Sembra una tempesta perfetta quella che si sta abbattendo sul settore suinicolo.
Prima i prezzi a livelli insperati sui mercati mondiali, a causa della peste suina africana che azzerava le produzioni cinesi, costringendo Pechino a spingere sull’import, favorendo così l’impennata dei mercati.
Intanto il vento a favore invogliava gli allevatori a premere sui ristalli e la produzione aumentava, in Italia e nel resto della Ue.

E in questo scenario, premessa ideale a una lunga stagione di crescita, come peraltro lasciavano intendere nel gennaio 2020 le analisi di mercato di importanti istituti di ricerche economiche, ecco arrivare la pandemia da Covid-19.

Il fermo della ristorazione collettiva, le difficoltà alla movimentazione delle merci e delle persone, hanno portato alla caduta dei consumi.
Ma la “macchina” produttiva era ormai in moto, impossibile fermarla. Sul mercato si è così affollata una massa di prodotto, fresco e trasformato, che fatica a trovare sbocco.
Inevitabile la ripercussione sui prezzi, da mesi in caduta libera.
 

Il crollo dei prezzi

Le ultime rilevazioni Ismea indicano per i suini da macello quotazioni medie di poco superiori a un euro per chilo di peso vivo. Quanto una tazzina di caffè.
Per gli allevatori non restano margini e si produce in perdita. Non che il settore sia nuovo a crisi, anche pesanti.
La ciclicità di questo mercato ha radici e ragioni antiche. In parte legate alla mancanza di una programmazione produttiva, peraltro difficile da attuare.

Questa volta la crisi rischia però di trasformarsi in strutturale, per risolversi solo quando una larga parte degli allevamenti avrà ceduto sotto il peso dei debiti e non si avranno cosci e carne per soddisfare le richieste della trasformazione.
Uno scenario catastrofico, che va evitato a ogni costo. Perché una volta chiusi gli allevamenti poi non riaprono.
 

Un fondo salva allevamenti

Un’idea per uscire da questa situazione ce l’ha Elio Martinelli, presidente di Assosuini, associazione che si dichiara “voce della suinicoltura per rappresentarne gli interessi prescindendo da qualsiasi appartenenza sindacale.”

Il progetto, ci racconta lo stesso Martinelli, è quello di realizzare un fondo mutualistico al quale accedere per far fronte alle situazioni di mercato negative.
Per realizzarlo si parte da un paniere di costi con il quale si definisce il costo di produzione della carne suina, periodicamente aggiornato per seguire le variabili di mercato.
Quando il prezzo medio dei suini è inferiore ai costi di produzione, scattano le integrazioni del fondo, evitando che gli allevamenti, come accade oggi, siano costretti alla chiusura.
 

Le risorse

C’è però da chiedersi dove il fondo possa ricavare le risorse necessarie a far fronte a un impegno che può rivelarsi economicamente pesante.
Due i pilastri che il presidente di Assosuini prevede nel suo progetto. Il primo pilastro è quello degli allevatori, chiamati a contribuire direttamente al sostegno del fondo.
Ma il pilastro più “solido” e importante non può che essere, afferma Martinelli, quello dell’amministrazione pubblica.

Sino ad oggi il settore suinicolo è stato ai margini delle iniziative a sostegno delle produzioni animali.
Eppure va ricordato che la suinicoltura italiana, con le sue esclusive prerogative tecniche e genetiche, è indispensabile per le produzioni tipiche dei salumi made in Italy, importanti sia economicamente sia come immagine sui mercati di esportazione.
Per di più l’idea di un fondo di compensazione si inserisce idealmente nelle recenti politiche comunitarie di congiunzione fra la vecchia e la nuova Pac.
 

Il “governo” della produzione

Una rete di sicurezza per gli allevamenti può tuttavia rivelarsi insufficiente se non si mettono in atto al contempo iniziative per scongiurare il sopraggiungere di stati di crisi.
Da un lato occorre un “governo” della produzione, favorendo una maggiore sintonia con l’andamento dei consumi.

E’ soprattutto sull’orientamento dei consumi che Assosuini intende impegnarsi. Lo strumento c’è già e andrebbe solo “perfezionato”.
Il riferimento è al Sigillo Italiano, il marchio che lo stesso ministero per le Politiche agricole ha adottato per contrassegnare le produzioni di eccellenza del “Sistema di Qualità Nazionale”.
Un marchio che ha in sé tutte le opportunità di incontrare successo, se solo fosse supportato con maggiore convinzione.

Lo stesso “Sigillo” potrebbe dare alle carni suine e ai prodotti trasformati una marcia in più per conquistare nuove fasce di consumatori.
Lo dimostrano le esperienze maturate anni fa con il marchio “Gran Suino Padano”, tese a valorizzare i tagli diversi dai cosci per la produzione di carne fresca. Un’iniziativa che fu ben accolta dal mercato.
Poi solo la miopia di talune scelte prese a Bruxelles fecero naufragare il progetto a pochi mesi dalla sua partenza.
Ora che di etichettatura di qualità si torna a discutere, potrebbero aprirsi nuove opportunità per le carni suine.
 

Gioco di squadra

Le proposte ci sono e Assosuini per voce del suo presidente si dice pronta a portarle avanti. Ma il successo sarà in gran parte legato alle alleanze che il settore sarà in grado di realizzare in ogni segmento della filiera.

La partita è complessa e difficile, molti gli ostacoli da superare. Ai primi posti la ritrosia del settore a “fare squadra”, un problema che assilla da sempre tutta l’agricoltura e non solo la suinicoltura.
Questa crisi che non lascia scampo potrebbe essere la molla per un cambiamento, favorendo quella aggregazione sino ad oggi mancata. Staremo a vedere.