Non sono soltanto le mamme italiane a mostrarsi restie a vaccinare i propri figli. Secondo una recente statistica del dipartimento di Scienze veterinarie dell'Università di Parma, nel 50% circa degli allevamenti nazionali di bovine da latte l'immunizzazione non viene affatto praticata.

Eppure oggi, in un periodo in cui nelle nostre stalle le terapie antibiotiche vengono prescritte col contagocce, la lotta alle malattie provocate da batteri e virus si basa soprattutto sulla prevenzione. E la vaccinazione costituisce una delle due colonne portanti - l'altra è la "biosicurezza" - di qualsiasi attività di profilassi.

Un concetto sottolineato a chiare lettere anche in occasione delle serate formative che Zoetis sta proponendo ai bovinicoltori italiani, dal significativo titolo "Piano vaccinale, un incontro per chi desidera vederci chiaro". Un'occasione preziosa per esplorare e conoscere meglio l'affascinante mondo della vaccinologia veterinaria, dai meccanismi attraverso cui agiscono i patogeni e i vaccini, alle tipologie di presidi disponibili (vaccini vivi attenuati e vaccini spenti adiuvati), fino ai protocolli da osservare e alle corrette modalità di somministrazione nonchè di conservazione dei vaccini.

Senza tralasciare il principio dell'immunità "di mandria": come per l'uomo anche per il bovino gli epidemiologi oggi insistono infatti sulla necessità di uscire dalla logica della mera protezione individuale, del singolo animale, per approdare invece all'idea che vaccinare significa anche contenere la diffusione del patogeno nell'ambito di una popolazione.
Per cui maggiore è la percentuale di vacche immunizzate nella mandria, minore è la probabilità che le bovine scoperte vengano a contatto con l'agente infettante.

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