Salvare l’ape italiana e i prodotti apistici, puntando sulla selezione di sottospecie ben adattate ad un determinato territorio e su aree di riproduzione il più possibile neutre.
Ci sta provando il Consorzio nazionale produttori apistici, attivo in Campania con l’Associazione interprovinciale apicoltori casertani e napoletani, mediante il progetto di ricerca “Ape Ligustica Scugnizza”, frutto di un accordo di collaborazione con il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli e con a capo il professor Antonio De Cristofaro, dell’Università del Molise.

AgroNotizie ne ha parlato con il direttore del Conaproa, Riccardo Terriaca, che sta lavorando sul territorio, con l’obiettivo di aumentare la rusticità delle api e salvaguardare la naturalità del miele e di tutti i prodotti dell’alveare.

Perché questo progetto? La situazione dell’ape italiana è davvero così compromessa?
"Bisogna partire da un dato di base. Sull’Apis mellifera ligustica spinola, meglio nota come ape italiana, si è sviluppata negli anni un’ibridazione, spinta  dall’importazione di altre sottospecie e di altri ibridi dall’estero. Ma le nuove generazioni si sono ingentilite: le api oggi sono molto più vulnerabili rispetto alle avversità".

Ma la legge nazionale di settore ha sancito da tempo la tutela dell’ape italiana, giusto?
"Certo, ed in questo momento mentre c’è una legge italiana che protegge in Italia la nostra ape, nel resto mondo si continua ad usare l’ape italiana perché è considerata la più adatta all’apicoltura moderna da reddito. Al tempo stesso l’ape italiana è alla base di tutti gli ibridi che l’Italia ha importato dall’estero, che sono più produttivi dell’ape nostrana riprodotta in purezza. Ma, paradossalmente, se non si difende il patrimonio genetico dell’ape italiana in futuro non sarà più neanche possibile produrre gli ibridi".

Da cosa dipende la maggiore vulnerabilità alle avversità delle api di oggi?
"La causa è l’ingentilimento, frutto delle continue ibridazioni, che puntano solo ad ottenere individui che fanno più miele, ma che sono però più esposti a varroa, virosi e batteriosi. Queste api stanno diventando sempre più dipendenti dal lavoro dell’apicoltore e dall’utilizzo di farmaci veterinari per scongiurare perdite produttive anche notevoli".

Come se ne esce e quale è il contributo del Conaproa?
"Abbiamo messo a punto un progetto di ricerca per la selezione genetica denominato “Progetto ape ligustica scugnizza” che ha come primo obiettivo quello di ripristinare la rusticità dell’ape italiana con sottospecie e ceppi adattati al territorio, individuando areali di accoppiamento il più possibile neutri, con una bassa presenza di apicoltori e di sciami naturali, per controllare il momento della fecondazione. Il programma è frutto di una collaborazione con l’Università Federico II di Napoli ed è diretto dal professor De Cristofaro dell’Università del Molise".

A che punto è questo progetto ora?
"A Castelvolturno (Caserta) nell’azienda sperimentale dell’Univerisità di Napoli, abbiamo individuato le linee femminili di ape italiana idonee, mentre in un areale del vesuviano abbiamo rinvenuto le linee maschili. Attualmente stiamo portando le regine da Castelvolturno nel vesuviano, dove avviene l’accoppiamento con i fuchi. In un prossimo futuro contiamo di aprire un altro areale di accoppiamento controllato sull’isola di Nisida, dove non sono presenti api, in collaborazione con un ente di ricerca privato l’Istituto per la gestione della fauna".

In poche parole, per concludere, qual è l’obiettivo più immediato che si conta di raggiungere?
"Puntiamo a sviluppare successive generazioni di api italiane con elevate capacità di sopravvivenza senza interventi invasivi, che è poi la definizione di rusticità. Occorre disporre di individui più competenti sul piano immunologico per contrastare la varroa, che apre la strada alle virosi. Oggi l’unica arma che hanno gli apicoltori è il ricorso ai farmaci, che se salvano la produzione hanno però l’effetto di ridurre ancor più l’immunocompetenza delle api. Più in prospettiva, puntiamo ad ottenere un’ape che possa essere autoctona di questi areali, un’ape scugnizza appunto, che possa elevare ulteriormente la qualità del miele e di tutti i prodotti apistici".