Con aprile giunge a conclusione l'accordo che ha fissato il prezzo del latte a 39 centesimi al litro. Vale per la Lombardia, ma di fatto è un punto di riferimento per l'intero settore lattiero caseario.
Ora si riparte con le trattative fra industrie e parti agricole ed è facile immaginare che il percorso non sarà né semplice, né breve.
Si intuisce dalla complessità dei fattori in gioco sul mercato del latte a livello nazionale, comunitario e mondiale. Lo evidenzia l'approfondita analisi realizzata da Ismea sul settore lattiero caseario e diffusa in questi giorni.


Il prezzo nella Ue

Fra gli elementi chiave del rapporto Ismea figura l'evoluzione del prezzo sul mercato europeo, che negli ultimi mesi del 2016 ha registrato un'impennata, proseguita in parte a gennaio 2017. Le quotazioni medie del latte europeo sono attestate a 33,38 euro al quintale, il 12% in più rispetto ai 12 mesi precedenti.

Diversi i fattori che hanno contribuito a questo rialzo dei prezzi. L'analisi di Ismea mette ai primi posti la flessione della produzione, spinta dalle politiche comunitarie di incentivo alla riduzione volontaria.
Nell'ultimo trimestre del 2016 la produzione è calata nella Ue del 3,7%, una flessione favorita anche dai bassi prezzi nella prima parte dell'anno e dalle minori risorse foraggere conseguenti a condizioni climatiche sfavorevoli.


La produzione

La flessione di fine anno non è stata tuttavia sufficiente a contrarre le consegne di latte, che nel 2016 sono aumentate dello 0,4% rispetto al 2015. Una conseguenza delle spinte produttive di Paesi Bassi (+7,5%), Irlanda (+4,4%) e della stessa Italia (+3,2%). Le previsioni sulla produzione di latte evidenziano una crescita anche nel 2017, che dovrebbe chiudersi con un +0,6%. Merito (o colpa...) dell'aumento del numero di vacche in Irlanda e Paesi Bassi.
Osservata speciale è la Francia, dove l'aumento del numero di manze, che entreranno in produzione il prossimo anno, lascia presumere anche per questa nazione una nuova accelerazione produttiva.


Consumi ed export

Sin qui l'analisi della produzione. Ma per prevederne l'impatto sui prezzi occorre guardare all'evolvere dei consumi. In Italia la domanda di latte e derivati ha continuato a contrarsi nel 2016, con una riduzione della spesa che Ismea indica nel 3%.

Si è consumato meno latte, di qualsiasi tipo, dall'Uht al fresco. Anche i formaggi, ai quali è destinato circa il 50% della produzione italiana di latte, hanno registrato una flessione dei consumi alla quale hanno resistito solo i “duri”.

Una situazione che avrebbe potuto portare ad un crollo del prezzo del latte, evitato solo grazie al buon andamento dell'export, cresciuto del 6%, mentre le importazioni sono scese del 7%.

Una situazione analoga si è osservata a livello europeo, con le esportazioni che hanno superato le 800mila tonnellate, un aumento dell'11% rispetto al 2015.
Lo stesso trend è atteso per il 2017, stando alle indicazioni della Commissione europea, che prevede un ulteriore aumento del 3%.


Equilibrio

Se ci fermiamo alle analisi di Ismea, con prospettive di crescita della produzione affiancate da un aumento dei flussi di export, i riflessi sui prezzi del latte dovrebbero essere modesti, seguendo le consuete curve stagionali, con una flessione in primavera-estate e una risalita in autunno-inverno.

Un quadro confermato dalla caduta dei prezzi del latte spot, quello sulla piazza di Lodi, sceso dai 39,18 euro al quintale di gennaio 2017 ai 34,97 euro di aprile.


Segni opposti

Ma da un'altra fonte si hanno indicazioni di segno diverso. Le consegne di latte nella Ue registrate da Eurostat e Agea, puntualmente riportate da Clal, dicono che tra marzo 2016 e febbraio 2017 si sono ridotte di 567mila tonnellate rispetto al periodo febbraio 2016 e gennaio 2017 (-0,37%).
Nello stesso periodo sono diminuite di ottomila tonnellate le esportazioni (-0,045%).
Anche in questo scenario le ripercussioni sui prezzi dovrebbero essere modeste, o al massimo favorire un rialzo dei corsi, tenuto conto dell'esiguità della caduta delle esportazioni rispetto al più cospicuo calo della produzione.


Nel mondo

Il quadro non sarebbe completo senza un'occhiata alla situazione mondiale e in particolare ai grandi player del settore, fra questi Australia e Nuova Zelanda.
Le analisi di Clal indicano una stabilità per le produzioni australiane (già diminuite nel 2016) e una flessione in quelle della Nuova Zelanda, anch'esse reduci da un'annata in flessione. Elementi che danno forza ad una presumibile tenuta dei prezzi. Gli allevatori se lo augurano.