Soddisfare i bisogni della generazione attuale senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.” E’ questa l’efficace definizione che della parola sostenibilità ha dato nel 1987 il Rapporto Brundtland.
Oggi sostenibile è aggettivo persino inflazionato, abbinato com’è a ogni attività dell’uomo, che abbia o meno connessioni con l’ambiente, il sociale o l’economia.

Così non poteva sfuggire a questo tema il mondo agricolo, che in nome della sostenibilità è chiamato a produrre di più con meno, un paradosso che è tale solo in apparenza.
Il perché lo hanno spiegato gli incontri organizzati dall’Università Cattolica, che al tema della sostenibilità e dell’agricoltura ha dedicato alcuni seminari, necessariamente a distanza per via della pandemia, ma non per questo meno esaustivi.
 

I "Goal"

Al centro del dibattito i 17 obiettivi delineati dall'Agenda 2030, che iniziano dalla lotta alla povertà e terminano con la partecipazione globale allo sviluppo sostenibile, passando per la battaglia contro la fame, toccando il consumo responsabile e con un occhio sempre attento al clima.

Se l’agricoltura non è mai citata direttamente fra i 17 obiettivi (i “goal”), è innegabile che il suo ruolo è determinante in ogni passaggio, dall’innovazione alle energie rinnovabili, dalla tutela delle acque alla biodiversità.
All’agricoltura si chiede così di arrivare al 2030 con una riduzione del 50% nell’impiego di prodotti chimici e con una analoga riduzione nell’impiego degli antibiotici e una contemporanea crescita del 25% per l’agricoltura biologica.
 

I 17 obiettivi della sostenibilità
 

C’è meno terra

Non sarà facile, tenuto conto che si dovrà produrre avendo minore disponibilità di uno dei più importanti fattori della produzione: il terreno agricolo.
In passato, è stato ricordato, il suolo agrario disponibile era di seimila metri quadrati pro-capite.
A inizio del nuovo millennio siamo scesi a 2000 metri e nel 2050 ogni abitante avrà a disposizione solo mille metri quadrati, con i quali dovrà produrre come e più di oggi per soddisfare le esigenze alimentari del contemporaneo aumento della popolazione.
La risposta a questa sfida viene dalla ricerca, chiamata a mettere a punto tecnologie sostenibili e gestione ottimale delle risorse agricole.
 

Il caso del latte

Uno scenario che affida un ruolo centrale al modello alimentare, dove occorre trovare il punto ideale di equilibrio fra impatto ambientale delle produzioni agricole e riflessi positivi sulla salute dell’uomo.
Il caso del latte, ricordato negli incontri della “Cattolica” da Andrea Poli (Nutrition foundation of Italy) è emblematico.

L’impatto della produzione di latte nella produzione di gas serra è di circa il 2,7% sul totale.
In cambio questo alimento offre molte vitamine, calcio, proteine nobili e grassi. Senza dimenticare che le proteine del latte, oltre agli aspetti nutrizionali, svolgono un’attività antidepressiva.
Eliminando il latte questi nutrienti andrebbero rimpiazzati da altri (e non sarebbe peraltro semplice) con minore efficacia sul piano salutistico e senza una giustificabile riduzione dell’impatto ambientale.
 

La salute

Non meno interessanti le considerazioni presentate da Stephan Peters (Dutch dairy association) sui costi di una dieta priva di latte, dove l’apporto in vitamine e sali minerali sia sostituita da altri alimenti di origine vegetale e da integratori.
Il rapporto fra prezzo e impronta carbonio in ogni possibile simulazione vede sempre un’ottimizzazione di entrambi i fattori solo quando il latte è presente nella dieta.
 

Non si può semplificare

Affrontare il tema della sostenibilità delle produzioni agricole non consente dunque semplificazioni del tipo “meno animali - più vegetali”.
Una transizione verso un consumo più sostenibile deve prendere in considerazione quattro variabili interconnesse, che si riassumono nei concetti di salute, ecologia, cultura ed economia.

Sotto questi aspetti, il latte si pone già in una posizione di equilibrio, che contrasta con il calo dei consumi che ha portato in Italia negli ultimi dieci anni una flessione costante, tanto da scendere sotto i livelli raccomandati dalle linee guida predisposte in passato dall' ex-Istituto per la nutrizione (Crea, Consiglio per la ricerca in agricoltura)
Alla base di questo calo si trovano vari fattori, non ultime le molte fandonie tese a demonizzare il consumo di latte.

Ora si dovrà lavorare sodo per una informazione corretta, che promuova una dieta più salutare e sostenibile. Una dieta dove il latte torni ad essere protagonista e con esso la nostra zootecnia, che della tutela dell’ambiente non è il problema, ma parte della soluzione.