I cinghiali (Sus scrofa) sono un problema oggettivo. Il loro numero è in crescita e secondo stime approssimative potrebbe variare da 1 a 2 milioni di individui sparsi praticamente lungo tutto il territorio nazionale. Questi ungulati, altamente prolifici e onnivori, sono balzati all’onore delle cronache per i frequenti incidenti stradali, anche mortali, che causano attraversando strade e autostrade. Hanno fatto scandalo passeggiando per le vie del centro di Roma, Firenze e Genova, allarmando interi quartieri. Ma l'impatto più rilevante i cinghiali lo hanno sull'agricoltura.


Leggi anche
Il cinghiale, nemico numero uno dell'agricoltore


Le stime a riguardo si sprecano ma è certo che ogni anno milioni di euro finiscono nella pancia di questi ungulati. E c'è un numero crescente di aziende agricole che perde una percentuale assai elevata dei raccolti a causa delle incursioni di questi animali.

Come se ne esce? Come si può abbassare la popolazione di cinghiali a un livello tale da non rappresentare più un pericolo per l'agricoltura e l'uomo? La caccia rappresenta davvero un valido strumento di contenimento? Per rispondere a tutte queste domande abbiamo interpellato un esperto di cinghiali, Andrea Monaco, ricercatore dell'Ispra e profondo conoscitore della biologia e delle abitudini dei cinghiali.



Origine e cause dell'esplosione demografica del cinghiale

Per trovare una soluzione al problema dei cinghiali occorre prima di tutto capire perché ce ne sono così tanti e come mai è così difficile contenerne la crescita demografica. Per farlo dobbiamo fare un passo indietro, quando negli anni Cinquanta sono iniziate le massicce immissioni di cinghiali a scopo venatorio con soggetti di grandi dimensioni catturati nell'Est europeo, e proseguite con animali provenienti da allevamenti nazionali, non di rado incrociati con la forma domestica, più grande e prolifica. Determinante è stato anche il progressivo spopolamento di vaste aree montane e rurali.

"Negli ultimi decenni in Italia, come in altre parti d'Europa, il cinghiale ha trovato un ambiente decisamente favorevole alla sua proliferazione, con inverni miti e abbondanza di cibo", spiega Monaco. "Cibo trovato nella foresta, che negli ultimi anni è cresciuta enormemente a causa della diminuzione dell'attività umana, oppure nei campi coltivati. Ma anche cibo fornito in grande quantità dai cacciatori per assicurarsi la presenza stabile dei cinghiali in previsione delle battute di caccia".


Un adulto di cinghiale
Un adulto di cinghiale
(Fonte foto: Alessandro Calabrese)


L'abbondanza di fonti nutritive e le condizioni ambientali favorevoli hanno causato una vera esplosione della popolazione, i cui numeri sono cresciuti con modalità più simili a quelle dei roditori piuttosto che degli ungulati. Non è vero però, come si legge in giro, che il cinghiale riesce a portare a termine due gravidanze all'anno. Succede molto raramente. Piuttosto, l'abbondanza di cibo causa uno sviluppo accelerato e provoca l'entrata precoce nell'età fertile delle femmine (che si verifica al raggiungimento della soglia di 30-35 chilogrammi di peso) che quindi già a cinque-sei mesi possono essere coperte dal maschio. Questo fenomeno ha causato una vera esplosione demografica visto che in natura la prima gravidanza si ha a due-tre anni e che ogni femmina può dare alla luce fino a nove cuccioli, anche se in media si ferma a due-sei, a seconda dell'età.

Il cinghiale sì è così espanso in tutta l'Italia, e attualmente è presente ovunque ad esclusione di alcune parti della Sicilia e della Puglia e del cuore della pianura padana. "Molti dei problemi dovuti alla grande diffusione del cinghiale, sempre più presente anche nei centri abitati, sono dovuti al fatto che gli esemplari più grandi e maturi sono spesso vittime della caccia, in quanto più appetibili e facili da colpire per le maggiori dimensioni. I soggetti più giovani, privi di una guida che insegni loro dove trovare cibo in natura, sono quelli che più facilmente vanno alla ricerca di fonti di cibo 'facili' e finiscono per creare problemi all'agricoltura o, addirittura, si spingono nelle aree urbane, causando danni e conflitto sociale", sottolinea Monaco.

Comportamento alimentare del cinghiale

In natura il cinghiale, dotato di un olfatto estremamente sensibile (dieci volte superiore a quello del cane), si nutre di ghiande e semi di faggio, tuberi e vermi, carcasse e frutti. Insomma, più o meno di qualunque cosa gli passi sotto il naso. Naso che utilizza per smuovere il terreno alla ricerca di cibo causando seri danni all'ambiente naturale e ovviamente alle colture.

Il cinghiale si può cibare di praticamente qualunque specie agraria che cresca entro il metro d'altezza. "I danni economicamente più rilevanti che possono essere causati sono quelli alla viticoltura, a causa dell'elevato valore di questa coltura per unità di superficie, ma il comparto che rischia di più è quello del mais, molto diffuso nel nostro Paese e non sempre facile da difendere dalle incursioni del cinghiale", sottolinea Monaco.

Il cinghiale è infatti goloso di granella e quando si sposta nei campi di mais abbatte le piante e fa razzìa di spighe. Agisce di notte, sfruttando il suo udito e il formidabile olfatto e non è raro che allo spuntare del sole l'animale si acquatti semplicemente tra le piante di mais, nascondendosi agli occhi dell'agricoltore, e riprenda il suo pasto al calare della notte.


Cuccioli di cinghiale con la madre
Cuccioli di cinghiale con la madre
(Fonte foto: Alessandro Calabrese)


La caccia e gli altri metodi di controllo del cinghiale

"L'attuale modello di gestione non funziona. Intervenire efficacemente non è affatto facile, ma è possibile. La premessa è che per cambiare le cose ci vuole l'impegno di tutte le parti coinvolte perché occorre mettere in campo una strategia d'intervento articolata", spiega Monaco, aggiungendo che Ispra sta ultimando un rapporto di sintesi sulla gestione del cinghiale in Italia negli ultimi anni, sulla base del quale i decisori politici potranno poi decidere come gestire il fenomeno.

Secondo Monaco le soluzioni devono essere efficaci, fattibili ed economicamente sostenibili. Questo significa che la cattura e la sterilizzazione delle femmine non è un'opzione sul tavolo. Come anche l'idea di catturare gli esemplari nelle aree a maggiore pressione per poi rilasciarli in ambienti dove il cinghiale è meno presente. Non sono efficaci neppure i repellenti olfattivi e i dissuasori acustici. Il cinghiale è infatti un animale intelligente che si abitua ai rumori, come ad esempio quello del cannone a gas, mentre il repellente olfattivo ha una durata di pochi giorni. Dissuasori a base di ultrasuoni potrebbero essere efficaci ma sono ancora in una fase di sviluppo.


Leggi anche
Nel Chianti si usano gli ultrasuoni contro i cinghiali


Che cosa deve fare dunque l'agricoltore? "Per le colture ad alto valore aggiunto l'unica soluzione davvero efficace è realizzare recinzioni fisse alte almeno 1 metro e interrate nel suolo. Si sono dimostrate affidabili anche le recinzioni elettriche che però non sempre garantiscono una difesa al 100% e hanno bisogno di una manutenzione attenta e costante. Tuttavia hanno un costo relativamente basso e possono essere smontate dopo il raccolto", spiega Monaco.

Le recinzioni fisse devono però proteggere soprattutto le colture più vulnerabili, come quelle vicino ai boschi, non si può infatti pensare che aree vocate alla viticoltura, come il Chianti, o all'orticoltura, come la Liguria, si trasformino in un reticolo di recinzioni. Anche perché gli animali si troverebbero intrappolati in porzioni di territorio circoscritto e incanalati verso i campi non protetti o verso le aree abitate.

Insomma, chi coltiva vite od orticole è bene che si doti delle reti. Mentre chi fa mais o altre colture estensive deve entrare nell'ottica di convivere con i cinghiali e quindi proteggersi attivamente. Questo non significa essere alla mercé dei branchi di cinghiali perché occorre abbassarne drasticamente il numero e questo si può fare aumentando i prelievi, ad esempio con la caccia.

"L'attività venatoria può giocare un ruolo fondamentale nell'alleggerire la pressione dei cinghiali sull'agricoltura, ma deve perseguire una riduzione significativa della densità ed essere eseguita in maniera differente rispetto a quanto avviene oggi", sottolinea Monaco. "Soprattutto è indispensabile interrompere immediatamente il foraggiamento dei cinghiali, una pratica illegale e penalmente perseguibile, responsabile della situazione attuale".


Quale caccia per il cinghiale?

Oggi il metodo di caccia del cinghiale più diffuso è la cosiddetta braccata, in cui una muta di cani viene liberata nel bosco e stana il cinghiale che impaurito corre verso la linea di tiro dove lo aspettano i cacciatori. "Il cinghiale giunge ad alta velocità ed è praticamente impossibile valutare l'età o il sesso dell'esemplare. Questo rende impossibile una caccia selettiva", sottolinea Andrea Monaco.

Bisognerebbe invece diffondere progressivamente l'utilizzo anche di tecniche selettive, come il tiro da appostamento o la 'girata', una tecnica che prevede un solo cane guidato da un cacciatore che infastidisce il cinghiale senza spaventarlo eccessivamente e lo spinge verso la linea di tiro dove il cacciatore può decidere se si tratta del soggetto giusto a cui sparare. Così facendo si può fare un prelievo selettivo, maggiormente a carico dei giovani e delle femmine adulte, indispensabile per ridurre il potenziale di riproduzione della specie senza disgregarne la gerarchia e quindi preservandone l'equilibrio.

E il lupo? In Italia la popolazione di questo predatore è in crescita e ha ormai colonizzato tutto il suo habitat, ad eccezione delle regioni più orientali delle Alpi. Ma le predazioni sono sufficienti a contenere la popolazione di cinghiale? "No. Gli ungulati, tra cui il cinghiale, sono sicuramente le prede naturali preferite dai lupi, ma il loro numero non è abbastanza elevato, né lo potrà diventare, per contenerne la crescita demografica. Più che limitare il numero di cinghiali, il ruolo del lupo è quello di mantenere le popolazioni in buone condizioni, predando gli individui più deboli o in peggior stato di salute".


Cinghiali e malattie infettive

Naturalmente l'agricoltore deve essere sostenuto dal pubblico che deve indennizzare i danni causati dai cinghiali e sostenere la costruzione di recinzioni. "Ma l'imprenditore agricolo deve essere il primo ad avere un cambio di mentalità e non pensare di poter tornare alla situazione di trent'anni fa", sottolinea Monaco. "È interesse del pubblico poi mantenere controllata la popolazione dei cinghiali anche per ridurre la possibilità di trasmissione di malattie verso gli allevamenti, penso ad esempio alla peste suina africana".

 

Leggi anche
Danni da fauna selvatica? "Il Governo deve intervenire"


La peste suina ha una percentuale di decesso dell'80-90% e sta destando forti preoccupazioni. Ci sono focolai in Germania e nei Paesi dell'Est ed è probabile che il contagio arrivi in Italia attraverso alimenti o terreno infetto presente sotto le scarpe delle persone o sugli automezzi. Se il virus dovesse raggiungere l'Italia e contagiare i cinghiali selvatici si potrebbe espandere a tutta la penisola e da qui agli allevamenti di suini. Si creerebbe una situazione non gestibile, con intere aree di territorio segregate, con ricadute economiche e sociali enormi.