A fotografare il settore, ad indicare punti deboli e chiavi di volta per affrontare preparati la sfida del futuro, ci pensa Andrea Segré, ordinario di Politica economica agraria e preside della Facoltà di Agraria all’Università di Bologna.
Innanzitutto, secondo il professor Segré, "alla luce di quanto recentemente comunicato dalla Commissione Agricoltura dell’Unione europea, che nel 2008 affronterà il cosiddetto controllo dello stato di salute della politica agricola comune (Pac), l’agricoltura italiana (ed europea) dovrà rinnovarsi per poter adeguarsi ad un futuro all’insegna della competitività".
Una missione intrecciata anche con altre variabili indipendenti, secondo l’economista, dal momento che «lo scenario europeo è reso ancor più incerto da una serie di appuntamenti che avverranno nei prossimi anni: revisione intermedia del Bilancio Ue, ricambio della Commissione e del Parlamento Ue, entrata in vigore del Trattato di Lisbona».
Il mirino della Commissione europea è comunque già indirizzato verso orientamenti prestabiliti. "Quel che ci si attende – preannuncia Segré - è un’inevitabile riduzione delle risorse finanziarie a disposizione della spesa agricola europea e quindi un prosieguo nel cammino iniziato con la prima riforma, datata 1992 (Mac Sharry) e continuata con Agenda 2000 e Fischler. Con la Comunicazione del 20 novembre 2007 sul controllo dello stato di salute della Pac, la Commissione fa sapere che intende regionalizzare, ossia rendere omogeneo e meno iniquo, il pagamento unico aziendale ed eliminare gli strumenti di mercato (intervento, set aside, quote latte e altro), che hanno caratterizzato la vecchia politica dei mercati".
"Il sostegno – assicura il professore - ci sarà ancora, ma sarà inferiore e soprattutto selettivo, vale a dire destinato a quelle aziende che offrono beni e servizi pubblici nell’ottica dell’impresa multifunzionale".
La parola d’ordine per le imprese agricole e zootecniche è una soltanto: competitività. "In un mondo globalizzato che richiede mercati sempre più aperti, la Pac del futuro dovrà essere meno distorsiva – puntualizza Segré -. Ciò significa che non tutte le aziende oggi presenti in Europa e in Italia potranno resistere a un simile cambiamento, in particolare quelle che fanno dell’aiuto europeo una fetta cospicua del reddito. Le imprese, che saranno meno protette dall’ombrello europeo, dovranno correre più rischi e per risultare vincenti saranno costrette ad adeguarsi alle esigenze del mercato comune e mondiale, sempre più aperti".
La situazione italiana, forse, mostra qualche vulnerabilità in più rispetto ai competitors europei, a causa della polverizzazione delle aziende agricole, in termini di superficie. "Questo è un aspetto negativo e preoccupante del nostro settore primario – dichiara Segré - rappresentato dalle modeste dimensioni aziendali: le aziende, per ridurre i costi e continuare ad operare anche senza l’aiuto comunitario, saranno chiamate ad un adeguamento strutturale".
A conferma dell’analisi del professor Segré, i dati divulgati proprio nei giorni scorsi dall’Istat (studio realizzato in collaborazione con l’Inea, l’Istituto nazionale di economia agraria, e riferito all’anno 2005) sulle «micro-imprese» agricole italiane: non raggiunge i 3mila euro di fatturato il 67,5% delle imprese, solo il 39% svolge l’attività agricola per raggiungere il mercato, mentre il 10,5% opera per l’autoconsumo. Solamente lo 0,5% delle imprese, poi, ha un fatturato annuo medio di 1,15 milioni di euro e rappresenta ben il 25% della produzione totale. Le società agricole, invece, rappresentano come forma giuridica appena il 3% della realtà produttiva in agricoltura, ma da sole realizzano il 28,4% della produzione e del fatturato.
"Diversamente dal passato, quando la quantità era l’obiettivo principale ed i miglioramenti tecnici e meccanici conseguiti permettevano esclusivamente l’incremento delle rese, oggi (e ancor più nel futuro) si necessitano altre forme di innovazione, che vanno dalla produzione (eco-compatibile) al prodotto (valorizzandolo agli occhi del consumatore)", osserva Segré.
"Dal momento che la generosa cascata di denaro concessa dalla Comunità europea non ci sarà più – continua - gli attori della filiera saranno chiamati ad un comportamento più razionale ed “economico”. E ciò fa prevedere anche una razionalizzazione della stessa filiera agricola che, a volte, in passato ha peccato di inefficienza".
Altro nodo da risolvere è quello delle agroenergie. "E’ un aspetto nuovo ed ancora poco conosciuto, ma potenzialmente vantaggioso per le nostre aziende agricole è rappresentato dalle agroenergie, in virtù anche del fatto che nel marzo 2007 la Commissione ha reso noti gli obiettivi – ambiziosi – dell’Ue: entro il 2020 le fonti rinnovabili dovranno costituire almeno il 20% del consumo energetico totale ed i biofuels dovranno rappresentare il 10% dei carburanti utilizzati per il trasporto. Inoltre, il 23 Gennaio 2008, l’Unione europea ha approvato un pacchetto di misure finalizzate al raggiungimento dei predetti obiettivi. Misure che riguardano pure il settore agricolo come uno sui quali puntare per ottenere i risultati sperati in campo energetico".
Si calcola, ad esempio, che puntare sulle alternative al petrolio potrebbe offrire in Europa circa 300mila nuovi posti di lavoro, potenziando appunto la filiera dell’energia verde, attraverso le coltivazioni per i biocarburanti, l’utilizzo dei residui agricoli, forestali e dell’allevamento, l’installazione dei pannelli solari.
Resta aperto anche il dilemma ogm, vietati in Italia, non in alcuni Stati europei, così come in Usa, Brasile, Argentina, India. Nella sola Unione europea, il mais transgenico nel 2007 è stato coltivato su quasi 110mila ettari (75mila ha in Spagna, 25mila ha in Francia, 4.500 ha in Portogallo, 3mila nella Repubblica Ceca, per citare i primi 4 Stati individuati nella recente elaborazione di Nomisma).
Anche perché bisognerà chiedersi se in futuro – con l’aumento dei consumi alimentari di Paesi come India e Cina - saranno sufficienti i 610 milioni di tonnellate di frumento prodotte nel mondo nel 2007 (dati Usda, United States Department of Agriculture).
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Fonte: Veronafiere