Dopo quasi un anno e mezzo di mancanza di accordo, Lactalis e le organizzazioni agricole hanno raggiunto un’intesa oggi al ministero delle Politiche agricole. Il prezzo è stato fissato a 36 centesimi al litro per i prossimi tre mesi.

Rispetto alle scorse settimane, il patto porta il prezzo del latte alla stalla più inra alto di tre centesimi al litro, assecondando il recente trend dei due principali formaggi Dop a pasta dura. I dati sono riportati sul sito di Clal.
Per il Grana Padano oltre 15 mesi, la piazza di Milano lo scorso 23 novembre ha stabilito il prezzo di 7,43 euro/kg (+0,68% sulla quotazione precedente e +1,37% rispetto a 12 mesi fa). Nella medesima seduta borsistica il Parmigiano-Reggiano oltre 24 mesi avanzava dello 0,53%, toccando i 9,43 euro al chilogrammo.

Dalle esportazioni arrivano segnali incoraggianti sia per Grana Padano e Parmigiano-Reggiano (+6,53% nel periodo gennaio-agosto 2015) che per il Gorgonzola (+11,33% nel periodo gennaio-agosto 2015), che rappresentano per volumi prodotti le prime tre Dop del made in Italy.

Dureranno le buone performance all’estero? Risposte positive arrivano dal mercato statunitense, grazie al cambio euro/dollaro, ma siamo sicuri che potrà durare ancora a lungo? Soprattutto se, come ha detto ieri mattina l’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, intervenendo all’assemblea del Parmigiano-Reggiano, “il negoziato sul Ttip è ancora aperto e dall’Unione europea arrivano segnali di un sostanziale impegno dell’Ue a non usare le Dop sul mercato statunitense; se così fosse perderemmo positive prospettive di sviluppo”.

I mercati internazionali, intanto, mandano segnali contrastanti. La Cina, che nel 2015 ha visto rallentare notevolmente la crescita del proprio Pil (si parla di un +7,5%, ma in molto sono convinti che si tratti di una stima di facciata, per non evidenziare troppo il rallentamento rispetto agli anni del boom), con due conseguenze. Da un lato si sono ridotte le importazioni di prodotti “poveri”, a basso valore aggiunto come le polveri.
Se il Dragone nel 2014 aveva importato rispettivamente 621.010 e 224.429 tonnellate di polvere di latte intero e scremato, nei primi 10 mesi del 2015 i volumi sono diminuiti del 51,7% e del 23%, riducendo rispettivamente a 299.851 e a 172.805 le quantità prodotte. Segna un -23% e si ferma per il periodo gennaio-ottobre a 55.717 tonnellate anche il burro.
In crescita, al contrario, le importazioni di prodotti a più alto valore aggiunto come latte per l’infanzia (+35,5%, pari a 136.770 tonnellate), latte sfuso e confezionato (+26,9%, pari a 303.763 tonnellate) e formaggi (+8,6%, pari a 60.857 tonnellate).

Chi ha saputo leggere tali tendenze è la multinazionale Danone, che ha progettato nei prossimi anni di incrementare le vendite del 5% all’anno ed accrescere i margini di guadagno. Principalmente muovendosi in due direzioni. Da un lato, la Cina, facendo leva sul settore trainante dei prodotti per l’alimentazione dell’infanzia, che vede le performance di Danone in crescita del 10,9%, proprio grazie alla Cina, mercato dove Danone rappresenta una quota del 15% e punta a implementare i propri spazi. A questo fine, come ha ricordato anche Leo Bertozzi su Clal, Danone aveva sottoscritto un accordo col gruppo cinese Mengniu.
L’altro driver di crescita è l’Africa, che mostra esigenze particolari, ma che – se soddisfatte – si potrebbe rivelare un mercato in rapido sviluppo. Danone, come anche altri player che si stanno affacciando al grande continente, dovranno magari riuscire a prolungare il tempo di conservazione per il latte Uht e per le polveri, ma anche sviluppare marchi specifici per i mercati locali, lanciare prodotti per rispondere a necessità nutrizionali impellenti, come il deficit di ferro. Le elevate prospettive di crescita economica e una popolazione giovane lasciano intravedere notevoli prospettive di crescita.

Il gruppo francese Sodiaal, ad esempio, si candida a diventare il primo gruppo francese nel segmento del biologico. L’obiettivo – rilanciato nei giorni scorsi – è quello di raggiungere quota 150 milioni di litri bio entro il 2020, dal momento che, ha spiegato il presidente del gruppo Sodiaal, Damien Lacombe, “c’è una domanda forte e una buona valorizzazione del prodotto”.
Sodiaal, prima cooperativa francese per la raccolta del latte, per convincere i produttori propone contratti della durata di sette anni (di cui due in conversione), durante i quali gli allevatori beneficiano di un premio di 30 euro per mille litri.

Intanto, alcuni Stati europei hanno iniziato a versare i fondi destinati dall’Unione europea per la crisi del latte nelle tasche degli allevatori. Come sempre, i primi a farlo, sono stati i Paesi del Nord Europa.

E nel Regno Unito si è aperto un dibattito sulle dimensioni delle stalle. Fra le polemiche, una parte dei produttori ha preso in considerazione l’opportunità offerta dalle cosiddette “economie di scala”, puntando su modelli allevatoriali intensivi, con stalle coperte. Un sistema produttivo diametralmente opposto a quanto praticato finora dalla grande maggioranza dei farmer.
Dati ufficiali non ce ne sono, ma sembra che di strutture con un numero di animali oltre le 700 unità oscillerebbe fra il 5 e il 10 per cento. Chi spinge per stalle maxi sostiene che la gestione potrebbe essere migliorata grazie alla costante sorveglianza da parte di allevatori e veterinari. Non mancano, però, i detrattori.

Nel contesto mondiale, ancora una volta, l’ago della bilancia potrebbe essere l’Oceania. Australia e Nuova Zelanda diminuiranno le produzioni per dare una scossa ai prezzi o aspetteranno altri segnali dal mercato?