizione indolore. Per chi fosse interessato il punto migliore da cui iniziare è il sito di HelpSoil, in cui è anche possibile chiedere informazioni gli esperti dell'Ersaf, che coordina il progetto.
 

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