Gli ultimi dati Istat sono tutto sommato confortanti. Nel 2016 il calo dei consumi nazionali di carne bovina c'è stato (-6,1% per il prodotto fresco commercializzato nei punti vendita della grande e piccola distribuzione), ma sembra aver toccato unicamente il prodotto di importazione, in larga maggioranza di provenienza comunitaria.
Di contro nei macelli italiani che si occupano dei capi nostrani, le lavorazioni non hanno subito flessioni, anzi i numeri sono in tenuta o addirittura in aumento, in particolare per vitelloni e scottone (+9% dei quantitativi sul peso morto).

Dunque il comparto nazionale del bovino da carne dà ancora segnali di vita e, revisione dei premi Pac permettendo, ha davanti a sé un promettente futuro: questo il messaggio lanciato ad Agriumbria in occasione del convegno organizzato dall'Associazione italiana allevatori.
Il prodotto di qualità che esce dai nostri allevamenti in linea vacca-vitello, si è detto, è ancora vincente, piace ai nutrizionisti ben informati, e ci sono gli spazi per produrre di più riducendo il tasso di dipendenza dall'estero (al momento intorno al 50%).

Ma per i nostri allevatori è venuto il momento di rendere più efficienti le proprie aziende agricole. Prima di tutto attraverso il miglioramento genetico: mentre nella selezione delle razze bovine da latte la genomica impera ormai sovrana e ha dato un significativo impulso al settore, nel comparto carne ci sono ancora difficoltà obiettive, quanto meno nelle razze a limitata diffusione come quelle italiane. Difficoltà che tuttavia, hanno recentemente dimostrato gli spagnoli, possono essere superate attraverso un approccio innovativo alla selezione genomica, denominato "single step" e basato sulla genotipizzazione dei soli fondatori e di una ridotta percentuale della popolazione giovane. Un approccio che offre un'elevata accuratezza e comporta costi relativamente accessibili per le associazioni di razza.

Altro terreno di sfida è costituito da sanità e benessere animale: vinta la lotta contro Tbc, brucellosi e leucosi, è venuto il momento di fare sistematicamente la guerra ad altri virus e batteri che in molte stalle italiane sono alla base delle scarse performance riproduttive delle fattrici e che ostacolano la piena fruizione degli aiuti Pac (il premio accoppiato alla vacca nutrice che partorisce nell'anno). Senza naturalmente dimenticare i patogeni che provocano elevate mortalità in vitellaia e gli agenti di malattia respiratoria che colpiscono i giovani bovini in svezzamento.

Infine il benessere animale: i Psr di molte regioni (Umbria in particolare, ma non solo) prevedono congrue dotazioni sotto questo capitolo. Un treno da non perdere.

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