Gli allevatori di suini e bovini dovranno fare i conti, e si tratta di conti pesanti, con il mancato rinnovo delle maggiori aliquote di compensazione dell'Iva.

Dopo l'aumento sino al 9,5% deciso nel 2021 e nel 2022 per fronteggiare la crisi del settore zootecnico, queste aliquote tornano ai valori precedenti, il 7% per i bovini e il 7,30% per i suini.

La crisi, legata agli aumenti dei costi, è però tutt'altro che risolta, mentre i prezzi di mercato, in particolare per i suini stanno virando verso il basso.


La "rendita Iva"

Deciso sin dal 1972, contestualmente alla legge che ha introdotto l'Imposta sul valore aggiunto in Italia, il regime speciale consente agli agricoltori (in funzione di taluni parametri) di "compensare" l'Iva riscossa versando all'erario solo una parte del dovuto.

Sino a ieri a fronte di un'Iva incassata del 10% per la cessione di bovini e suini, gli allevatori dovevano restituire all'erario solo lo 0,5% (cioè la differenza fra il 10% e la compensazione del 9,5%).

Una sorta di "rendita Iva" che in questi tempi di crisi è stata per molte aziende fondamentale per far quadrare i bilanci aziendali.


Due conti

Con il mancato rinnovo, questa rendita Iva si assottiglia e non poco.

Proviamo a fare due conti, seppure approssimativi. Il valore di un vitellone a fine ciclo si può stimare in circa 1.500 euro (500 chili di peso vivo al prezzo di 3 euro per chilo).

L'Iva al 10% si traduce in 150 euro che sino a ieri l'allevatore poteva trattenere per sé quasi interamente, dovendo restituire all'Erario appena 75 centesimi (0,5%).

Se gli stessi conti, sempre approssimativi, li trasferiamo ai suini, per ogni animale a fine ciclo si ha un valore di 180 euro (100 kg a 1,8 euro al chilo), che "producevano" un reddito Iva di circa 17 euro.


Cosa si perde

Con il ritorno alle precedenti aliquote di compensazione per ogni vitellone ceduto l'allevatore perderà 3,75 euro che ora dovrà versare allo Stato, anziché i 75 centesimi visti prima. Analogamente per ogni suino la perdita per l'allevatore sarà di 40 centesimi.

Poco, si dirà, ma se queste cifre le caliamo nella realtà degli allevamenti, dove ogni ciclo di produzione può contare centinaia e più spesso migliaia di capi, si arriva a somme anche importanti.

In altre parole, la riduzione delle aliquote di compensazione Iva si "mangia" il 2,2% e il 2,5% del fatturato.


Il regime "ordinario"

In qualche caso gli allevatori dovranno mettere mano alla calcolatrice e verificare se per loro è conveniente restare nel regime speciale o al contrario aderire al regime ordinario, compensando l'Iva riscossa con quella spesa.

Un'opportunità prevista dall'articolo 34 della legge che ha introdotto l'Iva (Dpr 633/72).

Una convenienza che si realizza nel caso l'Iva pagata sugli acquisti sia superiore o pari a quella incassata con la vendita degli animali.


La crisi non è finita

La difficile congiuntura che ancora attanaglia gli allevamenti avrebbe dovuto suggerire una proroga delle maggiori aliquote di compensazione.

C'è da credere, pur non avendone conferma ufficiale, che Coldiretti, Confagricoltura e Cia, ognuna per la propria parte, abbiano fatto pressioni per mantenere le maggiori di aliquote di compensazione in vigore sino a ieri.

Perché la crisi del settore zootecnico non è risolta e le organizzazioni degli agricoltori farebbero bene a ricordarlo al legislatore, insistendo per ottenere di nuovo le maggiori compensazioni del passato.

Almeno sino a quando la crisi non sarà davvero alle spalle.