Chi non si ricorda la “bolla” dei cereali, con i mercati impazziti e le quotazioni alle stelle. Eravamo a cavallo tra il 2007 e il 2008 e il Mondo sembrava in preda ad una “fame” di mais, grano e soia senza precedenti. E i prezzi di giorno in giorno salivano, come ad inseguire il prezzo del petrolio, impazzito anch’esso. Chi dava la colpa alla siccità o alle alluvioni che avevano colpito questa o quell’altra parte del pianeta. Colpa, sostenevano altri, dell’aumentato consumo di queste derrate in Cina e India, conseguenza del migliorato tenore di vita delle popolazioni grazie allo sviluppo economico. Molti,invece, puntavano il dito alla “moda” delle energie verdi che per fare elettricità consumavano mais in quantità. Tutte mezze verità. Era una “bolla” speculativa, che questa volta aveva utilizzato le commodities agricole piuttosto che i titoli spazzatura o altre amenità finanziarie. Intanto il prezzo del grano duro se andava oltre quota 50 euro e per il petrolio si paventava il rischio di giungere alla folle cifra di 200 dollari il barile.

 

Pasta e benzina

Due gli esiti di questa corsa dei mercati. Il prezzo della benzina alla pompa saliva ogni giorno e così pure il prezzo al consumo della pasta (e anche del pane, ricordate?). Mentre la spesa per la benzina ha prosciugato le tasche di molte famiglie, l’aumento della pasta (sensibile in percentuale, ma modesto in valore assoluto) si è portato via meno di 10 euro in un anno. Poi il prezzo del petrolio è precipitato sotto quota 50 euro il barile e il grano duro (per restare alla pasta) è sceso a meno di 30 euro il quintale. Il prezzo della benzina, lentamente, molto lentamente, è andato calando. Quello della pasta no. E sulle industrie molitorie italiane, grandi marchi in prima fila, è calata la scure dell’antitrust guidata da Antonio Catricalà. Qui c’è un cartello fra i produttori per tenere alto il prezzo, si sono detti i responsabili dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. E così, nella riunione del 25 febbraio hanno deliberato che ben 26 industrie, insieme all’Unipi (unione industriali pastai italiani), “hanno posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza finalizzata a concertare gli aumenti del prezzo di vendita della pasta secca di semola da praticare al settore distributivo, sanzionata con multe per complessivi 12.495.333 euro.”

 

Gli agricoltori invece...

La notizia ha suscitato molto interesse, come immaginabile, e molte sono le organizzazioni dei consumatori e degli agricoltori che hanno preso posizione, criticando anche aspramente le industrie del settore che hanno però respinto le accuse loro rivolte dall’Antitrust, annunciando anche un possibile ricorso.

Non sappiamo se la ragione sia dell’una o dell’altra parte, ma l’episodio è di insegnamento. I pastai non hanno negato di essersi più volte incontrati per discutere insieme come affrontare l’emergenza del caro cereali. E’normale che di fronte ad una situazione di difficoltà gli operatori di un settore decidano insieme le strategie da adottare. Lo fanno i pastai riuniti in Unipi, le industrie del latte associate in Assolatte, le industrie delle carni rappresentate da Assica, i macellatori che si riconoscono in Assocarni, gli importatori di carne uniti nell'Uniceb e l’elenco potrebbe continuare.

Gli agricoltori, invece…, non si incontrano, al massimo si scontrano. Per farsi rappresentare hanno quattro diverse organizzazioni professionali (per ricordare le maggiori…), raramente in sintonia fra loro. Cui si aggiungono le sigle della cooperazione, quelle delle unioni di prodotto, le associazioni di categoria e via elencando. Ognuna importante, utile e fondamentale, ci mancherebbe altro. Ma pur con tutte queste sigle al proprio servizio gli agricoltori subiscono senza fiatare la caduta del prezzo del grano (che oggi vale quanto quattro anni fa), svendono il loro suini al prezzo di una tazzina di caffè, accettano che il loro latte sia sottopagato. Gli agricoltori non “fanno cartello”, ma se per una volta Catricalà potesse multare i produttori di grano (o gli allevatori di vacche, o gli olivicoltori, o altri ancora) si potrebbe persino essere contenti. Sarebbe il segno che gli agricoltori sono finalmente riusciti a organizzarsi e a governare il mercato anziché subirlo. E allora pazienza anche per la multa. Peccato che la realtà sia diversa.