Vi sono metodi alternativi all’utilizzo di antibiotici in zootecnia, altrettanto validi e in grado di invertire la rotta al fenomeno crescente dell’antibiotico resilienza?
Il tema è di stringente attualità e, anche in un’ottica di contrasto a quello che il professor Mauro Antongiovanni del Dipartimento di Nutrizione animale dell’Università di Firenze definisce “rischio di perdita degli effetti benefici e curativi degli antibiotici”, da tempo se ne sta occupando la ricerca.
Non si può fare finta che l’abuso degli antibiotici abbia progressivamente portato all’inefficacia, talvolta, di alcune molecole. Su questi aspetti ha acceso i riflettori anche il documento finale del G-7, che si è tenuto in Giappone, a Niigata e che raccomanda azioni di contrasto per evitare situazioni epidemiche che potrebbero finire fuori controllo.

Una ricetta potrebbe provenire dall’azione combinata delle ricerche scientifiche, partite una quindicina d’anni fa all’Ateneo fiorentino proprio con l’equipe del professor Antongiovanni e da alcuni poli industriali privati (uno in Toscana, uno in Piemonte e uno in Slovenia), i cui risultati sono stati presentati il 6 ottobre 2016 nel corso di un convegno all’Accademia dei Georgofili.

È proprio il professore emerito del Dipartimento di Nutrizione animale che, partendo dagli anni Cinquanta e virando verso gli aspetti legati alla terapia farmacologica umana, annuncia sviluppi interessanti per l’impiego di rimedi presenti in natura come i tannini o l’acido butirrico con finalità battericide o batteriostatiche.

Ci si rese conto già a partire dagli anni Cinquanta, quando iniziò l’uso degli antibiotici come promotori di crescita in alimentazione animale, che molti batteri patogeni acquisivano la capacità di resistere – spiega Antongiovanni -. L’industria farmaceutica ha prodotto antibiotici sempre nuovi, che spesso hanno avuto la conseguenza di rendere difficilmente curabili alcune malattie. Purtroppo l’allarme lanciato da più parti è stato colpevolmente sottovalutato”.

Che fare, dunque? Per l’accademico “sembra ovvio ed evidente che sia necessario eliminare completamente gli antibiotici dai mangimi zootecnici, ma l’operazione trova mille difficoltà, anche perché le condizioni ambientali degli allevamenti intensivi necessitano di misure preventive e, non ultime, le resistenze delle industrie farmaceutiche che minimizzano che vi sia un problema di utilizzo che talvolta sconfina in un vero e proprio abuso”.

Le conseguenze negative si ripercuotono anche sulla popolazione umana, perché l’abuso dei farmaci nell’alimentazione animale porta alla dispersione delle molecole antibiotiche nell’ambiente, attraverso le deiezioni animali. Al punto che gli agenti patogeni, in caso di infezioni, sono praticamente già resistenti alle terapie.
 

Un momento del convegno
(Fonte foto: © Matteo Bernardelli - AgroNotizie)

Le alternative, come detto, ci sono. E si tratta di quei prodotti naturali ad azione batteriostatica e battericida che non inducono la resistenza acquisita da parte dei batteri e che, in altre parole, svolgono la loro funzione senza effetti collaterali. Sempre somministrati insieme al mangime.

Un’alternativa valida è un acido grasso a catena corta come l’acido butirrico – afferma Antongiovanni -. È prodotto naturalmente dalla fermentazione della fibra nell’apparato digerente e nell’intestino dei monogastrici. Si trova anche nel latte ed è una difesa che la natura ha previsto anche per i neonati”.

Un’alternativa altrettanto valida, prosegue, “sono i tannini, usati per la concia delle pelli, presenti nel vino e in molti vegetali come i carciofi, o nel legno, nelle castagne, nelle ghiande, in molti frutti. Funzionano come batteriostatici, cioè bloccano la riproduzione e battericidi. Soprattutto, non presentano effetti collaterali e, di più, abbiamo verificato che hanno anche effetti benefici sul metabolismo, riducendo la volatilità delle deiezioni e la presenza di azoto, con conseguenze sulla qualità dell’aria”.

Inoltre, è stato verificato che l’uso di additivi naturali contribuiscono ad abbassare il colesterolo nelle uova o ad arricchire i livelli di omega3 nel latte, elementi che hanno risvolti positivi sul piano del mercato.

Proprio con riferimento all’impiego di tannino, solo alcune settimane fa la ricerca è stata condivisa con importanti studiosi a Pechino, sottolineando appunto che la somministrazione deve avvenire dalla nascita, nella misura di cinque grammi per chilogrammo di mangime, per tutti gli animali sui quali è stata condotta la sperimentazione: polli da carne e galline ovaiole, suini e ruminanti. Difficile, ad oggi, quantificare il costo, che dovrebbe essere simile a quello dei farmaci, ma il condizionale è d’obbligo. Anche perché il professor Antongiovanni si schermisce: “Mi occupo di ricerca e non di commercializzazione”.

AgroNotizie ha parlato anche con Silvio Cittar, responsabile della divisione Agricoltura della Sadepan Chimica del Gruppo Saviola, che proprio a Radicofani (Siena) ha un impianto produttivo.
Estraiamo il tannino dal legno da castagno, proveniente dalle foreste del Monte Amiata – racconta -. Ritiriamo la massa legnosa e ricaviamo sia l’estratto di tannino sia la fibra di legno di castagno per l’utilizzo zootecnico dei mangimi, utilizzando materia prima proveniente da una gestione che rispetta il ciclo naturale del bosco”.