Proviamo ad immaginare di essere alla fine del 2018 o agli inizi del 2019. Saranno trascorsi due anni o poco più da quando la Gran Bretagna si sarà presentata a Bruxelles facendo appello all'articolo 50 del trattato di Lisbona, quello che consente ad uno Stato membro di abbandonare l'Unione europea. E due anni rappresentano il tempo necessario per il “passaggio” che renderà la Gran Bretagna un Paese extra-comunitario.
Molti si sono cimentati nell'ipotizzare cosa accadrà in vari settori, in quello della finanza con l'abbandono della “City”, oggi riferimento per molte società, in quello dell'auto, del turismo, dei prodotti manifatturieri e in molti altri, persino in quello militare.

Che ne sarà del latte
E per il mondo del latte? Gli analisti di Clal, piattaforma di riferimento per i professionisti del latte, hanno elaborato a questo proposito alcuni “numeri” che aiutano a immaginare quale potrà essere lo scenario del settore.
Si parte dalla constatazione che la Gran Bretagna non è autosufficiente. Il latte prodotto (circa 15 milioni di tonnellate) copre circa l'88% del suo fabbisogno. La produzione è cresciuta nel 2015 di appena lo 0,7% e anche continuando di questo passo (ma già in aprile si registra una frenata) lo scenario non modificherà sostanzialmente.

Il ruolo dell'Irlanda
Per coprire il fabbisogno si ricorre ovviamente alle importazioni, che provengono in gran parte dai Paesi Ue, come previsto dai trattati. La parte del “leone” la fa l'Irlanda, che esporta nel Regno Unito formaggi per circa 141mila tonnellate, il 56% del totale esportato. Importanti anche le quote di latte importate da Francia (104mila) e da Germania (68mila). Poi c'è il burro, importato per oltre 105mila tonnellate e proveniente per oltre il 50% dall'Irlanda.
Ricordiamo che l'Irlanda figura fra i Paesi della Ue con il più alto incremento nella produzione di latte, cresciuta nel 2015 del 14,4%. Una spinta produttiva rinvigorita dalla certezza di un mercato di sbocco per le proprie eccedenze produttive, oggi al 122%.
Altri Paesi, come ovvio, concorrono a coprire i fabbisogni inglesi di prodotti lattiero caseari, ma il loro apporto è assai distante dai “numeri” dell'Irlanda. Nella bilancia commerciale inglese figurano anche le esportazioni, numeri importanti (152mila tonnellate di formaggi, 665mila di latte e panna), ma distanti da quelli delle importazioni.

Il nuovo scenario
Questa la situazione oggi. Fra due anni o poco più le esportazioni irlandesi verso la Gran Bretagna (divenuto “paese terzo”, definizione che accomuna le nazioni che non aderiscono alla Ue) saranno assoggettate all'applicazione di dazi, con un aumento dei costi che potrebbero convincere gli inglesi a cambiare “fornitore”.
Sul mercato globale non mancano i pretendenti e fra questi rientrano grandi player del settore come Nuova Zelanda e Australia. Non solo potranno presentarsi con la forza dei loro bassi prezzi (in Nuova Zelanda un litro di latte costa in media 20,46 centesimi, contro i 28,31 di quello europeo) e per il loro trascorsi come Paesi del Commonwealth.

Più latte nella Ue
Se questo scenario si avvererà, il latte irlandese non avrà come destinazione la Gran Bretagna, ma finirà nel mercato europeo, aumentando una situazione già oggi eccedentaria. Stessa cosa si può ipotizzare per il latte francese e tedesco che oggi ha destinazione Gran Bretagna.
Ovvie le conseguenze sul prezzo, un'altra volta in caduta libera. Un pericolo che potrebbe essere scongiurato da accordi mirati ad accompagnare la Gran Bretagna verso “un'uscita morbida”, ipotesi che al momento non trova riscontro nelle perentorie dichiarazioni dei vertici Ue.

Si salveranno i formaggi?
Qualunque sarà la strategia adottata, non resta che prendere atto delle analisi di Nomisma, l'istituto bolognese di ricerche economiche, secondo la quale la Gran Bretagna resterà un importante acquirente dei nostri formaggi Dop, mozzarella e Parmigiano Reggiano in testa, argomento che AgroNotizie ha approfondito qualche giorno fa. 
Non solo una tenuta delle nostre esportazioni, ma persino un aumento. Purché si mantenga un buon equilibrio fra qualità e prezzi. Dazi permettendo. O sulle tavole inglesi trionferà il cheddar made in New Zealand.